
Mohamen Abdullah aveva 47 anni ed era arrivato in Puglia dal Sudan. I due, Pippi Mariani e Mohamed Elsalih, erano accusati di omicidio colposo e caporalato. Alla moglie e la figlia della vittima riconosciuta una provvisionale di 50mila euro ciascuna – fonte: Francesco Oliva – bari.repubblica.it
Morì a 47 anni il 20 luglio del 2015 sotto un sole cocente per raccogliere pomodori per circa 12 ore al giorno per una paga di 50 euro dopo un viaggio di diverse migliaia di chilometri dalla sua terra d’origine. Per la morte del bracciante sudanese Mohamen Abdullah, la Corte d’assise di Lecce ha condannato a 14 anni e mezzo di reclusione Giuseppe Mariano, 83 anni, detto Pippi, di Porto Cesareo, titolare di fatto dell’azienda per omicidio colposo e caporalato e, con le stesse accuse, Mohamed Elsalih, 42enne, di origini sudanesi, che aveva il ruolo di mediatore degli arrivi. E il Salento non ha dimenticato un figlio morto in terra di accoglienza.
Nell’ottobre del 2016, in suo ricordo, è stata apposta una targa nei pressi della Masseria Boncuri, luogo simbolo delle battaglie per i diritti sindacali e per la dignità sul lavoro dei braccianti stranieri impiegati nella raccolta dei prodotti ortofrutticoli nei campi del Salento. “È una sentenza che rende giustizia per una morte così ingiusta” commenta l’avvocata Cinzia Vaglio, legale della moglie e della figlia della vittima che verranno risarcite con una provvisionale di 50mila euro ciascuno – anche se – prosegue l’avvocata – non ci sarà mai alcuna cifra che potrà lenire il dolore”.
Mohamed Abdullah era arrivato in Italia lasciando la sua famiglia in Sudan. Come tanti connazionali si era trasferito in una delle tendopoli allestite per la stagione estiva alle porte di Nardò e ogni giorno raccoglieva pomodori. Quel giorno, il 47enne era impegnato nella raccolta e nella sistemazione dei pomodori all’interno di apposite vaschette. La temperatura era rovente. La terra bruciava. Il caldo non faceva respirare ma bisognava necessariamente lavorare senza sosta. A fermarsi fu il cuore del bracciante, sfiancato da ore di fatica nei campi.
Dopo la sua morte, gli inquirenti hanno ricostruito l’intera filiera dei pomodori che dalle campagne salentine finivano alle multinazionali delle conserve e, sotto forma di pelati o salsa, sulle tavole degli italiani. Le accuse a carico dell’imprenditore sono state messe nero su bianco dal pm quando scriveva che “non avrebbe effettuato la necessaria visita medica, da parte di un medico competente che potesse accertare la capacità del lavoratore in rapporto alla propria salute e sicurezza ed in relazione al proprio pregresso stato di salute”. Negligenze e imperizie, insomma.
Nel corso delle indagini sono emerse carenze su più fronti: assenza di un presidio medico quali la cassetta di primo intervento; guanti e scarpe a protezione; copricapo per difendersi dalle insolazioni; erogatori di acqua potabile. Il resto del risarcimento, come prevede la sentenza, sarà quantificato in separata sede. Il ristoro dovrà essere stabilito per la Cgil con l’avvocata Viola Messa; il Cidu (Centro internazionale dei diritti umani) rappresentata dal presidente Cosimo Castrignanò e difeso dall’avvocato Paolo Antonio D’Amico; la Mutti e la Conserva Italia, (le due aziende cui arrivavano i pomodori raccolti dai lavoratori stagionali) assistite rispettivamente dal professore Vincenzo Muscatiello e dal’avvocata Anna Grazia Maraschio. Per conoscere le motivazioni sarà necessario attendere 90 giorni.
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