Quando i piromani agiscono su commissione

Il 2 maggio 2012 sul sito del Comando Provinciale dei Carabinieri apparve un comunicato stampa con cui si annunciava l’arresto di un piromane seriale, il sorvegliato speciale Alessandro Albanese, di 47 anni, accusato dell’incendio di 11 autovetture  tra marzo e aprile di quell’anno a Molfetta. 

Il 2012 fu l’anno in cui si registrò il più alto numero di auto incendiate. Fino ai giorni precedenti all’arresto dell’Albanese erano state 32 le auto incendiate e dopo l’arresto, fino alla fine dell’anno, ne incendiarono altre 17. E queste ultime non potevano essere state incendiate dall’Albanese Alessandro perché in carcere.

In questi giorni è accaduto la stessa storia, i Carabinieri annunciano l’arresto del piromane del 4 novembre scorso quando, in un cortile privato in via Maranta, s’incendia una SMART; si tratta del pluripregiudicato Paolo Lomuscio di 48 anni, molto conosciuto alle forze dell’ordine e anche in città. 

Ma, anche questa volta, a meno di 24h dal suo arresto s’incendia un’altra auto in via vico I° Madonna dei Martiri e quindi anche Lomuscio non può essere il responsabile dell’ultimo incendio.

Ma il nome di Paolo Lomuscio girava in città già dalla scorsa estate, come possibile piromane. E forse è questo l’elemento che lo accomuna all’altro piromane arrestato nel 2012 Alessandro Albanese. Sia nel 2012, che in questo 2020, l’attenzione delle istituzioni, politiche e militari, dell’opinione pubblica è stata talmente alta che c’era bisogno di allentare la tensione sociale individuando un capro espiatorio da sacrificare, sia per calmare le acque che per depistare le indagine.

Conoscendo la vulnerabilità di certi pregiudicati che, per una lauta ricompensa possono essere utilizzati per compiere piccoli reati su commissione, si sceglie l’obiettivo rigorosamente sotto l’occhio di videocamere, e si crea il mostro da offrire in sacrificio al sindaco di turno che esulta per l’arresto del piromane di turno. Certo Albanese e Lomuscio hanno realmente incendiato le auto perché sono stati inchiodati dalle telecamere, ma loro sono pesci piccoli e non sono certamente il vertice della piramide criminale. Speriamo che il Pubblico Ministero che ha in carico quest’ultimo arresto sia bravo a guardare oltre Lomuscio e scopra chi gli ha commissionato l’incendio.

La nostra storia cittadina ha già avuto in passato incendi su commissione, e la verità processuale venuta fuori dall’Operazione RESET, che portò all’arresto e condanna di oltre 100 persone per detenzione e spaccio di droga, ci aiuta a riflettere. Abbiamo trovato le dichiarazioni di un collaboratore di giustizia che svela i retroscena di un incendio doloso di auto nel quartiere Madonna dei Martiri nel lontano 1993. Riproponiamo alcuni stralci di quel dibattimento perché ci aiuta a capire chi sono i protagonisti della nostra storia.

Per questo. e per tanti altri motivi non abbiamo mai accettato l’ipotesi dei corto circuiti e abbiamo sempre chiesto che si aprisse un fascicolo unico d’indagine su tutti gli incendi d’auto avvenuti in questi anni, e che potrebbero esserci ancora, includendo gli attentati dinamitardi o esplosioni di bombe carta.  E domani a chi toccherà?

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Durante il processo viene ascoltato il pentito Pietro Facchini

…omissis…

…Vi è un altro riferimento cronologico sulla vicenda qui in esame: il Facchini afferma che nel 1992 il Lasecchia e sua moglie furono tratti in arresto e in quello stesso periodo egli fu contattato direttamente dal Manganelli Giuseppe e invitato a compiere, per suo conto, un attentato incendiario a due autovetture, una Lancia Prisma ed una Renault Clio, parcheggiate in ora notturna nello stesso quartiere ove abitava il mandante (Rione Madonna dei Martiri).

Durante il controesame della difesa il collaboratore ha dichiarato di non ricordare con precisione le date e di ricordare vagamente che forse l’episodio era avvenuto d’estate.

In realtà, l’attentato è del 1993, sia pure del mese di gennaio (giorno 31, come vedremo più oltre), per cui è ragionevole pensare che gli episodi narrati dal collaboratore vadano spostati nel tempo di almeno un anno rispetto a quello che è l’odierno ricordo cronologico di costui, essendo logico ritenere che il Manganelli si sia fidato del Facchini proprio in quanto nei giorni immediatamente precedenti la proposta criminosa (sicuramente coincidenti con quelli della dimora nei pressi del bar Cubana) aveva avuto modo di conoscerlo e incontrarlo spesso presso l’abitazione del socio Lasecchia.

Quanto alle modalità dell’attentato, il chiamante in correità narra che fu il Manganelli Giuseppe ad accompagnarlo, con la sua potente e sportiva auto Ford, presso un distributore di Bisceglie per il prelievo di una tanica di benzina necessaria per l’attentato ed a riaccompagnarlo nella zona Madonna dei Martiri.

Il Facchini riuscì ad incendiare solo la Lancia Prisma – che sapeva appartenere a tale “Nuccio”, fratello di quel Brattoli Cristoforo che un tempo si era reso responsabile dell’omicidio del Sindaco di Molfetta – mentre non poté procedere ad analogo gesto criminoso contro la Clio per motivi logistici.

Ad “operazione” compiuta il Manganelli compensò il dichiarante in natura, con un grammo di eroina del valore commerciale di circa 140/170 mila lire.

Tra l’altro, il danneggiato è il padre dell’imputato Brattoli Antonio, delle cui attività delinquenziali per gli anni successivi all’operazione Primavera il Facchini dichiara di nulla sapere, ma che in epoche precedenti aveva spacciato droga con un gruppo composto da Tota Ignazio, Parisi Michele e Parisi Giuseppe nonché da tale Salinetti non imputato nel presente procedimento.

Nella fase delle indagini preliminari il chiamante in correità affermò anche, come gli ha contestato il P.M., che il Brattoli vendeva droga per conto del “Tarantino” (Lasecchia Cosimo, che vedremo inseparabile socio del Tota Ignazio nel 1996), ma il Facchini non ha confermato la circostanza in dibattimento, dichiarando di non ricordarla con chiarezza……

…..Il Lasecchia consegnava i “pacchi” di eroina da custodire che, al momento della vendita, venivano prelevati da un corriere a nome “Tommasino u Négre” (il Nero), mentre i tre soci del gruppo, Lasecchia, Sciancalepore e Valente Domenico (il quale, dopo gli arresti dell’operazione Primavera sarebbe uscito dalla società per aggregarsi ai Parisi) si trattenevano, all’epoca, in strada e offrivano direttamente lo stupefacente ai potenziali acquirenti.

Questa, dunque, era la situazione al momento in cui l’organizzazione fu sconvolta dagli arresti dell’operazione Primavera: il 22 aprile del 1994 finirono in manette Sciancalepore Mauro e Valente Domenico, mentre il Lasecchia Cosimo, il Manganelli Giuseppe ed il Manganelli Michele varcarono la soglia del carcere il successivo 5 maggio, al punto che al “povero” Albanese Gaetano, scarcerato il 24 giugno ‘94 dopo una detenzione non riguardante l’operazione Primavera, non rimase altro da fare che mettersi a spacciare hascisc per Sette Carlo.

Si deve, purtroppo, constatare che la maggior preoccupazione degli arrestati non fu quella di iniziare un percorso rieducativo, bensì il pensiero del come provvedere, per interposte persone, ad esitare le scorte di eroina rimaste invendute ed occultate al momento del “blitz”, onde proseguire senza soluzione di continuità l’illecito commercio… omissis

 Il teste a prova contraria

Per screditare l’attendibilità del Facchini Pietro, contestando la veridicità dell’attentato incendiario ad un’autovettura, la difesa dei Manganelli ha mostrato al collaboratore, in successione, tre fotografie a colori raffiguranti coppie di sposi ripresi insieme ad alcuni invitati ai festeggiamenti per le nozze, tra i quali il proprietario del veicolo distrutto, Brattoli Carlo.

Nella prima foto il dichiarante ha riconosciuto lo sposo in Manganelli Michele ed uno degli invitati nel nominato Brattoli, da lui chiamato “Nuccio”,  nella seconda lo stesso soggetto ritratto insieme allo sposo Manganelli Giuseppe e, nella terza, sempre il Brattoli in compagnia di una sposa che il Facchini afferma di non conoscere e la difesa sostiene essere Manganelli Carmela, sorella dei primi due.

Il difensore ha, altresì, prodotto certificati anagrafici dai quali risulta che il Manganelli Michele contrasse matrimonio in data 1.8.95, il fratello Giuseppe in data 1.12.95 e la sorella Carmela il 4.9.93.

Su richiesta della difesa è stato inoltre acquisito al fascicolo per il dibattimento, al solo fine di comprovare il fatto storico dell’avvenuta presentazione, il verbale di denuncia orale di incendio di autovettura sporta da Brattoli Carlo ai Carabinieri di Molfetta in data 31 gennaio 1993 e si è disposta la citazione del denunciante al fine di chiarire, tramite la sua testimonianza, lo svolgimento dei fatti.

Presentatosi in dibattimento, il danneggiato – avvertito della facoltà di non testimoniare in quanto padre del coimputato Brattoli Antonio – si è dichiarato disposto a deporre e, sui fatti, ha asserito di ritenere che probabilmente l’incendio della propria autovettura Lancia Prisma, avvenuto intorno alla mezzanotte (Facchini ricorda di averlo provocato più o meno intorno a mezzanotte, mezzanotte e mezzo, comunque in nottata), sia stato accidentale, presumibilmente dovuto a corto circuito nell’impianto elettrico.

Dagli elementi sopra descritti, oltre che dalla circostanza che il teste risieda in Rione Madonna dei Martiri n. 18, proprio nella palazzina vicina al civico n.19, residenza della famiglia Manganelli, si dovrebbe trarre la conclusione che i rapporti tra le due famiglie siano sempre stati così stretti e cordiali da escludere, come ha fatto il Brattoli Carlo nel corso della sua testimonianza, che vi siano mai stati motivi di astio o di vendetta nei suoi confronti, tali da portare addirittura ad un attentato.

Tuttavia, la deposizione del citato teste è apparsa inquinata da una eccessiva e sospetta prontezza nel riferire argomenti favorevoli al Manganelli, come dimostra il seguente passo del verbale di udienza:

Pubblico Ministero: ” Senta, lei è stato invitato da alcuni matrimoni della famiglia… “.

Teste: ”  Sì “.(da rilevare che qui il teste ha interrotto il P.M. rispondendo prima che la domanda fosse finita)

Pubblico Ministero: ” Di quale famiglia? “.

Teste: ” Di Manganelli “.

Pubblico Ministero: ” L’ha intuito che io volessi chiederle dei matrimoni della  famiglia Manganelli? “.

 Teste: ” Della famiglia Manganelli “… …

Presidente: ” Scusi, lei ha detto subito sì, senza sapere neanche di quali matrimoni le doveva chiedere Il Pubblico Ministero. Come ha fatto ad indovinare? “.

Teste: ” Io perché li ho fatti tutti i matrimoni, perché li ho visti nascere questi bambini “… …

Pubblico Ministero: ” Ma lei ha partecipato ai matrimoni di tutti quelli che si sono sposati a Molfetta? “.

Teste: ” Nossignore “.

Pubblico Ministero: ” Allora a tutti i matrimoni che cosa significa? “.

Teste: ” Della famiglia Manganelli perché si è sposato… “.

Pubblico Ministero: ” Sì, però io le ho chiesto: come faceva lei a sapere che io le avrei chiesto dei matrimoni della famiglia Manganelli? “.

Teste: ” Perché me lo sta chiedendo lei dei… “.

 Pubblico Ministero: ” No, io non gliel’ho chiesto, signor Brattoli. >>

La pressione del controesaminante sul teste, chiaramente in difficoltà nello spiegare il suo comportamento processuale, è stata sviata da un irrituale intervento dell’imputato Manganelli Giuseppe che, dalla sua gabbia e lontano dal microfono, ha cominciato a profferire parole delle quali non è stato possibile comprendere il significato, persistendo in tale scorretto comportamento nonostante la decisa diffida a non interferire nello svolgimento dell’atto processuale per non influenzare il teste.

L’incidente processuale ha dimostrato in maniera lampante che la deposizione dibattimentale del Brattoli Carlo, lungi dall’essere spontanea, era stata accuratamente preparata, al punto che, quando qualcosa non è andata per il verso giusto a causa di una troppo frettolosa risposta del teste alle domande del P.M., è intervenuto personalmente l’imputato Manganelli Giuseppe a “proteggere” il “suo” teste dalla supposta invadenza della pubblica accusa.

Se ne trae il convincimento che il Brattoli subisca la preminente personalità delinquenziale di tale imputato, sì che, a questo punto, appare tutt’altro che inverosimile l’ipotesi che l’attentato, ormai risalente nel tempo, sia stato il metodo, di stampo mafioso, utilizzato per ridurre alla ragione costui e la sua famiglia, evidentemente un tempo non così proni alla volontà dei vicini di casa.

Sta di fatto che risulta provato in atti che il 31 gennaio 1993 i Vigili del Fuoco dovettero intervenire per domare l’incendio dell’autovettura “Lancia Prisma” di proprietà del Brattoli e parcheggiata proprio nel posto descritto dal Facchini Pietro nelle sue dichiarazioni.

L’invito della vittima al primo matrimonio della famiglia Manganelli – quello celebratosi nel settembre del 1993 – è posteriore di parecchi mesi all’attentato e non prova, pertanto, con certezza che i rapporti col Brattoli siano stati sempre idilliaci, anzi è in accordo anche con l’ipotesi che quest’ultimo si sia sottomesso ai Manganelli dopo l’inequivocabile “avvertimento”.

In conclusione, dalle fonti proposte a prova contraria dalla difesa emergono più elementi di riscontro che elementi di contrasto con le affermazioni del Facchini Pietro, anche su argomenti non direttamente interessanti le imputazioni oggetto del presente giudizio…

..omissis

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