Pop-Bari, condanna da 51 milioni: «Deve risarcire il fondo Naxos»

I soldi mai arrivati dalla società maltese del finanziere Gianluigi Torzi, su cui sono al lavoro tre Procure oltre che gli inquirenti della Santa Sede, potrebbero costare carissimi alla Popolare di Bari. Il 6 marzo scorso il Tribunale di Lussemburgo ha infatti condannato l’istituto pugliese a risarcire con 51,5 milioni il misterioso fondo Naxos, gli stessi che a dicembre 2018 l’allora consigliere Vincenzo De Bustis si era impegnato a investire nell’ambito di una operazione di «rafforzamento patrimoniale» che al Valutario della Finanza è sembrata da subito una operazione circolare.

«Il gioco degli equivoci», per usare le stesse parole dell’azione di responsabilità che i commissari della Popolare hanno avviato la settimana scorsa contro ex vertici ed amministratori di PopBari a partire da Marco e Gianluca Jacobini (il primo interdetto, il secondo tuttora ai domiciliari). All’atto predisposto dal professor Ferruccio Auletta sono allegati documenti che danno all’operazione Naxos tutto un altro sapore. Diverso, comunque, da quello ipotizzato dalle Procura di Milano e Bari. Ma che vede al centro sempre Torzi, il finanziere molisano arrestato dalla giustizia vaticana per estorsione, per aver chiesto 30 milioni in cambio della «restituzione» alla Santa Sede del palazzo londinese di Sloane Square, uno degli investimenti che sono costati il posto al cardinale Angelo Becciu.

Il rapporto ispettivo commissionato dai commissari di PopBari allo studio americano Orrick ha ricostruito questa ed altre operazioni che hanno aperto un buco da oltre un miliardo e mezzo nei conti della banca barese. Ed è dalla relazione di Orrick che conviene partire per comprendere cosa accadde nelle stanze di corso Cavour alla vigilia di Natale 2018. PopBari aveva necessità di mettere in atto un «piano di rafforzamento del Total Capital mediante emissione di nuovi strumenti finanziari», così come era stato richiesto a novembre 2018 da Bankitalia. E qui entra in scena De Bustis, che – appena entrato in cda al posto dell’ad Giorgio Papa – annuncia al consiglio di amministrazione di aver ottenuto la «disponibilità alla sottoscrizione di titoli sino all’importo nominale di 30 milioni da parte della società Muse Services Ltd., con sede in Malta».

La Muse Service è una società con 1.200 euro di capitale riconducibile a Torzi, che si sarebbe impegnata a sottoscrivere obbligazioni per 30 milioni. L’operazione verrà accantonata: «evidenti carenze istruttorie» avevano fatto sì che nessuno si rendesse conto del profilo problematico del finanziere con cui si stava trattando. Tuttavia, secondo gli atti dell’azione di responsabilità, «è da desumere che la sottoscrizione del prestito obbligazionario in parola non sia avvenuta in ragione della mancata definizione della “parallela” operazione Naxos».

Naxos, dunque. Il 27 dicembre 2018 il cda della Popolare delibera l’investimento nel fondo lussemburghese, «orchestrata essenzialmente dal consigliere con deleghe Vincenzo De Bustis» e caratterizzata «da una assoluta mancanza di istruttoria e di qualsivoglia verifica sulla controparte». Ma nonostante PopBari non proceda a versare i 51 milioni, avendo assunto l’obbligazione (questo è il tema della condanna del Tribunale lussemburghese) entra in scena la Banca Caceis, agente e depositaria del fondo Naxos, che «ritenne di anticipare a quest’ultimo le somme che la Banca Popolare di Bari avrebbe dovuto investire».

Insomma, i 51 milioni della Popolare vennero investiti in Lussemburgo sulla parola. E con quei soldi, Naxos – prosegue ancora la relazione Orrick – «ha immediatamente proceduto all’acquisto di titoli di fatto illiquidi e detenuti da entità rapportabili all’individuo cui era riconducibile Muse Services». Ovvero a Torzi. Ecco l’operazione circolare.
Il risultato di tutto questo è che la Muse non sottoscriverà mai i 30 milioni di obbligazioni necessari a rafforzare il patrimonio di vigilanza della PopBari (soldi che, secondo due Procure, potevano essere gli stessi 30 milioni che Torzi sperava di ottenere dalla Santa Sede). Invece il fondo Naxos ha trascinato l’istituto pugliese davanti al Tribunale di casa propria, e nonostante una relazione interna della PopBari valutasse il rischio di soccombenza come «remoto», la causa è finita con la condanna a risarcire 51 milioni. Resta da chiedersi: che fine hanno fatto i 51 milioni investiti da Naxos in titoli illiquidi? 

fonte: MASSIMILIANO SCAGLIARINI – www.lagazzettadelmezzogiorno.it

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