Soldi e benefit dal clan per pilotare le indagini

Quando la tempestività è tutto. Riuscivano sempre a stare un passo avanti alle indagini. In alcuni casi, si presume, potrebbero aver «bonificato» quei luoghi dove gli investigatori, a caccia di indizi si stavano preparando a ficcare il naso oppure essere diventati uccel di bosco prima dell’arresto. C’era qualche cosa di strano in quella apparente capacità divinatoria, quasi profetica che la malavita di Giovinazzo legata alla paranza dei Di Cosola, famiglia della camorra barese, sembrava aver sviluppato. Alla fine gli investigatori sono arrivati alla più ovvia delle conclusioni: il crimine organizzato riusciva ad anticipare le loro mosse grazie alle soffiate di una «talpa». I carabinieri del Nucleo investigativo del Comando provinciale di Bari, sotto la guida del maggiore Stefano Invernizzi, nel corso di indagini condotte sotto il coordinamento del pm antimafia Federico Perrone Capano, hanno scoperto che le talpe erano due, due sottufficiali dell’Arma, di stanza presso la stazione di Giovinazzo, due appuntati che per il tramite di una specie di sensale, un commerciante del posto, incensurato, avrebbero fatto giungere a un ras di Giovinazzo, referente in loco del clan fondato dal padrino Antonio Di Cosola, morto in carcere, una serie di «primizie», notizie assai succulente su operazioni di polizia giudiziaria anche relative ad indagini in corso; sui turni di servizio degli altri militari della stazione e sugli orari in cui sarebbero avvenuti i controlli nei confronti degli affiliati dell’organizzazione sottoposti a misure coercitive, come gli arresti domiciliari.

Stando alla ricostruzione degli investigatori i loro colleghi infedeli in almeno tre distinte circostanze avrebbero fatto pervenire al proconsole della mafia barese in terra di Giovinazzo, sotto sua sollecitazione, documenti informatici e cartacei contenenti registrazioni e verbali di dichiarazioni rese da collaboratori di giustizia. Non basta. Sempre stando alla versione degli inquirenti, i due appuntati in più occasioni, avrebbero «ricevuto denaro e altre utilità per omettere o ritardare atti del proprio ufficio e per compiere atti contrari ai doveri di ufficio, al fine di agevolare taluni appartenenti all’articolazione locale del clan Di Cosola». Giusto per fare un esempio: dal verbale di un duplice arresto per furto sarebbe sparito il particolare, tutt’altro che trascurabile, in base al quale uno dei due presunti ladri (proprio per questo non più denunciato), aveva nascosto in un box doccia l’intero bottino, commettendo così il reato di ricettazione. Oppure come quando entrambi facevano giungere «soffiate» sulle operazioni ancora da compiere, sugli arresti che sarebbero stati eseguiti e su particolari rilevanti di quelle indagini.

Fino al 2015 la quota pro capite per il pagamento dei servigi offerti non avrebbe superato i 1.000 euro, dopo quel periodo, l’organizzazione avrebbe consegnato ai due presunti informatori clandestini 500 euro al mese. Tenere a busta paga i due carabinieri dal 2012 al 2018 (periodo delle indagini), sarebbe costato complessivamente 400mila euro. I due militari infedeli sono stati arrestati ieri mattina dai loro stessi colleghi con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa, corruzione in atti giudiziarie rivelazione del segreto d’ufficio. Le manette sono scattate ai polsi anche del referente locale della famiglia mafiosa e del commerciate che ha agito da mediatore. Gli ordini di custodia cautelare portano la firma del gip Marco Galesi. Dagli atti dell’inchiesta emerge che alle due «famiglie» con i gradi militari, come in ogni rapporto di clientela che si rispetti, sarebbero giunte regalie ed utilità di vario genere. Come quella volta che il malavitoso indagato, ordinò ad un suo sodale di provocare un incidente stradale per dare la possibilità ad uno degli appuntati di ricevere, come è scritto nel fascicolo di inchiesta «L’indebito risarcimento del danno nonché l’indennità di servizio connessa alla conseguente malattia». Oppure come quando un Natale di qualche anno fa, a casa dello stesso militare giunsero un cesto pieno di leccornie, un televisore al plasma e un robot per cucina tipo Bimby.

fonte: Luca Natile – edicola.lagazzettadelmezzogiorno.it

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