‘Ndrangheta in Lombardia: in manette politico Pd, infiltrazioni in Expo

di A. Bartolini e D. Milosa – www.ilfattoquotidiano.it

Un politico e due facce. Quella pubblica e quella della “malavita sbirraglia”. Un politico del Partito democratico. Ancora. Un affare: terreni industriali da comprare e riconvertire in residenziali. Paga la ‘ndrangheta, garantisce il consigliere comunale Calogero Addisi. Garantisce per sé e per i parenti che stanno in Calabria. Incassa voti nel comune di Rho e si fa comandare dal boss Pantaleone Mancuso che lo riceve (è il 2012) nella sua villa in contrada agro di Limbadi. Perché come spiega il collaboratore di giustizia Antonino Belnome “un locale è forte quando ha le sue radici in Calabria, il nord non conta niente senza la Calabria”.

Insomma, tradizione e affari. Da Vibo Valentia all’hinterland milanese. Spartito semplice: Addisi fiuta l’affare, media con la cosca e passa la palla all’imprenditore. Sul tavolo lui mette la promessa: “In Comune ci penso io”. Ma niente telefono perché “così mi arrestano”. Addisi conosce i rischi, eppure ci mette parola e contatti. Quelli di Antonio Galati, emissario lombardo dei Mancuso, “mafioso” dicono le intercettazioni, ricco anche, capace di buttare sul tavolo 300mila euro per il business. Il filo della storia è questo. C’è il politico a catena (della mafia): “Ma se gli ho detto, non ci sono problemi a Rho … ve li risolvo io”. Che disegna speculazioni edilizie. E c’è il politico (sempre lo stesso) che parla in pubblico davanti al consiglio comunale. E dice: “Con questo P.G.T. abbiamo cercato di ridisegnare la città, preservandola dalle brutture, dagli scempi maligni e dal consumo dissennato del territorio. Un risultato storico. Una medaglia per tutta l’amministrazione. Una nuova rivoluzione culturale insomma”. E poi c’è il giudice per le indagini preliminari che per Addisi dispone l’arresto. Sul punto scrive: “Addisi mente in quanto è ben consapevole non solo di avere interesse nel Pgt, ma anche del fatto che un’area, interessata dal Pgt, è stata acquistata con il denaro della ‘ndrangheta”. Benvenuti in Lombardia. Benvenuti nell’ultima storia di mafia, armi e politica. Perché questo racconta l’ordinanza di 800 pagine firmata dal giudice Alfonsa Maria Ferraro e che poche ore fa ha portato in carcere 13 persone accusate, a vario titolo, di associazione ‘ndranghetista, riciclaggio e abuso d’ufficio aggravato dal metodo mafioso. Accusa, l’ultima, che tocca all’ex consigliere comunale Calogero Addisi, parente dei Mancuso e già citato (ma non indagato) nell’indagine che nel 2012 ha portato in carcere l’allora assessore regionale alla Casa Mimmo Zambetti.

L’operazione “Quadrifoglio” coordinata dal pm Paolo Storari e dal Ros di Milano, comandato dal colonnello Giovanni Sozzo, fotografa il presente criminale nella regione più ricca d’Italia. Fotografa l’affare sul terreno di Lucernate di Rho. In sintesi: Galati, la ‘ndrangheta, secondo l’accusa, ci mette il denaro, ottenendo come contropartita il cambio di destinazione per rivalutare il terreno. Non solo. Accatastando intercettazioni e filmati, l’inchiesta mostra il controllo del territorio dei clan lombardi, la loro violenza palesa, la capacità, infine, di mettersi in tasca politici, funzionari pubblici, uomini d’affari, guardie penitenziarie, commercialisti. Professionisti, insomma. Tutti a disposizione. E’ il capitale sociale della ‘ndrangheta. Che ha permesso ai boss d’infiltrarsi nei subappalti di Expo 2015, attraverso una società riconducibile al fratello carcerato di Antonio Galati. Borghesia mafiosa mixata all’ala militare. Quella, ragionano magistrati e investigatori, che fa capo ad Antonio Galati.

Questa è la ‘ndrangheta che nella Lombardia dell’Expo si spartisce il territorio con regole e leggi proprie. Antistato che si fa Stato. Della partita è anche Salvatore Muscatello, boss ultraottantenne, eminenza grigia della ‘ndrangheta lombarda, protagonista dei maxi blitz degli anni Novanta (La Notte dei fiori di San Vito). Poi capo della locale di Mariano Comense nell’operazione Infinito del 2010, arrestato, condannato, messo ai domiciliari. E ora, tra il 2012 a questa mattina, capo dello stato mafioso lombardo, riverito e pagato. Nel suo bunker andavano tutti. Il nipote di Giuseppe Morabito, alias u tiradrittu, la moglie del boss di Vigevano, Fortunato Valle (“Quello – dice Muscatello- mi lavava i piedi”). Ci va Emilio Pizzinga, politico locale a caccia di voti, e padre di Francesco, finito in galera nel 2006 perché trafficava droga con la ‘ndrangheta di Africo. Pizzinga incontra Muscatello nel gennaio 2014. Il comune di Mariano Comense è appena stato commissariato dopo che 11 consiglieri hanno tolto la fiducia. A maggio ci saranno le elezioni. Pizzinga cerca voti e sa dove andare. Dice al boss: “Vedete se mi trovate preferenza! Se no, non si fa più niente dopo!”. E ancora: “A me hanno dato in mano il partito”. Il boss chiede: “Quale partito?”. Pizzinga risponde: “Forza Italia!”.

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