Magistrati arrestati a Trani, D’Introno si costituisce: è in carcere

fonte: MASSIMILIANO SCAGLIARINI – www.lagazzettadelmezzogiorno.it

Da ieri sera Flavio D’Introno è in carcere per scontare i quattro anni e mezzo residui della condanna per usura nel processo «Fenerator». L’imprenditore di Corato, testimone chiave nel processo contro i giudici di Trani, si è costituito nel carcere della Bat. In un primo momento aveva ipotizzato di presentarsi a Matera, dove sono rinchiusi da gennaio l’ex gip Michele Nardi e l’ispettore Vincenzo Di Chiaro con l’accusa di associazione per delinquere finalizzata alla corruzione in atti giudiziari.
Ventiquattro ore dopo la decisione della Sorveglianza, che ha detto «no» all’affidamento in prova ai servizi sociali, D’Introno si è dunque consegnato dopo che i carabinieri, mercoledì pomeriggio, non lo avevano trovato in casa.

Ma la questione non è chiusa, perché l’avvocato di D’Introno, Vera Guelfi, una lunga esperienza nell’assistere collaboratori di giustizia, ha sentito l’esigenza di scrivere una lettera aperta a Mattarella e al guardasigilli Bonafede con l’obiettivo di segnalare l’accaduto: un corto circuito – denuncia l’avvocato barese – che vede D’Introno andare in carcere per una condanna che, in base alle indagini della Procura di Lecce, potrebbe essere frutto di un processo in qualche modo truccato. «Chiedo al Presidente della Repubblica di analizzare la situazione giudiziaria dei Tribunali di Trani e di Bari al fine di spazzare le nubi che oggi coprono il lavoro zelante e faticoso di tanti Magistrati perbene e, permettetemi di dire, avvocati perbene che oggi devono essere protetti da chi, o per sbagli personali o per frequentazioni con chi ingiustamente ha speso il loro nome, non sono più equi agli occhi del cittadino che chiede Giustizia».

Flavio D’Introno – ricorda la Guelfi – «con le sue propalazioni ha permesso alla Procura di Lecce di procedere nei confronti di Magistrati ed avvocati che secondo la prospettazione accusatoria hanno tradito il loro mandato»: dopo di lui, «sono stati numerosi gli imprenditori che hanno denunciato medesimi episodi di abuso dei poteri da parte di Magistrati che utilizzavano la loro funzione per scopi privati». E proprio le ammissioni di uno dei giudici, l’ex pm Antonio Savasta che ha parlato anche di quanto accadde nel processo Fenerator oltre che di alcuni giudici della Sorveglianza (al cui carico, va detto chiaramente, al momento non ci sono accuse specifiche), «lasciano una marcata ombra sulla unica sentenza che vede D’Introno condannato a pena di 5 anni di reclusione».

La difesa dell’imprenditore aveva chiesto alla Sorveglianza di confermare la sospensione dell’esecuzione disposta lo scorso anno in quanto D’Introno, dopo la condanna in appello, aveva avuto problemi di alcolismo e per questo era in cura al Sert. «Ad oggi – scrive la Guelfi – non ho avuto notifica del provvedimento di rigetto ma dalla relazione del giudice relatore e dal parere del pm d’udienza appare che la Magistratura di Sorveglianza abbia ritenuto che l’organo deputato a dire se il D’Introno sia bisognevole di continuare ad essere seguito dal Servizio dipendenze della Asl Bat ha errato la sua valutazione ed oggi il mio assistito, incensurato prima della condanna per il “processo”, dovrà entrare in carcere».

Insomma, dice la Guelfi, bisognava fare in modo che il Tribunale di Lecce avesse prima il modo di verificare le accuse della Procura ai magistrati, «senza dover pensare che vi può essere una persona in carcere per una sentenza iniqua», dando allo stesso tempo alla difesa la possibilità di «poter proporre l’azione revocatoria (la richiesta di revisione del processo, ndr) senza l’angoscia dell’esecuzione». Da qui l’appello al ministro Bonafede «sull’opportunità di modificare la legge ipotizzando per chi collabora con la Giustizia in caso di corruzione in atti giudiziari che la competenza della Procura ex articolo 11 cpp interessi tutti i processi che lo vedono coinvolto». Di D’Introno, dice insomma la Guelfi, dovrebbe occuparsi solo Lecce.

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