Riflettiamo insieme: che fare?

Quella che segue è la bozza di documento del 20 dicembre 2005 proposto dal sottoscritto all’indomani delle primarie per costituire il fronte dei Lillinomai.
Il documento era  riscritto e ispirato al documento del 1993 che diede vita al Percorso. Credo che quel documento quanto mai attuale e bistrattato da molti sia la fotografia di questa città.
Anche il sommovimento di questi giorni contro gli abusi edilizi (B2, B4, legnami Pansini, ecc..) dimentica che molte scelte urbanistiche che oggi si contestano sono nate nella sciagurata stagione dell’amministrazione Minervini Guglielmo alleata ai Visaggio & C.
Non potrà mai esserci cambiamento se non si avvia un’analisi critica seria di quel periodo.
Molte di quelle zone su cui oggi si contesta l’edificazione erano chiamate "zone bianche" sull’ormai noto " libretto verde". Zone urbane su cui non si doveva costruire, e dove era previsto verde e servizi. Ebbene i protagonisti di quell’inciucio sono ancora in giro e qualcuno li ha voluti ancora una volta nel centro sinistra. Ed ora di cosa vi lamentate?

Documento del 20 dicembre 2005

Molfetta vive una fase importante della sua storia. Siamo a un bivio. Dobbiamo scegliere se continuare a percorrere le vecchie strade o imboccare quelle di una radicale trasformazione. Il ceto politico e affaristico che ha governato la città occupando ogni spazio della vita amministrativa, sociale, economica e culturale si sta disgregando. Anche a Molfetta, come nel resto del Paese, il sistema di potere fondato sulla corruzione, sulle clientele, sul voto di scambio, apparentemente  in crisi, dopo la tangentopoli( oggi Bancopoli) del ’92 é ancora in piedi. I danni provocati sono gravissimi: la città è scivolata verso livelli, ancor più gravi che nel passato, di degrado sociale, di dissesto territoriale, e di illegalità diffusa sino ai limiti di pericolose contiguità tra la politica e criminalità; l’idea stessa della politica è squalificata e sempre più associata alle logiche dell’astuzia affaristica.
Troppi sono stati e sono coloro che hanno ceduto o non hanno saputo ascoltare, interpretare, aggregare e rappresentare a livello istituzionale il dissenso pure esistente nella città.
In questi anni difficili, però, c’è stato sempre un altro modo di fare politica, un’opposizione diffusa che ha ,di volta in volta, assunto forme collettive o individuali, visibili o sommerse. Un’area vasta e variegata, anche se frammentata, composta da gruppi di base e nuovi movimenti politici, gruppi di volontariato, associazioni eco-pacifiste, di giovani e di donne, operatori sociali e animatori culturali, responsabili e gruppi della comunità ecclesiale, che insieme hanno testimoniato una qualificata progettualità politica sulla città.
Un grande potenziale di intelligenze, professionalità, passione, ansia di giustizia. Gente che ha svolto con abnegazione il proprio impegno nel sociale o ha fatto semplicemente il proprio dovere, tenendo così in piedi il meglio di una città che il ceto politico dominante sta invece degradando.
E’ giunto il momento che questa " politica diffusa" si aggreghi e assuma il compito di governare la città rompendo radicalmente con il passato, non tanto remoto.
Il futuro non può essere affidato ai soliti nomi, a vecchi e nuovi notabili della D.C., magari camuffati sotto qualche nuova sigla, a pezzi delle vecchie forze politiche di maggioranza corresponsabili del degrado, che cercano di perpetuare il loro potere con patetici quanto pericolosi tentativi di riciclarsi indossando nuove maschere. La città ha bisogno di cittadini onesti, competenti, responsabili, e soprattutto credibili; di persone che hanno saputo concretamente testimoniare con il loro impegno politico, sociale, culturale o professionale la loro adesione ai valori fondamentali della democrazia, della solidarietà, della legalità, della difesa dell’ambiente e della pace .

Ci sono grandi scelte da compiere, e non dovrà più accadere che a farlo sia chi antepone i propri interessi a quelli della collettività. Al primo posto dovranno esserci i bisogni della città, il suo ambiente e la sicurezza.
Scegliere un governo del territorio che preveda una drastica riduzione delle ipotesi espansive e il recupero e la riqualificazione della città costruita.
Scegliere le strade di un’autentica riconversione della città per puntare, tanto sul versante produttivo che su quello dei servizi, sulla valorizzazione di tutte le risorse disponibili, su un modello di sviluppo sostenibile in grado di produrre benessere per tutti e non per pochi.
Scegliere di ripristinare la legalità, di ristrutturare e riorganizzare la macchina amministrativa, di progettare una città solidale, bella e vivibile
Per fare tutto questo, Molfetta ha bisogno di un nuovo e straordinario risveglio delle coscienze, di un nuovo protagonismo dei cittadini per costruire una fase di radicale rinnovamento della vita politica e sociale, che si contrapponga alle logiche dei comitati d’affari che feriscono la dignità e l’operosità della nostra città e mortificano la speranza del cambiamento.

La cittadinanza attiva o la società civile. ha avuto in passato ed ha ancora un ruolo fondamentale, non solo nell’elaborazione di un  programma di governo, ma anche nel processo di gestione del programma stesso e nella condivisione delle  regole che devono necessariamente accompagnare il processo.

Questa società civile non vuole più delegare o subire processi politici, ma vuole essere nuovamente protagonista del cambiamento in un rapporto paritetico con le forze politiche.

Oggi il far politica purtroppo è sinonimo di conquista di potere.  Non c’è niente da fare, politica significa incrociare il problema del potere.
Il potere è una grossa tentazione, una grossa iattura per l’uomo. Il potere di cui parliamo è il potere di prendere decisioni per altri uomini, su materie che interessano altri uomini. Il potere politico è il potere di decidere il destino di altri: di quante tasse devo pagare, di dove devo andare a curarmi la salute, di dove parcheggiare, ecc, ecc, …; ma a che scopo, qualcuno ha il potere di prendere decisioni per altri uomini?
I casi sono due, scegliete: o perché questo gli da dei grossi vantaggi sugli altri uomini o perché desidera servirli.
Il "vantaggio" o il "servizio"? Questo è il bivio che ci attende per il cambiamento reale della politica, insieme ad una rinnovata battaglia sulla questione morale.

E’ necessario ripensare profondamente sedi e forme della politica, rimettere al centro la partecipazione popolare, rinnovare ed estendere la democrazia, ripartire da contenuti chiari ancorati solidamente ai bisogni quotidiani di ciascuno.
Vogliamo incidere nelle scelte guardando ai contenuti e senza cedere alla logica degli schieramenti, dando efficacia e continuità ad uno spazio di autonoma iniziativa dei movimenti sociali che viva prima, durante e dopo la scadenza elettorale, capace di interagire con essa ma anche di guardare oltre. L’impegno dei movimenti sociali per conseguire questi obbiettivi sarà quello di far vivere questi progetti anche dopo le elezioni.



2 Risposte a “Riflettiamo insieme: che fare?”

  1. Credo che la definizione di “pifferaio magico” sia abbondantemte stata già utilizzata …il problema è che non incanti più nessuno caro D’ingeo. Guarda che questa visione movimentista della politica è anche finita, Gli stessi Flores D’Arcais l’hanno ammesso.Analizzate i voti. Perchè i quartieri più popolari ed economicamente fragili di Molfetta votano a destra. Soltanto per bisogno? Soltanto perchè “vengono” comprati.? Conosco gente onestissima, operai, piccoli commercianti, che non votano a sx perchè non “ci capiscono”….Altro che partecipazione popolare…mi sembra molto molto piccolo borghese quello che si propone. Perchè non prendere atto che il liberatorio è “datato” come espierienza politica. Ci vuole un ricambio generazionale e non vedo purtroppo dietro la mia di generazione (sono un quarantenne) molto su cui scommettere. Per cui teniamoci stretti i Corrado Minervini, Antonello Zaza, anche se sbagliano come è ovvio e nel contempo finiamola di addebitare colpe al pregresso all’oscuro “burattinaio” (dicasi G.Minervini). La colpa è nostra, della nostra generazione che non ha saputo parlare ai giovani e non ha saputo convincere gli altri.

    Giuseppe Porcelli

    Docente

  2. Questo collega mi sembra che abbia le idee un pò confuse, spero che a scuola insegni con più chiarezza. Poveri alunni in mano a chi li lasciamo.

    Franco M.

    docente s.m.

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