Il 7 luglio del 1992 a Molfetta fa caldo. La temperatura è decisamente alta ed è così già da qualche giorno. L’atti vità amministrativa è agli sgoccioli, ancora qualche settimana e poi ci sarà la pausa a ridosso del solleone. Non è un giorno festivo. Anche se, già dopo le 13, la città sembra spenta. Poche le autovetture lungo le strade. Serrate le saracinesche dei negozi. Non sono ancora arrivati i centri commerciali e l’idea di tenere aperti i supermercati e i bar anche all’ora di pranzo è lontana.
A Palazzo di Città alle 13 sono in corso i lavori della giunta comunale. Termineranno poco più di un’ora dopo. Sembra un giorno qualunque. Invece non sarà così. Il 7 luglio del 1992 entrerà negli annali cittadini come uno dei giorni più bui: quel giorno una mano assassina fredderà con un colpo di fucile il sindaco in carica, Gianni Carnicella.
E’ un rumore assordante, percepito anche a centinaia di metri di distanza, a scuotere la città che sonnecchia.
Sono le 14.30 circa. Un fragore, poi le urla, le sirene delle ambulanze. Sul sagrato della chiesa di San Bernardino, a pochi metri di distanza dalla sede municipale di Via Tattoli, Gianni Carnicella, il sindaco, giace in una pozza di sangue. E’ uscito dal Comune al termine dei lavori di Giunta per andare a casa, è stato raggiunto da Cristofaro Brattoli. L’uomo è armato. Ha con sè un fucile. Tra i due c’è solo uno scambio di battute, poi Brattoli spara, a distanza ravvicinata e colpisce il sindaco ad un fianco. E scappa. Anche se è una fuga inutile. Tutti quelli che erano lì con Carnicella hanno visto e lo hanno pure riconosciuto. Brattoli è il titolare di una ditta che allestisce palcoscenici e organizza eventi.
Da tempo chiedeva permessi per poter portare a Molfetta il concerto di Nino D’Angelo, molto in voga in quegli anni che il sindaco non concedeva. Finirà in gabbia inchiodato davanti alle sue responsabilità. Tutte le attenzioni sono per Gianni Carnicella. Le condizioni del sindaco, che all’epoca ha quarantatre anni, sono gravissime. Per strapparlo alla morte viene tentata ogni cosa. I medici lo sottopongono a delicatissimi interventi chirurgici ma Gianni Carnicella sta perdendo molto sangue.
E allora scatta una gara di solidarietà a cui partecipa l’intera città. L’ospedale viene preso d’assalto. C’è una coda interminabile davanti al centro trasfusionale per donare sangue. Ci sono persone che neppure conoscono il sindaco ma che sentono di dover fare qualcosa per lui.
In ospedale, per donare, e per portare il suo conforto, arriva anche don Tonino Bello, il vescovo della Diocesi. E poi è una passerella di politici. Tutti i nomi eccellenti della Democrazia Cristiana e i vertici istituzionali di provincia e regione sono a Molfetta, in ospedale.
Ma ogni tentativo risulterà inutile. Gianni Carnicella morirà qualche minuto dopo le 23, quello stesso giorno. Perfino la preoccupazione di fermare l’assassino viene dopo. E’ il tempo del dolore. Cristofaro Brattoli viene comunque arrestato poco tempo dopo.
E’ lui l’assassino. Ed è chiaro, fin troppo chiaro, anche il movente: il permesso negato dal sindaco, perché non ci sono i presupposti minimi di sicurezza, ad utilizzare una struttura comunale per il concerto.
Per quell’omicidio Brattoli viene condannato a venticinque anni di reclusione in primo grado che poi diventano diciotto in appello. Già nel 2005 è in semi libertà, poi è libero. Per i familiari di Gianni Carnicella, per i vertici dell’Osservatorio 7 luglio (nato proprio in seguito a quell’omicidio), e per tanti altri, nel corso di quel processo non è emersa tutta la verità. Cristofaro Brattoli ha sparato e ucciso, ma il movente di quell’omicidio non li convince.
Nel 2008 gli esponenti dell’ufficio legale di Libera, associazione nomi e numeri contro le mafie, i parenti del sindaco assassinato e i fondatori dell’Osservatorio 7 luglio, avanzano la richiesta di avvio della pratica perché Gianni Carnicella venga considerato vittima di mafia. Ieri il manifesto in chiaroscuro. [l. d’a.]