Lotta contro il tempo per evitare il degrado ambientale.
In una precedente campagna di monitoraggio sull’inquinamento bellico da iprite nell’Adriatico meridionale e nelle acque di Molfetta l’ISPRA (ex Icram) ha realizzato un documentario dal titolo «Red Cod» che ha vinto numerosi festival internazionali sull’ambiente divenendo molto famoso all’estero, ma che, invece, è poco noto nella Provincia di Bari che ne è la protagonista. Nel filmato si svela perché le bombe ad iprite dopo la bonifica fossero state sparse lungo tutta la costa barese e non nelle acque internazionali (oltre le dodici miglia) dove, invece, dovevano essere smaltite.
Alcuni pescatori molfettesi venivano pagati in base ai viaggi effettuati per portarle al largo e così per guadagnare di più preferivano sbarazzarsi della merce già poco distante dalla costa. Questa «furbizia» ha causato centinaia di incidenti proprio nella marineria molfettese che ha ripescato le bombe tossiche nelle reti.
Sempre in «Red Cod» viene rivelato come Torre Gavetone fosse una delle più importanti fabbriche di armi durante la guerra e che lo smaltimento di molti ordigni sia avvenuto proprio lungo le coste antistanti (una delle zone che devono essere bonificate). A Molfetta sta attualmente lavorando il nucleo SDAI della Marina per operazioni di bonifica, ma l’entità degli ordigni è tale che potrebbe rappresentare una delle principali cause dell’attuale degrado ambientale. Le bombe avrebbero iniziato a corrodersi rilasciando le sostanze inquinanti.
Bari, un «siluro» giallo a caccia di bombe e di segreti nel mare.
di Nicolò Carnimeo (www.lagazzettadelmezzogiorno.it/…)
Il piccolo siluro giallo dopo 5 ore di lavoro riappare dalle acque grigie del porto di Bari: gli uomini del Nurc (Nato Undersea Research Centre), un centro ricerche della Nato, lo affiancano a bordo di un gommone grigio. Tra poco potranno essere scaricate sul pc le immagini raccolte del piccolo sottomarino AUV (Autonomous Underwater Vehicle) una specie di siluro giallo dotato di un sonar a scansione laterale che è capace di fornire una visione tridimensionale e dettagliata del fondale. Nei tre uomini della Nato, Federico Cernic, Francesco Baralli e il comandante della Royal Navy Robin Cornick c’è attesa dopo che le investigazioni nei giorni scorsi hanno rilevato una vistosa gobba che potrebbe appartenere ad un relitto sommerso e almeno due oggetti di forma cilindrica che assomigliano a ordigni della seconda guerra mondiale. A terra li aspetta il resto dei componenti la missione guidata da Luigi Alcaro ricercatore dell’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e Ricerca Ambientale) che da qualche tempo lavora al monitoraggio e alla bonifica di alcuni siti pugliesi contaminati da ordigni bellici della seconda guerra mondiale. «Lavoriamo a Bari da una settimana – inizia Alcaro – ma la nostra investigazione si estende anche al porto di Molfetta, Manfredonia e Torre Gavetone (n.d.r. sulla costa tra Molfetta e Giovinazzo).
Il progetto finanziato con 5 milioni di euro dal ministero dell’ambiente e gestito dalla Regione Puglia prevede il monitoraggio e la messa in sicurezza di questi siti che sono stati particolarmente colpiti durante il secondo conflitto mondiale. Bari, in particolare, ha subito due terrificanti bombardamenti, quello del 2 dicembre 1943 dove affondarono 17 navi di cui almeno una conteneva bombe d’aereo americane caricate con l’iprite, un episodio che grazie alla contaminazione di quel terribile gas provocò la morte di centinaia di persone. E poi l’esplosione del 9 aprile 1945 della nave Charles Henderson. Le bonifiche sono state effettuate nel dopoguerra e le quantità recuperate all’epoca erano ingenti, ma non sono state fatte con tecniche sofisticate. Riteniamo che qualche ordigno si sia perso, specie quelli carichi di iprite». Per questo il piccolo siluro giallo AUV, il cui tragitto è predeterminato al computer, seziona in lungo e largo il bacino del porto ad una velocità di due nodi e registra anche i più piccoli oggetti sul fondo.
A seguire le imprese del robot c’è anche uno dei documentaristi e subacquei più celebri in Italia, Roberto Rinaldi, che a fine missione girerà un filmato sulla missione per conto dell’ISPRA. Terminato il lavoro in mare il gruppo si riunisce in un capannone della Capitaneria di porto di Bari che ha fornito supporto logistico alle operazioni. Qui, un fitto capannello rimane di fronte al monitor del pc per studiare le immagini, e pare quasi che l’AUV abbia funzionato come una specie di macchina del tempo capace di far riemergere dalle profondità marine storie dimenticate. La consistenza del fondale è rielaborata dal computer che ne fornisce una visione d’insieme unendo un fitto reticolato in più dimensioni: ecco, semisommersi, due corpi di forma cilindrica la cui forma assomiglia a bombe d’aereo e poi la gigantesca gobba di diciotto metri (ci troviamo ad una ventina di metri dalla “dighetta”) che ha la forma di una carcassa di nave con la poppa sommersa. I tecnici ISPRA hanno inviato sul presunto relitto un ROV – robot subacqueo – prelevando una scheggia di legno da quelle che sembrano le ordinate (“costole”) della nave. Non è stato accertato se appartengano a quelle di un comune peschereccio o di un antico veliero. Le ricerche appureranno la realtà. Questi i risultati della prima fase del monitoraggio barese. A breve, una seconda fase con l’ausilio di un magnetometro per rilevare gli oggetti metallici. Poi, in base alla mappa degli oggetti ritrovati, i sub scenderanno a controllare se si tratta di ordigni prima di affidare l’eventuale bonifica all’efficientissimo gruppo SDAI della Marina.
grazie ancora matteo per le informazioni che ci dai. Ma il sindaco che fa a Roma per questa storia brutta bruttab brutta?
Che facciamo? E’ una vergogna!!!
Sebbene per molti cittadini molfettesi la presenza di ordigni a caricamento chimico nel nostro mare sia ormai una convinzione(poichè sono le voci degli storici e le testimonianze degli anziani a dircelo), attendiamo che il “siluro giallo” possa scandagliare al più presto i fondali nostrani e fugare i dubbi di coloro che ancora si dicono scettici sulla pericolosità delle acque. Successivamente, se le perplessità dei più fossero confermate, allora sarà lecito attendersi dalle istituzioni locali una risposta concreta,identificabile nella bonifica totale dei fondali interessati e non solo di quelli antistanti il nuovo porto.