Società fantasma per emettere fatture false e frodare il fisco ma il tesoro da trenta milioni di euro, accumulato per anni sotto forma di fabbricati, aziende, auto, moto e conti, finisce allo Stato. Sarà amministrato dall’agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati, che ne curerà la destinazione e il riutilizzo ai fini sociali, il tesoro dei «re dei telefonini» di Taranto, Renato e Alessandro Amandonico, padre e figlio rispettivamente di 51 e 29 anni, imputati in un procedimento per false fatturazioni e evasione fiscale.
Dopo il sequestro operato ad aprile 2019 dagli uomini della guardia di finanza, è scattata la confisca in base al codice antimafia per nove immobili, un terreno con uliveto, una ventina di mezzi tra auto e moto e ancora quote societarie, polizze assicurative, conti correnti e sei aziende opepranti nel campo della telefonia con ben quindici punti vendita tra Taranto (due dei quali nei due più grandi centri commerciali del capoluogo ionico), Grottaglie, Manduria, Bari, Roma e Milano. È stato uno dei primi casi in cui i giudici delle misure di prevenzione, ritenendo gli imputati socialmente pericolosi in quanto evasori abituali, hanno applicato la normativa antimafia a imputati per reati fiscali. Secondo le indagini del nucleo di polizia economici finanziaria delle fiamme gialle di Taranto, nell’arco di circa quindici anni, gli Amandonico hanno accumulato ricchezze, beni e risorse economiche del tutto sproporzionate rispetto ai redditi dichiarati commettendo evasioni e frodi fiscali per circa 20 milioni di euro. Per farlo, secondo gli investigatori, hanno utilizzato società cartiere che emettevano fatture false creando così falsi passivi per evadere il fisco.
A lanciare l’allarme è stato il software «Molecola», un sofisticato programma in grado di svelare sproporzioni tra guadagni effettivi e tenore di vita. L’ipotesi segnalata dal software segugio è stata poi confermata da indagini patrimoniali e riscontri documentali dei finanzieri. L’inchiesta si è conclusa a maggio 2019 con la richiesta di rinvio a giudizio da parte della procura ionica per i due Amandonico e altri 22 imputati accusati a vario titolo di reati tributari e bancarotta fraudolenta. Le aziende coinvolte, in alcuni casi sono risultate società fantasma, senza sede legale e dipendenti, senza dichiarazioni fiscali, documenti e scritture contabili. I guadagni illeciti sarebbero stati poi reinvestiti nel circuito legale attraverso investimenti, acquisto di immobili, intestati in alcuni casi anche a parenti risultati privi di alcun reddito. Una condotta che, secondo i pm, ha creato confusione tra capitali leciti e illeciti.