Sentenze truccate, ora processo-bis per le armi: Serafino patteggia cinque anni, l’ex giudice De Benedictis ne rischia più di 10

Chiuso il processo per le tangenti, ci sarà quello per le armi. Ieri in apertura dell’udienza preliminare il gup Laura Liguori ha detto sì al patteggiamento a 5 anni per il caporale Antonio Serafino, ma non lo ha concesso per Antonio Tannoia, custode dell’arsenale dell’ex gip Giuseppe De Benedictis. E così a giugno ci sarà un nuovo rito abbreviato, in cui l’ex magistrato rischia una condanna addirittura più alta di quella per le tangenti.

De Benedictis, Serafino e Tannoia rispondono di detenzione e porto abusivo delle armi (comuni e da guerra) ritrovate nelle rispettive abitazioni. I primi due rispondono anche di ricettazione. Serafino, ormai ex sottufficiale dell’esercito, veterano di guerra con compiti di intelligence, è uno dei fornitori di armi di De Benedictis e ha pienamente ammesso le sue responsabilità: in un lungo interrogatorio del 21 giugno, in parte ancora omissato, il militare ha ricostruito la genesi dei rapporti con l’ex gip. La posizione di Tannoia, proprietario della masseria di Andria in cui sono stati ritrovati oltre 160 esemplari tra pistole, fucili e mitragliatrici anche da guerra, è invece più delicata.

De Benedictis ha dato la sua versione sull’arsenale in un interrogatorio del 10 giugno scorso: «Tutto ciò che è appartenuto a militari di qualsiasi nazione può essere mio… è mio sicuramente. Tutto ciò che non è appartenuto a militari non è mio, perché non mi interessa. Io non ho interesse a prendere fucili da caccia». Ha riconosciuto il possesso di una mina anticarro («Quella era di mio zio, buonanima, ma non funziona perché è priva di spoletta») e dei silenziatori artigianali Alcuni erano miei, altri li abbiamo fabbricati insieme io e Tannoia»), e ha detto che le armi trovate ad Andria non venivano utilizzate: «Tutto ciò che andava a finire lì dentro moriva lì, non veniva più riesumato». Ha poi raccontato come trovava le armi: «Non mi sono mai rivolto a malavitosi. Non ne avevo bisogno… Sempre le divise e in qualche raro caso Tannoia».

Dalle indagini è emersa anche una suggestione che, allo stato, non ha avuto sviluppi. Quella in base a cui Tannoia fosse in odore di Servizi segreti e avesse contatti con militari (o ex militari) con base in Friuli e in Slovenia, e che fossero queste le fonti di approvvigionamento delle armi. I carabinieri hanno anche ricostruito due sopralluoghi che De Benedictis e Tannoia avrebbero fatto tre anni fa in un cimitero di Casoni Borroni, frazione di Mezzana Bigli, provincia di Pavia, alla ricerca di armi interrate dai partigiani. «Io e Antonio Tannoia – ha detto l’ex gip – tornammo, ma non col metaldetector ma con il sistema dei tombaroli, cioè lo spadino che si infila nel terreno per cercare le antiche tombe». Ne è emersa una storia quasi da film. Un commercialista di Sannazzaro, ha detto l’ex magistrato, «ci ha narrato di questo che era l’ultimo custode di questo deposito comunista. “Una volta che è morto questo, adesso possiamo fare quel che vogliamo” (…) Ci disse di cercare lì perché in quel punto ci disse che gli era schizzato il metal detector e che… ci disse che il nonno di 93 anni aveva detto che le armi erano chiuse in bidoni da latte». Fatto sta che il recupero non è andato in porto: i bidoni – ha spiegato De Benedictis – erano impilati l’uno sopra l’altro, e l’ultimo («Come facevano i partigiani») era pieno di esplosivo, per cui – pur avendoli individuati – non sono stati tirati fuori «per non saltare in aria».

Tannoia, arrestato in flagranza il giorno della scoperta dell’arsenale, ha dato una versione completamente opposta. Ha detto che le armi nascoste nel pozzo dell’acqua piovana della masseria erano tutte dell’ex gip De Benedictis: «Io avevo capito una cosa e anche perché me l’aveva detto, che queste armi prevalentemente erano armi che dovevano andare in distruzione dal Tribunale come corpi di reato». Anche sulla vicenda del cimitero, Tannoia ha dato una versione fumosa: «Il dottor De Benedictis mi diceva che aveva saputo che c’era un altro deposito di armi partigiane vicino a un cimitero (…), queste armi erano state nascoste per anni in un castello lì vicino che poi erano state spostate». La polizia di Bari, che ha fatto un sopralluogo sul posto, ha riconosciuto il cimitero, il muro di cinta e la strada descritta dall’ex giudice ma non è riuscita a confermare la presenza dei bidoni di latta con le armi.

fonte: Giovanni Longo e Massimiliano Scagliarini

– www.lagazzettadelmezzogiorno.it

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