Riscoprite “la cultura della vergogna” e chiedete semplicemente scusa

 Questo vecchio articolo del 27 ottobre del 2012 (“la Repubblica“), che mi ha inviato una cara amica, mi ha aiutato a cogliere in pieno il senso di quello che sta accadendo a Molfetta. Al di là dei corsi e ricorsi storici, a cui spesso si assiste con indifferenza e assuefazione, c’è questo senso del pudore e della vergogna che è scomparso.

E non penso solo al Sindaco che non riesce a provare vergogna e a dimettersi chiedendo scusa ai suoi cittadini, ma penso anche a coloro che hanno avuto grandi responsabilità amministrative nel governo cittadino e che negli ultimi giorni, e nelle ultime ore, non provano vergogna nel riproporsi come “salvatori della patria”. Dietro di loro, come sudditi che si nutrono di briciole, chi si innamora facilmente del “salvatore della patria” ma facilmente se ne disamorano quando nel piatto non ci sono più briciole. Anche nella nostra città non passa giorno che uomini politici, affaristi, costruttori, dirigenti e criminali vengano trovati con le mani nel sacco o sbugiardati nelle loro affermazioni e nessuno dà le dimissioni, nessuno si ritira a vita privata, nessuno semplicemente chiede scusa.

di Matteo d’Ingeo

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RISCOPRIAMO LA CULTURA DELLA VERGOGNA

Caro Augias, leggevo queste parole del prof. Guido Rossi: «La trasparenza e la cultura della vergogna paiono l’unica arma contro la prepotenza delle oligarchie palesi o simulate, che hanno definitivamente corrotto il concetto fondamentale di Stato». Giusto. Ma noto la totale assenza di vergogna, dalle fisionomie degli uomini pubblici chiamati a vario titolo in causa per ragioni discutibili o abominevoli. Nemmeno dinanzi alle domande su fatti riprovevoli e accertati viene mai meno quella “arrogante auto-esaltazione“, per usare ancora parole di Rossi, che si fissa in maschere anche molto diverse fra loro, ma che sembrano tutte forgiate nel “bronzo”. Altro che “cultura della vergogna“, non si trova più traccia nemmeno di una pur minima briciola di pudore, e nemmeno pare che abbia più valore da noi quello che nel resto del mondo risulta ancora una sorta di arma invincibile, quello sprofondare nel ridicolo che giustifica l’ affermazione, “una risata vi seppellirà“. Una positiva “cultura della vergogna”, può essere rimessa in circolo solo da noi cittadini, noi dobbiamo cominciare, possibilmente, a vergognarci. Almeno delle nostre scelte elettorali. Vittorio Melandri – [email protected]

Augias risponde:

CONCORDO con l’analisi del prof. Rossi qui sintetizzata dal signor Vittorio Melandri. Uno dei lasciti del tempo, da addebitarsi in buona parte all’ex presidente del Consiglio, è la scomparsa del senso del pudore che dobbiamo ampliare fino a comprendere vergogne di ogni tipo anche metaforiche. Sono in circolazione uomini politici che ogni democrazia appena decente considererebbe impresentabili. Invece tuonano, creano correnti, hanno seguaci, aspirano a un rinnovato potere. In un bel libro uscito qualche mese fa (Senza vergogna, Guanda ed.) Marco Belpoliti scrive: «La vergogna non c’è più. Quel sentimento che ci suggerisce di provare un turbamento, oppure un senso d’indegnità di fronte alle conseguenze di una nostra frase o azione, che c’induce a chinare il capo, abbassare gli occhi, evitare lo sguardo dell’altro, a farci piccoli e timorosi, sembra scomparso». L’autore analizza il sentimento della vergogna attraverso il pensiero di filosofie intellettuali, da Primo Levi a Musil, da Kafka a Sartre, da Derrida a Andy Warhol. Belpoliti fa notare come in Giappone, ad esempio, la vergogna sia la radice stessa della virtù, il fondamento del sistema di valori. Qui da noi non passa giorno che uomini politici, affaristi, costruttori, banchieri, attrici, alti funzionari dello Stato vengano trovati con le mani nel sacco o sbugiardati nelle loro affermazioni. Nessuno dà le dimissioni, si ritira a vita privata, semplicemente chiede scusa.

Dal libro: «La vergogna è diventata un tabù. Si è trasformata in vergogna di non aver successo, di non essere notati: la terribile vergogna di non essere nessuno»

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