I 160mila euro che l’imprenditore barlettano Gigi D’Agostino bonificò a Tiziano Renzi sulla base di due fatture ritenute false, sarebbero stati «il prezzo della mediazione illecita» del padre dell’ex premier: anche nei confronti di alcuni personaggi pugliesi. È questa, per quanto emerge dal decreto di perquisizione notificato a inizio ottobre a Renzi senior, il motivo per cui la Procura di Firenze accusa entrambi di traffico di influenze. Ovvero di corruzione tra privati.
L’incontro con Lotti è noto anche perché figura nelle carte dell’inchiesta di Lecce: D’Agostino portò a Roma l’ormai ex pm Antonio Savasta, che indagava a Trani su un giro di fatture false e – dice l’accusa leccese – in cambio di quell’incontro e di soldi non coinvolse D’Agostino. Anche l’incontro con Caracciolo, che peraltro D’Agostino sicuramente già conosceva, era già emerso grazie alle agende sequestrate all’imprenditore: avvenne a cena il 2 luglio 2015. Anche dell’incontro con Zaccaria c’è più di una traccia, e per vari motivi. D’Agostino voleva infatti aprire anche a Fasano un outlet del lusso, per il quale nel 2017 il Comune ha predisposto la variante urbanistica. E – in un procedimento parallelo a quello di Firenze – ci sono le intercettazioni tra Tiziano Renzi e D’Agostino due giorni dopo l’elezione di Zaccaria. Volendo intendere – è questa l’interpretazione di chi indaga – che con Zaccaria il progetto si sarebbe sbloccato. Dell’outlet esisteva il nome («Egnatia shopping mall»), erano stati individuati i terreni (un’area non lontana dalla statale 16) ed era stato ipotizzato un investimento da 20 milioni di euro. Ma ormai sembra che non se ne farà nulla.
La tesi dell’accusa è che insomma D’Agostino aveva individuato in Tiziano Renzi la chiave per entrare nel giro del Pd (all’epoca, 2015, erano quasi tutti renziani). Va detto che nessuno dei tre pubblici ufficiali citati (Caracciolo, Lotti e Zaccaria) è al momento indagato. Ma la Procura di Firenze vuole capire per quale motivo D’Agostino, imprenditore esperto, abbia pagato le due fatture da circa 160mila euro, emesse a fronte di due studi di fattibilità che per l’accusa sarebbero falsi e inesistenti. Lui si è difeso dicendo di essersi sentito in soggezione, perché anche se il lavoro di consulenza valeva meno di quanto richiesto aveva deciso di pagare comunque («Non si può dire no al padre del presidente del Consiglio», è più o meno la versione fornita al pm). Una linea che non ha convinto la Procura di Firenze, anche perché D’Agostino ha confermato che l’incontro con Lotti fu fissato «tramite Tiziano Renzi». E una delle due fatture fu pagata proprio il giorno dell’appuntamento a Palazzo Chigi. Le indagini vanno avanti.
fonte: MASSIMILIANO SCAGLIARINI – www.lagazzettadelmezzogiorno.it