Video/ Il procuratore: “Secondo Ragosta lo Stato gli doveva dei soldi”
Le accuse: associazione camorristica e riciclaggio. E soprattutto impunità grazie alla complicità dei giudici tributari. Nella notte eseguite sessanta ordinanze di custodia cautelare: ventidue persone in carcere, venticinque ai domiciliari, tredici divieti di dimora. Sono ben sedici i giudici tributari coinvolti (tre in carcere e tredici ai domiciliari), otto tra funzionari e impiegati delle commissioni tributarie.
LA SCHEDA/Chi è il gruppo Ragosta
Coinvolti anche un garante del contribuente della Campania (ai domiciliari) e un funzionario dell’agenzia delle entrate (divieto di dimora). Sequestro preventivo di beni per ben un miliardo di euro.
L’ELENCO/ Tutti i nomi dei coinvolti
Le verifiche fiscali delle Fiamme gialle del comandante regionale, generale Giuseppe Mango, coordinate dalla Dda (pm Curcio, Milita e Teresi) erano state avviate nel 2008 nei confronti di ventisette società di Napoli e provincia, tutte riconducibili allo stesso gruppo imprenditoriale campano.
LE IMMAGINI/I palazzi del caso
Venivano così ricostruiti emissioni di fatture inesistenti e mancati versamenti fiscali. Fin qui il coinvolgimento per competenza della procura di Nola. Ma intanto l’Antimafia aveva avviato un suo procedimento per i sospetti rapporti tra i fratelli titolari del gruppo imprenditoriale e il clan Fabbrocino, anche con il contributo di numerosi collaboratori di giustizia.
L’ALLARME/”Attenti, la corruzione è fenomeno diffuso”
Le indagini si sono estese al regno del Belgio, al Lichtenstein e al Lussemburgo e, in seguito, in Svizzera, nelle cui banche confluiva il denaro di provenienza illecita.
IL PERSONAGGIO/Massaccesi, l’uomo del Yatcht club Capri
Intanto gli avvisi di accertamento fiscale del nucleo di polizia tributaria venivano impugnati dal gruppo imprenditoriale davanti alle commissioni tributarie di Napoli e della Campania.
E le intercettazioni svelavano il fronte della corruzione con una sorta di “mercato delle sentenze”. Giudici tributari che aggiustavano le sentenze in cambio di favori, permettendo addirittura ai privati di redigere personalmente le sentenze.
In pratica con la complicità dei giudici il denaro sfuggito allo Stato e rintracciato dalla Guardia di Finanza non rientrava in cassa grazie alle sentenze truccate.