Operazione “Fantasia al potere”. Mazzette, telefonini e lavori al lido privato. Tutti i nomi dei 34 indagati.

Se non proprio le «mani sulla città», poco ci mancava. Dai lavori di riqualificazione delle strade al rifacimento delle piazze Aldo Moro e Immacolata; dalla ricostruzione di una scuola per l’infanzia al nuovo stadio per l’atletica leggera; dalla messa in sicurezza delle ciminiere dell’ex cementificio ai lavori nella biblioteca comunale. A Molfetta c’era chi avrebbe favorito alcune imprese, sempre le stesse, in cambio di questi appalti. Dietro il pagamento di mazzette e altre utilità, naturalmente. Di certo, dalle indagini condotte dai finanzieri del Gruppo Barletta agli ordini del colonnello Mercurino Mattiace, e della Tenenza di Molfetta è emerso un «desolante quadro costellato di accordi illeciti di matrice corruttiva» che hanno visto coinvolti «a vario titolo e a diversi livelli alcuni pubblici ufficiali incardinati nell’organigramma del Comune di Molfetta», per dirla con le parole del gip del Tribunale di Trani Rossella Volpe che, su richiesta della Procura tranese ha di- sposto 16 arresti (dieci in carcere, sei ai domiciliari). I reati contestati a vario titolo sono turbativa d’asta, corruzione, falso, depistaggio e peculato. Depistaggio perché, agli atti dell’inchiesta c’è an- che il tentativo di qualcuno degli indagati di avvicinare un finanziere per carpire informazioni. Il militare non si è lasciato coinvolgere e ha messo tutto per iscritto. La sua relazione è stata valorizzata dal giudice sul piano delle esigenze cautelari.

In carcere, più nel dettaglio, sono finiti l’ex assessore comunale ai lavori pubblici Mariano Caputo e l’ex consigliera comunale Anna Sara Castriotta, il funzionario comunale Orazio Lisena e sette tra imprenditori e progettisti: Riccardo Di Santo, Andrea Ladogana, Valerio Di Gregorio, Domenico Tancredi, Paolo Conforti, Francesco e Pasquale Ieva. Domiciliari per il presidente della commissione di gara di uno dei presunti appalti pilotati, Vincenzo Manzi, e altri 5 tra imprenditori e dipendenti delle aziende coinvolte: Francesco Sancilio, Mauro Giancaspro, Michele Palmiotti, Maurizio Bonafede, Vito De Robertis. Complessivamente gli indagati sono 41, dei quali 34 sono persone fisiche e 7 società. Nell’elenco (non è tra i destinatari della misura cautelare), c’è anche il sindaco Tommaso Minervini, accusato di turbata libertà del procedimento di scelta del contraente.

L’inchiesta, coordinata dai pm Francesco Tosto e Giuseppe Francesco Aiello, riguarda in particolare gli appalti per i lavori di rifacimento di piazza Aldo Moro, gli interventi nella sede della ex cementeria, i lavori stradali e quelli per il servizio di monitoraggio delle acque del porto. Secondo la Procura di Trani tra luglio 2018 e agosto 2020 il Comune avrebbe proceduto indebitamente agli affidamenti diretti senza fare le gare, favorendo imprenditori «amici», in cambio di denaro e favori. Le strade per evitare il ricorso alle procedure di gara erano diverse come la «somma urgenza», che urgenza non era, ma anche l’illecita scelta del contraente. Nel mirino pure la corsia preferenziale che per qualcuno veniva imboccata per sbloccare i pagamenti rispetto alle procedure ordinare.

E pensare che lo spunto investigativo sono stati i social. La pubblicazione di alcuni post su facebook sui lavori di riqualificazione di Piazza Aldo, messaggi nei quali venivano sollevati dubbi su come venivano spesi soldi pubblici hanno incuriosito gli investigatori. I militari hanno iniziato a spulciare delibere e determine dall’Albo pretorio per verificare se non fossero solo normali sfoghi di cittadini. Ed è emerso che qualcosa davvero non tornava come intercettazioni, servizi di osservazione e pedinamenti peraltro complicati durante il lockdown dello scorso anno hanno dimostrato. «Cittadini e media devono sentirsi sentinelle della legalità del proprio territorio», ha detto il procuratore di Trani Renato Nitti che poi ha aggiunto: «Questi fenomeni danneggiano gli imprenditori corretti e inquinano l’economia legale».

Emersa una «capacità di piegare e condizionare ogni evenienza trasformandola in occasione di guadagno e di interesse illecito condiviso», scrive tra l’altro il giudice. Le indagini hanno «svelato di un vero “sistema” creato e mantenuto soprattutto dal Caputo e dal Lisena nella gestione delle gare e dei lavori pubblici in modo tale da procurare un ritorno patrimoniale o comunque economico a se stessi e alle imprese favorite». E questo grazie alla loro «rodata competenza» e alla «fitta rete di conoscenze all’interno dell’imprenditoria locale

fonte: Giovanni Longo – www.lagazzettadelmezzogiorno.it

Ecco l’elenco completo dei 34 indagati, dei quali 10 sono finiti in carcere e sei ai domiciliari. 

IN CARCERECaputo Mariano, Molfetta (1969); Lisena Orazio, Molfetta (1965); Castriotta Anna Sara, Molfetta (1986); Di Santo Riccardo, Andria (1982); Ladogana Andrea, Cerignola (1987); Di Gregorio Valerio, Trani (1970); Tancredi Domenico detto Mimmo, Altamura (1982); Conforti Paolo, Putignano (1984); Ieva Francesco Giovanni, Andria (1987); Ieva Pasquale, Corato (1975)

AI DOMICILIARISancilio Francesco, Molfetta (1959); Giancaspro Mauro, Bisceglie (1978); Palmiotti Michele, Molfetta (1950); Bonafede Maurizio, Barletta (1970); De Robertis Vito, Molfetta (1957); Manzi Vincenzo, Biccari (1965).

INDAGATI A PIEDE LIBERO – Antonucci Ottavia Paola, Molfetta (1968); Atena Patrick, Potenza (1972); Balducci Vincenzo Molfetta (1953), Binetti Alessandro, Molfetta (1967); Carbonaro Antonio, Putignano (1952); Cesario Giuseppe San Giorgio Jonico, Taranto (1963); Cesario Liberato Fabio, San Giorgio Jonico, Taranto (1987); Di Mauro Irene, Poggiorsini (1955); Falco Nicola detto Nico, Bisceglie (1961); Fontana Rosaria Maria Carmela, Molfetta (1969); Guido Massimo, Bari (1961); Loliva Gianluca, Castellana Grotte (1974); Mascolo Giuseppe Barletta (1963); Minervini Tommaso, Molfetta (1954); Santacroce Pietro, Bari (1974); Visceglia Michele Massimo, (indagato nei cui confronti non è formulata imputazione provvisoria nella richiesta cautelare del pubblico ministero) Bari (1963); Zaccuri Paolo, Messina (1970); Pappagallo Donato, Molfetta (1962).

I ciotoli per il lido dell’assessore pagati con i soldi delle imprese. Registrata la consegna delle mazzette: «Il fruscio unico dei soldi»

«Aaahhhhhh 5 mila…azz 5 mila euro ….moc o cazz!». L’ex assessore Caputo non stava più nella pelle. È il 13 febbraio 2020, il Covid avanzava e il lockdown stava diventando un’ipotesi concreta quando Caputo incontra in una stazione di servizio di via Terlizzi con l’imprenditore Valerio Di Gregorio. È qui avrebbe ricevuto una mazzetta. A registrare il tutto, una microspia installata a bordo di una Dacia Duster. Microfoni sensibilissimi se «si ascolta il fruscio unico e inconfondibile delle banconote che il Caputo sta contando», annota il gip.

«La sistematicità delle condotte delittuose – si legge negli atti – è emersa anche dalle modalità relative al pagamento delle tangenti, documentate con operazioni di intercettazioni ambientali audio-video: l’imprenditore di turno, una volta salito a bordo dell’autovettura del funzionario arrestato, senza proferire parola lasciava la busta con i soldi all’interno del vano portaoggetti o nelle mani del medesimo».

Cambia l’imprenditore, fuori Di Gegorio, dentro Mauro Giancaspro e le modalità non cambiano. La Dacia Duster (ah se questa macchina potesse parlare…) torna protagonista. È qui che Caputo avrebbe ricevuto un’altra mazzetta, seimila euro. «In particolare si odono lo strofinio e lo “schiocco” inconfondibile di banconote contate una dietro l’altra», annota sempre il giudice per il quale «È evidente che il Caputo ha ricevuto dal Giancaspro la somma di euro 6.000 in denaro contante, come da conteggio effettuato nell’immediatezza dallo stesso Caputo». Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio.

Ma siccome non si vive di solo vile denaro ecco che, sempre stando all’accusa, le presunte utilità erano di diversa natura come forniture di arredi, bancali di ciottoli e asfalto per realizzare il parcheggio dello stabilimento balneare Marina Resort di cui Caputo era socio, la riparazione dell’auto di famiglia dopo un incidente stradale, e un telefono cellulare.
Ma siccome il diavolo fa le pentole, ma non i coperchi gli atti documentano anche un imprevisto che complica le cose «Mentre sta avvenendo lo scarico, sopraggiungono i Carabinieri del Corpo Forestale dello Stato per un controllo». Ed è qui che scatta un’attività di «depistaggio ed occultamento della prova, posta in essere da alcuni pubblici amministratori all’indomani del casuale controllo, da parte dei Carabinieri Forestali, sullo scarico di materiale eseguito da un appaltatore per “gratificare” un assessore comunale, episodio monitorato in diretta dalla gdf».

Agli atti anche il «frequente tentativo di alcuni indagati o di soggetti coinvolti nell’indagine di penetrare nei canali istituzionali per apprendere notizie in merito all’inchiesta». Infatti «è emerso come siano stati avvicinati persino due finanzieri in servizio presso la Tenenza di Molfetta». Per non parlare della «attività di inquinamento probatorio risultante dal cambio delle schede telefoniche con intestazioni fittizie a terzi, dall’uso dell’autoradio nell’autovettura nei momenti clou dei discorsi per tentare di impedire l’ascolto ad eventuali intercettatori».

Quanto alle accuse contestate al sindaco Minervini, il primo cittadino è indagato in relazione alle procedure per i lavori di riqualificazione di Piazza Aldo Moro (importo complessivo di 677.500 euro) affidati in modo diretto e in questo modo «eludendo l’obbligo di attivare una procedura di gara volta alla selezione del miglior contraente», contesta l’accusa. Nel mirino, la classificazione dei lavori come «supplementari» rispetto a quelli affidati per il rifacimento di Corso Umberto. L’altra ipotesi riguarda i lavori nell’area dell’ex cementificio di Molfetta in cui sarebbe stata favorita la ditta Imcore. Sin qui l’ipotesi della Procura, ma Minervini non ci sta e si difende. «Da sindaco sono il primo interessato al fatto che emerga la verità sostanziale dei fatti, non mero clamore – fa sapere – . Con la massima fiducia nella giustizia, attendo con serenità gli sviluppi sulla vicenda. Non dobbiamo dimenticare che il Comune di Molfetta è retto da una grande e coesa maggioranza di donne e uomini, che con grande passione svolgono il loro impegno per tutte le cose fatte e in corso».

fonte: Giovanni Longo – www.lagazzettadelmezzogiorno.it

«LADY CASTRIOTTA» SARA, EX CONSIGLIERA COMUNALE VOLTO NOTO NEI SALOTTI TV . Nei guai anche una meteora di FI

Dalla platea televisiva come volto della nouvelle ecole berlusconiana (nel 2018) all’essere coinvolta nello scandalo giudiziario che sta terremotando la politica a Molfetta: questa la parabola Sara Castriotta. Sul suo profilo Instagram c’è ancora scritto «Consigliera comunale-capogruppo FI a Molfetta». In realtà la giovane esponente della politica del Nord Barese – nel suo curriculum è scritto che è anche studentessa della Lum – aveva abbandonato il seggio nell’assemblea cittadina nel novembre scorso a causa dei primi scombussolamenti giudiziari che arrivavano a lambire l’amministrazione Minervini. Nel febbraio del 2018 la fascinosa consigliera, eletta anche grazie al supporto del senatore Antonio Azzollini, era stata nella rosa dei papabili candidati alla Camera, al vaglio dell’allora coordinatore regionale Luigi Vitali. Per costruire questo percorso, scoperta da Andrea Ruggeri, nipote di Bruno Vespa e allora responsabile dei rapporti con le tv degli azzurri, aveva anche partecipato ad una punta del talk della mattina su La7 «Coffee Break». Il suo motto politico era: «Coerenza verso l’elettore, che non va assolutamente tradito». Il salto nella politica romana sembra allo stato essere archiviato: nel quotidiano c’era il rapporto molto stretto con l’assessore Mariano Caputo, mentre all’orizzonte resta una montagna di guai giudiziari da affrontare.

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