
Cinque agenti di polizia nel registro degli indagati per la sparatoria di Cesinali in provincia di Avellino. Giovedì sera scorso i poliziotti hanno intercettato un commando armato che si apprestava ad assaltare un blindato della Cosmopol. La rapina sarebbe dovuta avvenire sul raccordo tra Avellino e Salerno ma, grazie ad un’attenta indagine, gli investigatori erano già sulle tracce del gruppo criminale.
I malviventi, per sfuggire alla cattura, avrebbero scatenato un inseguimento esplodendo colpi d’arma da fuoco all’indirizzo della polizia. Durante la sparatoria è rimasto ucciso il 31enne di Molfetta ma residente a Cerignola Giovanni Rinaldi, trovato senza vita sul sedile posteriore di un veicolo, ancora con il passamontagna. Per questa vicenda risultano indagati due agenti delle Volanti della Questura di Avellino e tre della squadra mobile della Questura di Foggia. L’accusa è omicidio colposo. Si tratta di un atto dovuto da parte della Magistratura che intende fare chiarezza sulla dinamica del conflitto a fuoco e sul comportamento degli agenti.
La banda, capeggiata presumibilmente dal 53enne foggiano Savino Ariostini detto “Nino 55” (batteria Moretti-Pellegrino-Lanza), arrestato dopo due anni di latitanza, avrebbe agito servendosi di due suv rubati. Al momento sono quattro gli arrestati: due persone di Bitonto, un giovane di Cerignola e il presunto capo Ariostini. È caccia ai complici. fonte: www.immediato.net
“Indagati perché ci sparano addosso”. Il sindacato di polizia insorge dopo i fatti di Avellino
“I colleghi della Squadra Mobile di Foggia e delle Volanti di Avellino, coinvolti nel conflitto a fuoco di giovedì 13 ottobre a Cesinali, dopo aver rischiato la vita per impedire un assalto ad un porta valori da parte di una banda di rapinatori, oggi sono stati iscritti nel registro degli indagati per ‘atto dovuto’”. Lo riporta il sindacato Sap in una nota stampa.
Dice Stefano Paoloni, segretario generale del sindacato: “È assurdo e inconcepibile che dopo aver rischiato la vita, i colleghi si trovino oggi indagati per ‘atto dovuto’. Catapultati ad affrontare un momento ancora più difficile dal punto di vista professionale. Nel momento in cui sussistono “Cause di giustificazione del reato” non è accettabile essere esposti ad un processo penale e solo per aver compiuto il proprio dovere. Ora i colleghi saranno costretti a pagarsi di tasca propria l’avvocato e le spese peritali. Inoltre si troveranno nella condizione di avere la carriera bloccata e se in attesa di premi e ricompense anche questi non saranno riconosciuti sino a completa archiviazione del caso e come noto, i tempi della giustizia sono molto lunghi.
I colleghi oggi non temono di rischiare la loro incolumità fisica, ma temono di più di essere sottoposti ad un procedimento penale, perché oltre ad essere esposti alla gogna mediatica, verranno coinvolti direttamente con il loro patrimonio personale a dover dimostrare di avere agito nella legalità, giustificando il loro operato. Già in passato scendemmo in piazza per manifestare solidarietà a un collega che, alla Stazione Termini, per fermare un esagitato che brandiva pericolosamente un coltello, venne indagato per atto dovuto. Non vorremmo, anche questa volta, essere costretti a doverlo rifare”. fonte: www.immediato.net
Finisce la latitanza di “Nino 55”, nome storico della mafia foggiana. Beccato per l’assalto ad un blindato
È terminata la latitanza di Savino Ariostini detto “Nino 55”, noto pregiudicato di Foggia vicino alla Società, organizzazione mafiosa della città. L’uomo, 52 anni, si era dato alla macchia a fine 2020, sfuggendo all’arresto in “Decimabis”, maxi operazione contro i clan. Ariostini è tra gli arrestati per il tentato assalto ad un portavalori della “Cosmopol” in provincia di Avellino. Insieme al 52enne, presunto capo della banda, sono state arrestate due persone di Bitonto e un giovane di Cerignola. Un 34enne di Molfetta, invece, è stato ucciso durante un conflitto a fuoco con la polizia.
Ritenuto dagli inquirenti contiguo alla batteria Moretti-Pellegrino-Lanza, in “Decimabis” “Nino 55” è accusato di mafia insieme ad oltre 40 persone tra boss e picciotti della malavita foggiana. I magistrati antimafia ritengono l’uomo tra i “partecipi del sodalizio, con il compito di supportarlo nella fase esecutiva dell’attività estorsiva, con riferimento alla richiesta ed alla riscossione delle tangenti, nonché alla consegna dei proventi destinati al mantenimento degli associati”.
Sul conto di Ariostini, le carte di Decimabis riportano il seguente passaggio: “I plurimi elementi indiziari hanno descritto Ariostini quale soggetto con un ruolo di vertice all’interno del sodalizio in grado, in virtù del carisma criminale, di poter assicurare il mantenimento dei sodali arrestati, provvedendo alla distribuzione dei proventi illeciti”. In un’intercettazione tra Ariostini e il boss Raffaele Tolonese, si parlava dei soldi da inviare agli affiliati in cella, mentre in un’altra circostanza, “Nino 55” commentava la necessità di fare ricorso ad azioni intimidatorie per “indurre i commercianti a soggiacere alle richieste estorsive”. Ariostini interagiva anche con i vertici del sodalizio, soprattutto Pasquale Moretti, che lo avrebbe incaricato di vendicare l’omicidio di Rodolfo Bruno ucciso a Foggia il 15 novembre 2018. La vendetta non si sarebbe mai consumata. fonte: www.immediato.net
La banda di rapinatori era pronta a colpire