«Nessuno cercava legionella». Responsabile appalto: Policlinico Bari pagava 2 interventi l’anno, ne facevamo uno

L’indagine sulla mancata bonifica da legionella va avanti almeno da febbraio. E i vertici del Policlinico di Bari, pur avendo già ricevuto una contestazione specifica, ritennero di non informarne la Regione. La circostanza emerge dagli atti depositati dalla Procura di Bari davanti al gip Giuseppe De Benedictis che oggi deciderà sulla richiesta di interdizione presentata dal pm Grazia Errede con l’aggiunto Alessio Coccioli: la presenza della legionella, che ha portato al sequestro con facoltà d’uso dei padiglioni «Asclepios» e «Chini», avrebbe avuto come conseguenza la morte di almeno quattro pazienti.

A febbraio, dunque, i Nas guidati dal tenente colonnello Giovanni Battista Aspromonte hanno condotto l’interrogatorio del direttore generale Giovanni Migliore, del direttore sanitario Matilde Carlucci, del direttore amministrativo Tiziana Dimatteo e del medico della direzione sanitaria Giuseppe Calabrese. Tutti preferirono, come è loro diritto, avvalersi della facoltà di non rispondere. I militari sentirono come persona informata anche il capo dell’area tecnica Claudio Forte, che con ogni probabilità è stato iscritto nel registro degli indagati proprio a seguito di ciò che ha riferito: ovvero «di non esser mai stato ufficialmente informato, né dalla direzione sanitaria del Policlinico, né dalla direzione del Dipartimento di prevenzione della Asl Bari», dei casi di legionella. Circostanza documentalmente smentita sia dalle lettere della Carlucci sia dalle dichiarazioni del capo del Dipartimento di prevenzione della Asl, Mimmo Lagravinese.

Oltre ai quattro decessi (Gennaro Del Giudice, Francesca Nuzzolese, Domenico Martiradonna, Vincenzo Ficco) contestati agli indagati come conseguenza di altro delitto (l’omessa bonifica da legionella), i Nas hanno individuato altri tre casi di pazienti ricoverati in ospedale e risultati positivi a legionella nel periodo giugno 2018-febbraio 2020. Per tutti e tre i militari hanno accertato una serie di «omissioni» procedurali: mancata notifica dei casi, mancata indagine epidemiologica, mancata «realizzazione di misure rapide di decontaminazione alla luce dei risultati ambientali». Per l’accusa insomma la presenza della legionella (sul punto il Policlinico ha preferito non fornire la propria versione) non era una priorità a dispetto delle linee guida in materia, redatte peraltro da una docente dell’Università di Bari, la professoressa Maria Teresa Montagna, che ai carabinieri ha fatto notare la mancata predisposizione del Piano di sicurezza delle acque.

E del resto anche Giovanni Forcella, il responsabile della Siram, la ditta appaltatrice che si occupa della manutenzione delle reti interne al Policlinico, ha candidamente ammesso con i carabinieri che per gli impianti del padiglione Chini venivano applicate linee guida risalenti al 2000 e che nessuno gli aveva mai parlato dei nuovi obblighi imposti dalla Regione a partire dal 2015: «Ne sono venuto a conoscenza, per mera cultura personale, soltanto qualche settimana fa, a seguito dei fatti occorsi presso il Policlinico di Bari e degli accertamenti da voi svolti». Gli unici interventi per l’eliminazione della legionella, ha raccontato Forcella, sono stati effettuati nel 2018. «Sebbene a pagina 14 e 15 del “protocollo Siram” sono previsti almeno due controlli batteriologici all’anno e, in talune configurazioni, una volta al mese, mi risulta che tale controllo batteriologico viene svolto da Siram SpA una sola volta all’anno». E né i manager, né la direzione tecnica del Policlinico hanno avuto, sul punto, qualcosa da ridire. Adesso il gip De Benedictis ha assegnato un termine di 90 giorni per l’effettuazione degli interventi di bonifica necessari a riportare la contaminazione da legionella sotto il livello massimo previsto dalla legge. A ottobre il Policlinico ha concordato con l’Istituto superiore di Sanità un protocollo per affrontare la situazione del «Chini», che prevede la parziale disattivazione dei reparti per consentire la bonifica e un monitoraggio che andrà avanti per 18 mesi. Ma secondo l’accusa si tratta di iniziative che dovevano essere messe in campo prima, e che potrebbero essere costate almeno quattro vite umane.

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