Progetto Powerflor: i dubbi di D'Ingeo sulla centrale elettrica. Salute pubblica a rischio?

Il coordinatore del Libertorio guida un gruppo di firmatari deciso a chiedere chiarimenti sul progetto della holding Ciccolella.
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di Pasquale Caputi (molfettalive.it)

Il progetto è di quelli ambiziosi: una centrale elettrica costituita da gruppi elettrogeni a ciclo combinato di potenza complessiva di circa 116 MWe alimentato con oli vegetali e ubicato presso la Contrada Ciardone di Molfetta.

Così afferma Vincenzo Ciccolella, legale della ditta Powerflor, società facente parte della holding Ciccolella, artefice del progetto.

Ma lo stesso progetto potrebbe essere di quelli rischiosi: così afferma Matteo D’Ingeo, coordinatore del Liberatorio politico e primo firmatario di un esposto che ha coinvolto altri cittadini sensibili al problema, in primis quelli con attività nelle zone limitrofe a quella di sorgenza della centrale.

In realtà l’esposto andava contro il progetto iniziale della Powerflor, che prevedeva la costruzione della detta centrale di potenza 39 MWe (77 mwt) finalizzato a sostituire una tecnologia ritenuta obsoleta (a biomasse solide) con una recentissima (a biomasse liquide, cioè oli vegetali).

La protesta è entrata ancor più nel vivo quando, proprio in virtù della parziale risposta del dirigente regionale a quell’esposto, i firmatari sono venuti a conoscenza della richiesta di triplicare la potenza della centrale.

Martedì sera presso la sede del Liberatorio si è tenuta una discussione aperta al pubblico per concordare una strategia comune e per analizzare qual è, allo stato delle cose, la situazione.

Ebbene, D’Ingeo e gli altri firmatari sono convinti ad andare fino in fondo. Per il coordinatore del Liberatorio la Powerflor è responsabile di clamorose bugie.

D’Ingeo teme innanzitutto che l’impianto non sia finalizzato a riscaldare le serre, come invece la Powerflor afferma ufficialmente, dato che la temperatura sarebbe troppo alta per questo obiettivo, e che la zona in cui sorgerà la centrale è isolata rispetto alle serre, circostanza questa, che renderebbe difficoltosa l’irrogazione del calore necessario per riscaldarle.

D’Ingeo evidenzia ulteriori “stranezze”. Per esempio è singolare, osserva, che l’Enel coinvolga la provincia, che a sua volta fa partire la lettera di esproprio della zona in cui ci sono i tralicci e dove c’è l’attraversamento dei cavi, senza coinvolgere il Comune di Molfetta.

È strano che si parli di pubblica utilità per giustificare l’esproprio quando, osserva D’Ingeo, la comunità non ne ha mai parlato e non ne ha mai avvertito l’esigenza.

Qual è il motivo di questa denuncia? Perché è stato depositato l’esposto contro la realizzazione della centrale, anche nell’ipotesi che non serva a riscaldare serre?

Il motivo è semplice: ricerche nazionali dimostrano che le emissioni (è prevista la realizzazione di ciminiere alte 40 metri, con potenti serbatoi di stoccaggio) sono nocive per le colture di pregio (“hanno fotografato strumentalmente un campo di fine raccolta di meloni, definendo la coltura non di pregio”, afferma uno dei presenti); inoltre le emissioni di ossidi di azoto, biossido di carbonio e altre sostanze nocive, causerebbero un maggior rischio di patologie respiratorie e cardiovascolari.

Un notevole surplus di inquinamento, se si considera che nella provincia di Bari il livello di inquinamento è già piuttosto alto, e che anche a Modugno è in progetto la costruzione di un impianto elettrico contro il quale però tutti i cittadini si stanno scagliando.

Ma D’Ingeo esprime altre perplessità: non sono progettate le modalità di smaltimento dei rifiuti; il direttore generale non ha ritenuto opportuno mettere in atto la VIA (Valutazione di Impatto Ambientale, obbligatoria per impianti con potenza superiore a 50 mwt); non si considera la pericolosità e gli effetti di traffico indotto sulla strada provinciale Molfetta-Bitonto (e non è vero, dicono al Liberatorio, che non ci sono insediamenti abitativi rilevanti in quella zona); infine si mette in dubbio che il Comune di Giovinazzo sia stato interpellato, nonostante risulti parte interessata, vista la vicinanza alla centrale.

Il timore che D’Ingeo e gli altri firmatari va oltre, in realtà: “temiamo addirittura che la centrale possa assolvere il ruolo di termovalorizzatore o inceneritore. Non vorremmo che il progetto della Powerflor sia complementare a quello della ditta Mazzitelli, autorizzata a realizzare una centrale per la produzione di Cdr. Il rischio è che una produca, l’altra bruci, soprattutto considerando che nella nostra zona non ci sono impianti addetti alla combustione di Cdr”.

La faccenda merita l’attenzione pubblica; alle autorità competenti il compito di valutare che la costruzione della centrale non arrechi danni alla salute dei cittadini; che possa essere un’occasione di crescita per la città senza però ignorare le legittime esigenze di chi in quelle zone ci vive e lavora.

2 Risposte a “Progetto Powerflor: i dubbi di D'Ingeo sulla centrale elettrica. Salute pubblica a rischio?”

  1. Basterebbe andare a darsi un’occhiata al sito della società in questione per togliere a d’Ingeo e compari ogni dubbio sulla bontà del progetto.

    Il mondo ha la febbre e per guarirlo bisogna investire massicciamente nelle fonti di energia rinnovabile.

    quindi consiglio a tutti di visitare il sito

    http://www.powerflor.it

  2. Il made in Italy e il caso Ciccolella

    Enrico Cisnetto

    “Il Messaggero, La Sicilia, Il Gazzettino” domenica 7 ottobre 2007 La “scalata” italiana del settore florovivaistico

    Ha fatto bene Montezemolo ieri a Capri a citare Ciccolella come uno dei casi imprenditoriali di successo di cui l’Italia può vantarsi. Proprio venerdì il maggiore produttore italiano di fiori ha infatti annunciato di aver acquistato due gruppi olandesi, che si aggiungono ad una terza società già rilevata prima dell’estate, che operano sul mercato di Amsterdam, il più importante del mondo per il settore florovivaistico. Operazioni che gli hanno consentito, con un fatturato di poco inferiore al mezzo miliardo di euro, di assumere la leadership europea, anche grazie al fatto che Ciccolella è il primo operatore di grandi dimensioni che affianca alla produzione – in questo caso rose e anthurium, per un totale di 40 milioni di steli coltivati in 57 ettari di serre – anche l’intermediazione commerciale, e per di più su scala mondiale. Ma perchè proprio Ciccolella merita la citazione del presidente della Confindustria, visto che di aziende che fanno acquisizioni per fortuna ce ne sono diverse, anche se sempre meno? La risposta sta in due condizioni genetiche di quel gruppo e in tre scelte decisive che i suoi azionisti hanno deciso di fare. Le prime si riferiscono al fatto che è un gruppo meridionale – Molfetta, provincia di Bari – e che appartiene al settore agricolo. E non è facile, anzi è più unico che raro, che un’azienda agricola del Sud decida, e per di più in un colpo solo, di quotarsi in Borsa, di puntare sulla sua internazionalizzazione e di avviare una collaborazione industriale in un altro settore, nello specifico quello dell’energia, non come elemento di diversificazione del portafoglio ma come modalità per abbattere i propri costi di produzione. Vediamo queste scelte nel dettaglio. Ciccolella si è quotato attraverso l’ex Cucirini Cantoni Coats, acquisita priva dei suoi storici asset tessili ma ancora nel listino di Milano. E’ una delle pochissime realtà meridionali, si contano sulle dita di una mano, e l’unico operatore agricolo mai sbarcati a piazza Affari. La quotazione non ha l’intento di far cassa o di mettere una pezza a conti traballanti, come spesso è accaduto, ma di finanziare lo sviluppo. Che nel caso di Ciccolella non poteva che essere l’ingresso in grande stile sul mercato di Amsterdam, dove operano una dozzina di grandi società di trading, di cui ora tre sono diventate italiane e insieme fanno il gruppo più forte al mondo. Ma Ciccolella non ha scelto il trading, dove peraltro i margini sono più bassi, per abbandonare la produzione. Anzi, ha programmato nel suo piano industriale 2007-2011 di quadruplicare le serre, arrivando a superare i 220 ettari, e ha puntato molto su un accordo con la Edison che consente di sviluppare le serre in terreni attigui alle centrali termoelettriche, in modo da poterne sfruttare l’energia cogenerativa, con conseguente abbattimento dei costi di produzione dei fiori fino al 30%.

    Insomma, stiamo parlando di una bellissima realtà imprenditoriale la cui storia dimostra che non mente il presidente di Confagri, Vecchioni, quando afferma che l’agricoltura italiana ha fatto straordinari passi avanti nel processo di modernizzazione e che nulla la separa più dall’industria propriamente intesa. E dimostra altresì che non è vero che al Sud non ci siano operatori economici “da copertina”, e che non è detto che per sfondare nel nostro Mezzogiorno serve necessariamente costruire “cattedrali nel deserto”. C’è solo da sperare nelle emulazioni.

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