Omicidio Bufi, a dicembre si torna in Appello. Parte I – 3 febbraio 1992

 

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Si terrà il 1 dicembre, dinanzi alla Corte d’Assise d’Appello di Bari il nuovo processo a carico di Domenico Marino Bindi, accusato dell'omicidio della giovane Annamaria Bufi, assassinata a Molfetta il 3 febbraio 1992

Una vicenda che non ha risparmiato colpi di scena e che sembra davvero non volersi mai definitivamente sopire. 

Nel 2007, dopo tre riaperture delle indagini volute dai genitori della vittima, la Corte di Assise di Trani aveva assolto Bindi con formula del dubbio (prove non sufficienti e contraddittorie). Sentenza confermata dalla Prima Sezione della Corte d’Appello di Bari. Contro la seconda sentenza assolutoria aveva presentato ricorso per cassazione Angela Tomasicchio, procuratore generale di Bari e l’avv.Bepi Maralfa, legale della famiglia Bufi. 

Lo scorso 20 aprile, la Prima Sezione penale della Corte di Cassazione in Roma ha emesso una sentenza destinata a diventare storica: sono state annullate entrambe le assoluzioni di Bindi e “bacchettato” il metodo di valutazione delle prove dei giudici di primo e secondo grado. Prove che, a giudizio della Corte, erano state valutate in modo errato, a favore dell'imputato. E senza tener conto di numerosi elementi che, messi insieme, avrebbero fondato al contrario un giudizio di colpevolezza. 

A cominciare dall’alibi proposto da Bindi nell’immediatezza del delitto. L’imputato aveva dichiarato di essersi trovato in palestra all’ora del crimine (circostanza mai confermata da nessuno dei testi d’alibi da lui stesso nominati) e poi a casa in compagnia della sola moglie dalle ore 22 di quella sera del 3 febbraio (circostanza in un primo momento ritenuta veritiera, ma poi smentita secondo le valutazioni della Corte romana). 

Con l'annullamento delle sentenze assolutorie di primo e secondo grado, i nuovi giudici della Corte d’Assise d’Appello di Bari (non saranno quelli che hanno assolto Bindi) dovranno seguire tutte le istruzioni della Corte di cassazione. Sarà conferita dignità di prova alla nota intercettazione ambientale in cui un amico di Bindi raccontava a un'altra persona di un momento di disperazione del presunto omicida, che in preda a una crisi era fuggito via di casa. Una volta raggiunto, l'esclamazione: «Cosa ho fatto, cosa ho fatto, ho ucciso Annamaria». 

Ma l'enorme incartamento processuale (circa ventimila pagine) presenta altri numerosi aspetti controversi, che fanno dell’omicidio di Annamaria Bufi una vicenda di primo piano nazionale dal punto di vista giudiziario, storico e mediatico. 

Queste pagine si occuperanno della ricostruzione dei fatti storici, essendo quelli giudiziari riservati alle decisioni dei giudici, iniziando proprio dai primi momenti relativi al ritrovamento del cadavere della giovane molfettese. 

La notizia di reato 
Annamaria Bufi, 23 anni, esce di casa alle ore 20,15 del 3 febbraio 1992, parcheggia la propria auto (una Citroën Diane 6 di colore azzurro) nei pressi di viale Pio XI (dove viene in seguito rinvenuta) e si dirige verso corso Umberto. Lì è vista intorno alle 20,30 da una sua conoscente, Eleonora Sciancalepore

La donna, primo dato anomalo della vicenda, è l’ultima a vederla in vita prima dell’assassino, eppure per dieci lunghi anni non si sa neppure della sua esistenza. Nonostante la circostanza fosse contenuta in una telefonata intercettata dagli inquirenti nella prima indagine del 1992. Un elemento indiziario che poi diventerà di importanza assoluta nella ricostruzione della sera del delitto. Sta di fatto che i parenti di Bindi, parlando al telefono nel 1992, fanno riferimento all’esistenza di una ragazza (la Sciancalepore) che la sera del delitto ha visto la vittima. 

Per tanti anni invece si crederà che la vittima possa essere salita, appena uscita da casa, a bordo di una misteriosa Volkswagen Golf di colore beige, mai rintracciata, con il cui conducente è stata vista parlare. La scena è descritta, il giorno successivo al delitto, dalla cugina di Annamaria, e basta per far ipotizzare agli investigatori che quest'ultima sia necessariamente dovuta salire su quell'auto, essere condotta in campagna e poco dopo barbaramente massacrata. 

Invece no. Annamaria saluta il conducente della Golf, si mette a bordo della propria Diane 6 e da viale Martiri della Resistenza, dove abita con i genitori e il fratello, giunge sino all’enoteca Carlucci nei pressi di viale Pio XI, dove la sua auto viene trovata parcheggiata e regolarmente chiusa a chiave. 

Dopo le convulse ricerche, una pattuglia della Guardia di finanza di Molfetta, transitando lungo la statale 16 bis nella direzione Molfetta-Bisceglie, rinviene il cadavere della 23enne, a soli cento metri di distanza dallo svincolo che porta alla zona industriale di Molfetta. 

Il corpo è riverso per terra, perpendicolare rispetto all’asse stradale, con la testa vicino al guardrail e i piedi che appena superano la linea gialla, in posizione diritta, con le mani sotto il corpo. La Finanza allerta i Carabinieri di Molfetta, i quali il 4 febbraio del 1992 scrivono la seguente nota alla Procura della Repubblica di Trani “04.02.92, ore 01,30 circa in località Zona Industriale, agro Molfetta (BA) Militari Guardia di Finanza, in servizio pattuglia lungo SS 16 bis rinvenivano cadavere sesso femminile identificato in BUFI Anna Maria, nato Molfetta il 31.05.69, ivi residente, nubile, casalinga, la quale presentava grave ferita base cranica. Conclusione esame da parte medico legale est emerso che vittima est stata raggiunta da colpo fucile verosimilmente at canne mozze da sconosciuto resosi subito dopo irreperibile. Indagini in corso parte questo Comando che procede. Molfetta 04.02.92“.

Una prima ombra sinistra cala immediatamente sul delitto Bufi: il medico legale Cosimo di Nunno, docente dell’Università di Bari, giunto sul posto alle 3 di quella notte, immediatamente afferma alla presenza del magistrato di turno e dei carabinieri che la morte deve ricondursi a lesioni craniche da corpo contundente, ben visibili a causa delle condizioni del volto e del cranio, letteralmente sfigurati. Il medico legale, sentito nel corso delle successive indagini condotte nel 2001, all’epoca della terza e ultima riapertura del caso, dichiara inoltre di non avere mai affermato, né potuto affermare, che la morte sia stata determinata da un colpo di fucile, meno che mai a canne mozze. 

Il 4 febbraio 1992 il medico legale presenta le proprie conclusioni scritte, individuando le cause della morte in gravi lesioni cranio encefaliche da corpo contundente e la Gazzetta del Mezzogiorno il mattino del 5 febbraio 1992 (gli articoli di stampa vengono notoriamente scritti il giorno prima, quindi il 4 febbraio), conformemente al risultato dell’autopsia, pubblica il primo articolo sull'omicidio, attribuendone correttamente la morte della ragazza a un colpo di bastone, così come affermato dal medico legale. 

Eppure lo stesso mattino del 5 febbraio 1992, dai Carabinieri di Molfetta viene depositata la prima notizia di reato presso la Procura di Trani in cui la morte è ricollegata a un colpo d’arma da fuoco. 

Si dà quindi avvio alle prime indagini. Vengono eseguite le prove dello "stube" (guanto di paraffina usato per accertare la presenza di residui di polvere da sparo) sulle persone di Giovanni Pisani e Cosimo Minervini, rispettivamente zio e conoscente della vittima. Indagini che danno esito negativo. Ma intanto ore preziose sono già passate. 

Non di colpo di fucile si trattava, ma di omicidio commesso con un corpo contundente. Compatibile con il movente passionale del delitto, come vedremo nella seconda parte.

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