Trattativa Stato-mafia, udienza rinviata al 15 novembre

Occhi puntati sulla Sicilia oggi per i risultati elettorali che decreteranno il nuovo presidente della Regione Siciliana e per il primo atto del processo sulla cosiddetta “trattativa” Stato – mafia. Un inizio con il rinvio dell’udienza al 15 novembre prossimo.  120 faldoni, risultato di quattro anni di indagini sono l’atto d’accusa dei pm della procura di Palermo contro boss e uomini dello Stato. Il  procedimento è a carico di Totò Riina, Bernardo Provenzano, Leoluca Bagarella, Giovanni Brusca e Antonino Cinà da un lato e degli ex ministri Calogero Mannino e Nicola Mancino e del politico di oggi, il senatore Pdl Marcello Dell’Utri, dall’altro. Al centro i Ros dei carabinieri, i generali Mario Mori e Antonio Subranni, il colonnello Giuseppe De Donno. E  anche il figlio dell’ex sindaco mafioso di Palermo, Massimo Ciancimino.  Una “trattativa” fra pezzi di istituzioni e pezzi di mafia nata “per mettere fine alla fase stragista di Cosa nostra” ricostruita nell’indagine, coordinata dal procuratore aggiunto di Palermo, Antonio Ingroia, e realizzata con i sostituti Nino Di Matteo, Lia Sava, Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia. A decidere le sorti di questa inchiesta sarà il gup Piergiorgio Morosini. Il Governo ha deciso lo scorso 26 ottobre di costituirsi parte civile nel procedimento in cui – per citare Sciascia – lo Stato processerà se stesso.
L’indagine e le accuse dei pm
Per quasi tutti gli imputati coinvolti, come si legge nel documento che chiude le indagini e apre il procedimento,  l’accusa è di aver turbato “la regolare attività dei corpi politici dello Stato Italiano e in particolare del governo della Repubblica”. I primi, i mafiosi, come spiegano i magistrati sono indagati perché “usavano minaccia – consistita nel prospettare l’organizzazione e l’esecuzione di stragi, omicidi e altri gravi delitti (alcuni dei quali commessi e realizzati) ai danni di esponenti politici e delle Istituzioni – a rappresentanti di detto corpo politico per impedirne o comunque turbarne l’attività”. Gli altri, gli uomini dello Stato, per aver messo in atto diverse “condotte che, per un verso, agevolavano la ricezione presso i destinatari ultimi della minaccia di prosecuzione della strategia stragista e, per altro verso, rafforzavano i responsabili mafiosi nel loro proposito criminoso di rinnovare la predetta minaccia”.  Secondo i pm, in particolare, l’allora capo dei Ros, Antonio Subranni, colonnello Mario Mori e capitano Giuseppe De Donno: hanno contattato “su incarico di esponenti politici e di governo, uomini collegati a “Cosa Nostra” (fra gli altri, in particolare, Calogero Vito Ciancimino, nella sua veste di tramite con uomini di vertice della predetta organizzazione mafiosa ed “ambasciatore” delle loro richieste) e agevolato “l’instaurazione di un canale di comunicazione con i capi del predetto sodalizio criminale, finalizzato a sollecitare eventuali richieste di “Cosa Nostra” per far cessare la strategia omicidiaria e stragista”. In seguito questo atteggiamento avrebbe favorito lo sviluppo di una “trattativa” fra lo Stato e la mafia, attraverso reciproche parziali rinunce in relazione, da una parte, alla prosecuzione della strategia stragista e, dall’altra. Infine,  assicurato “il protrarsi dello stato di latitanza di Bernardo Provenzano”, all’epoca l’ultimo capo dei corleonesi  e secondo i pm “principale protagonista di questa trattativa”. Fra gli imputati anche Calogero Mannino, che secondo i magistrati, nel tentativo di venire incontro a quelle richieste avrebbe contattato  dai primi mesi del 1992, “esponenti degli apparati info-investigativi al fine di acquisire informazioni da uomini collegati a “Cosa Nostra” ed aprire una “trattativa” con i vertici dell’organizzazione mafiosa, finalizzata a sollecitare eventuali richieste di Cosa nostra “per far cessare la programmata strategia omicidiario-stragista, già avviata con l’omicidio dell’on. Salvo Lima e che aveva inizialmente previsto l’eliminazione, tra gli altri, di vari esponenti politici e di Governo, fra cui egli stesso Mannino”, esercitando “indebite pressioni finalizzate a condizionare in senso favorevole a detenuti mafiosi la concreta applicazione dei decreti di cui all’art. 41 bis” carcere duro per i mafiosi. Questi atteggiamenti avrebbero “rafforzato” l’intento criminale del dialogo Stato – mafia in corso.  Chi fece da tramite, fra pezzi dello Stato e pezzi della mafia? Secondo i pm che hanno ricostruito tutti i dettagli di queste diverse fasi della trattativa Stato – mafia i mafiosi Leoluca Bagarella e Giovanni Brusca, attraverso il famoso “stalliere di Arcore” Vittorio Mangano e il politico Pdl, Marcello Dell’Utri avrebbero portato avanti “una serie di richieste finalizzate ad ottenere benefici di varia natura (tra l’altro concernenti la legislazione penale e processuale in materia di contrasto alla criminalità organizzata, l’esito di importanti vicende processuali ed il trattamento penitenziario degli associati in stato di detenzione) per gli aderenti a Cosa nostra”. Spiegando, scrivono i pm, che queste azioni avrebbero fatto cessare la fase stragista iniziata con omicidio di Salvo Lima e proseguita con le stragi in Sicilia e a Roma, Firenze e Milano. Per questa ragione il numero uno di Forza Italia, amico e sostenitore di Silvio Berlusconi, secondo i pm,  si sarebbe attivato proprio dopo omicidio Lima “come interlocutore degli esponenti di vertice di “Cosa Nostra” per le questioni connesse all’ottenimento dei benefici di cui Cosa nostra aveva bisogno”. In  seguito “rinnovando” questo dialogo “con i vertici di Cosa Nostra, in esito alle avvenute carcerazioni di Vito Ciancimino e Totò Riina, “così agevolando il progredire della “trattativa” Stato-mafia”.  Nicola Mancino, in questi mesi di nuovo al centro del dibattito pubblico per le sue telefonate con il “Colle” proprio in merito all’indagine dei magistrati di Palermo, invece sarebbe indagato per “falsa testimonianza al fine di assicurare impunità ad esponenti delle istituzioni coinvolti nella trattativa”.
Lo Stato parte civile nel processo 
La seduta di oggi si svolge a porte chiuse presso l’ aula bunker del carcere Pagliarelli di Palermo ed è stata rinviata al 15 novembre prossimo. Il Governo Italiano si costituirà parte civile nel procedimento giudiziario e così sembrano intenzionate a fare anche molte associazioni antimafia, partiti e istituzioni locali (nove le richieste di costituzione civile giunte già stamani).  Ad aspettare gli imputati fuori dall’aula bunker il popolo delle Agende Rosse, che ha manifestato la propria vicinanza ai magistrati di Palermo riunendosi in sit – in contemporanei davanti tutti i tribunali d’Italia. «Provo una grande emozione –  ha dichiarato ai giornalisti il procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia – perché è l’inizio di un processo importante, ma anche perché sono i miei ultimi giorni a Palermo e questa potrebbe essere la mia ultima udienza da procuratore aggiunto qui». Il procuratore è in partenza per il Guatemala dove continuerà il suo lavoro e l’impegno contro le organizzazioni criminali internazionali per conto dell’Onu.
In allegato gli approfondimenti su “trattativa Stato – mafia” pubblicati da Libera Informazione

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