Ha vissuto nel recente passato anche a Comazzo uno dei 35 uomini arrestati ieri nell’ambito dell’operazione «Redux Caposaldo» che ha sgominato un’organizzazione di stampo ’ndranghetistico operante da tempo nella zona del milanese. G.A., 40enne originario di Molfetta, nel barese, sarebbe secondo gli inquirenti uno dei bracci operativi dell’associazione, specializzata tra le altre cose in racket, estorsione, traffico di stupefacenti e smaltimento illecito di rifiuti.
La ‘ndrangheta — secondo gli inquirenti — era giunta a dominare a Milano il giro d’affari dei venditori ambulanti di panini e bibite, imponendo il pagamento di un pizzo per poter lavorare nelle ore notturne davanti ai locali della movida milanese. Per chi non pagava scattavano le minacce, che arrivavano fino all’incendio dei mezzi. Sigillati anche alcuni locali, in cui il sodalizio imponeva i propri buttafuori.
A gestire le attività del gruppo erano per gli investigatori i due boss Giuseppe «Pepé» Flachi e Paolo Martino, entrambi ritenuti emissari delle ’ndrine omonime della zona di Reggio Calabria. Le cosche operavano anche nel settore del movimento terra nei cantieri edili di Milano, e nella gestione di cooperative appaltatrici dei servizi di trasporto in Tnt (ex Traco). L’associazione pretendeva persino una «tassa» dagli spacciatori per operare in alcune delle più note piazze del capoluogo. La cosca che per i pm aveva una grande «capacità di penetrazione economica» nel tessuto lombardo aveva acquistato «attraverso intermediari fittizi» anche una delle discoteche cittadine, la “De Sade”.
Dall’ordinanza del gip emerge anche che Martino avrebbe avuto contatti con l’imprenditore dei vip Lele Mora (non indagato), e che alcune delle riunioni della “cupola” sarebbero avvenute nei locali di due grandi ospedali della città. A fornire soffiate al boss sarebbe stata anche la sorella, suora nell’ordine Paolino. Il sodalizio avrebbe avuto rapporti anche con il clan dei Valle, ritenuto attivo da tempo nella zona del pavese.
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Operazione "Redux Caposaldo". 35 arresti. – www.approdonews.it
Sono 35 gli arresti di presunti affiliati alla ‘ndrangheta effettuati lunedì mattina in Lombardia da parte del nucleo di Polizia tributaria della Guardia di Finanza di Milano, dei Carabinieri del Ros, in collaborazione con la Polizia locale. Sequestrati beni per 2 milioni di euro. Gli arrestati sono indagati per associazione per delinquere di stampo mafioso, estorsione, minacce, smaltimento illecito di rifiuti e spaccio di sostanze stupefacenti. L’operazione è coordinata dal procuratore aggiunto Ilda Boccassini, insieme ai pm Alessandra Dolci, Paolo Storari e Galileo Proietto.
ALLARME – L’operazione giunge a quattro giorni di distanza dall’allarme lanciato nella relazione annuale della Direzione nazionale antimafia per la «penetrazione con il modello della colonizzazione» delle cosche calabresi di ‘ndrangheta in Lombardia.
LE ATTIVITÀ – Non c’è solo la «classica» e diffusissima infiltrazione nel settore del movimento terra nei cantieri edili di Milano, ma anche la gestione della «security» in molti, notissimi, locali notturni, l’estorsione agli esercizi pubblici che sorgono nelle stazioni della metropolitana, l’attività di «pizzo» ai chioschi dei «porchettari», il controllo dei posteggi fuori dalle discoteche più celebri, gestione di cooperative appaltatrici dei servizi di trasporto in Tnt e persino una «tassa» imposta a chi intendeva spacciare in alcune piazze della città. È l’inquietante quadro, l’ennesimo, che emerge dall’operazione, denominata «Redux – Caposaldo». Delle 35 ordinanze di custodia in carcere richieste dalla Dda di Milano e disposte dal gip Giuseppe Gennari, ben 14 contestano l’associazione per delinquere di stampo mafioso e sono indirizzate a personaggi di primo piano della ‘ndrangheta «milanese». Oltre al boss Giuseppe «Pepé» Flachi, suo figlio Davide ed Emanuele Flachi (ritenuti legati ai Pesce di Reggio Calabria, e da decenni imperanti dalla Comasina a Quarto Oggiaro, dalla Bovisa ad Affori fino a Bruzzano), per il 416 bis sono scattate le manette anche ai polsi di Paolo Martino, considerato «diretta espressione» della famiglia reggina dei De Stefano, e di Giuseppe Romeo e Francesco Gligora considerati punti di riferimento delle cosche di Africo in Lombardia.
LEGAMI CON LELE MORA – Dall’ordinanza del gip emerge che Martino avrebbe avuto contatti con l’imprenditore dei vip Lele Mora: nel provvedimento ci sono anche alcune telefonate tra l’avvocato Luca Giuliante, legale di Mora, in relazione ad un gara d’appalto nel settore edilizio in cui è coinvolta la famiglia Mucciola. I contatti tra Paolo Martino e Lele Mora emergono nell’ordinanza del Gip dove viene riportata un’annotazione dei carabinieri del Ros nella quale vengono messi in luce i rapporti tra il boss e una serie di personaggi del settore dello spettacolo dei locali notturni, tra cui il tronista Costantino Vitaliano e il padrone dell’Hollywood. Riguardo all’avvocato Giuliante le telefonate invece sono riportate nell’ordinanza. I due, Mora e Giuliante, a quanto risulta non sono indagati.
IL PIZZO AI «PANINARI» – «Il lungo elenco di estorsioni relative ai ‘paninarì e soprattutto il contesto in cui esse si inseriscono documentano un totale dominio del territorio da parte del gruppo mafioso». È uno dei passaggi dell’ordinanza del Gip Giuseppe Gennari relativa alle 35 ordinanze di custodia cautelare eseguite questa mattina a Milano nei confronti di presunti ‘ndranghetisti. Nella parte dedicata al «pizzo» imposto agli ambulanti che vendono panini a bordo dei furgoni che stazionano nei luoghi più frequentati della città , «un settore tipico di intervento dell’ndrangheta» (tra l’altro già portato alla luce l’anno scorso dai magistrati reggini nei confronti del clan Pesce), il Gip sottolinea che «giammai il dominio dei clan è posto in discussione da chi subisce le regole» e che «le regole le scrivono i calabresi e non si discutono». Da quanto emerge dalle indagini, le estorsioni che riguardano anche la scelta del luogo di parcheggio e il modo stesso di esercitare l’attività commerciale, viene contestata principalmente ai Flachi. «Il capillare controllo del territorio operato dal gruppo Flachi in modo durevole nel tempo, presuppone una organizzazione di mezzi e persone assolutamente rilevante e ‘intrinsecamentè convincente che solo una presenza criminale consolidata può assicurare». L’ambulante che non paga quanto «dovuto per la protezione» si ritrova con il mezzo bruciato e nel 2010 tra Milano e provincia sono stati diversi i furgoni distrutti dal fuoco e «come sempre tutto accade nel più assoluto silenzio, nessuno denuncia nulla, nessuno sospetta nulla».