“Quel fucile a canne mozze ancora fumante”: 27 anni dalla morte di Gianni Carnicella

Come da tradizione oramai consolidata, nell’anniversario dell’omicidio dell’ex sindaco di Molfetta Gianni Carnicella, il Liberatorio politico di Matteo d’Ingeo ha organizzato sabato 6 luglio presso la sala consiliare del Comune di Molfetta la conferenza dibattito “Quel fucile a canne mozze ancora fumante”: il titolo, evidentemente forte ed evocativo, dalla genesi secca ed univoca, rende già ragione di qualcosa che appare evidentemente non consumato del tutto, ma piuttosto come una storia in continuo divenire a cui ogni anno si aggiunge un minuscolo tassello in direzione della scoperta della verità, battaglia che Matteo d’Ingeo si è sempre assunto personalmente con dedizione e coraggio.

Era il 7 luglio 1992 quando la controra molfettese veniva interrotta bruscamente dal rumore degli spari e dal suono delle ambulanze, consegnando ai nefasti onori della cronaca la nostra città come luogo della prima uccisione di un sindaco in costanza delle sue funzioni. Da allora, la ferita di quel brutale omicidio non si è mai rimarginata, anzi paradossalmente si è ancora più crudelmente incancrenita. A tessere le fila e a fare il punto delle indagini e di cosa concretamente oggi sappiamo di quell’omicidio, ci ha pensato l’eloquio fluente e lucido di Matteo d’Ingeo che, partendo dall’omelia che Don Tonino pronunciò in occasione del funerale del sindaco Carnicella il 9 luglio 1992, ne ha dimostrato l’intrinseca attualità: dall’altare, infatti, l’indimenticato vescovo sostenne che gli spari di quell’assolato pomeriggio chiusero la faccenda del celeberrimo concerto della discordia, ma aprirono quelli del malessere di una città spesso colpevolmente taciuto. Un malessere che, secondo d’Ingeo, è ancora tristemente presente nelle dinamiche cittadine, permeante come una pesante coltre che avvolge e soffoca Molfetta stessa.

Non sono mancate anche le stoccate in riferimento alla posa della pietra d’inciampo in memoria del sindaco Carnicella che, secondo Matteo d’Ingeo, non riportando, come avviene per tutte le vittime di reati ugualmente efferati, le circostanze della morte del primo cittadino, consegna alla memoria delle future generazioni un quadro incompleto e che rischia rapidamente di scolorire: sarebbe bastato, nella sua opinione, il semplice inciso iniziale “Qui cadde sotto il fuoco di un fucile a canne mozze” a rendere maggiore giustizia dell’accaduto, piuttosto che dare nella formulazione attuale l’impressione quasi di una “caduta” accidentale. Chiudendo il suo intervento, Matteo d’Ingeo ha nuovamente ribadito la sua volontà di non fermarsi nel suo impegno civico per la ricerca della verità nell’omicidio Carnicella e nel porre sotto attenzione delle competenti autorità i fenomeni delinquenziali che imperversano per Molfetta, cercando di rispondere alle domande ancora irrisolte che portarono alla morte del sindaco nel ’92.

Nel dibattito conclusivo, portato avanti dalle domande e dagli interventi di alcuni dei presenti, tra cui l’ex sindaco Paola Natalicchio che ha raccontato della sua esperienza come amministratrice nei confronti della criminalità della città, è stato lodato da tutti il coraggio di d’Ingeo nel sostenere questa battaglia di legalità, spesso in maniera quasi del tutto solitaria, senza che però questo abbia mai costituito un deterrente a minare il suo impegno.

fonte: Verdiana Mastrofilippo – www.molfettaviva.it

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