Un appunto rimasto per trent’anni dimenticato. Un foglio di carta utilizzato come block notes probabilmente durante un interrogatorio e rimasto poi disperso tra i faldoni senza che nessuno ci facesse mai caso. Eppure il suo contenuto è rilevante. C’è scritto: “Cinà in buoni rapporti con Berlusconi. Berlusconi dà 20 milioni a Grado e anche a Vittorio Mangano“. Parole tracciate con la calligrafia di Giovanni Falcone ed emerse all’interno di quello che è stato l’ufficio del giudice, all’interno del palazzo di giustizia di Palermo, ormai diventato un museo. A riportare la notizia dell’esistenza dell’appunto è il giornalista Salvo Palazzolo sul quotidiano la Repubblica. A fare la scoperta, invece, è stato uno dei più stretti collaboratori del magistrato, Giovanni Paparcuri, che dopo essere andato in pensione accoglie nel “bunker” del pool antimafia i visitatori.

Qualche giorno fa, Paparcuri stava sfogliando alcuni scritti di Falcone conservati al museo, quelli che contengono le vecchie dichiarazioni del pentito Francesco Marino Mannoia, utilizzate ormai in centinaia di processi. All’ improvviso, si è imbattuto nell’appunto che parla di Berlusconi: mai nessuno se n’era accorto prima. Paparcuri ha subito informato la procura. Quelle parole annotate da Falcone, infatti, sembrano confermare quanto già emerso durante il processo a Marcello Dell’Utri, condannato in via definitiva – e attualmente detenuto – a sette anni di carcere per concorso esterno a Cosa nostra.

Gaetano Cinà – che nell’appunto viene indicato come “in buoni rapporti con Berlusconi” – è un mafioso molto amico di Dell’Utri, ed è l’uomo che nel 1987 gli annuncia al telefono l’arrivo a Milano di un’enorme cassata con il simbolo della Fininvest. Mafioso è anche Gaetano Grado, un uomo d’onore spesso di stanza a Milano negli anni ’70. Vittorio Mangano è il noto stalliere di Arcore, capo della famiglia mafiosa di Porta Nuova a Palermo, assunto da Berlusconi nel 1974 a Villa San Martino ufficialmente come fattore. Tutti personaggi e fatti ormai già noti, dunque, quelli appuntati da Falcone. Il problema è che nei verbali del collaboratore di giustizia Mannoia non c’è traccia di riferimenti a Berlusconi. Interpellato da Repubblica su questo appunto Mannoia ha risposto: “Non ricordo. Sono ormai anziano e malato. E poi non posso rilasciare alcuna dichiarazione alla stampa”. Al processo Dell’Utri Mannoia si è avvalso della facoltà di non rispondere. Dallo stesso procedimento è emerso, però, come il capo di Mannoia, Stefano Bontate, nel 1974 incontrò Berlusconi a Milano, grazie alla mediazione di Dell’Utri. La Cassazione ha considerato provato che Berlusconi stipulò un patto di protezione con Cosa nostra, prima per evitare i sequestri di persona negli anni ’70 a Milano, poi per la “messa a posto” dei ripetitori tv in Sicilia. “A noialtri ci dava 250 milioni ogni sei mesi”, ha detto intercettato in carcere il boss Totò Riina

La scoperta dell’appunto di Falcone, però, genera un ulteriore domanda: davvero il giudice non ha mai approfondito quei collegamenti tra Berlusconi e Cosa nostra messi nero su bianco in quel foglio di carta? Prima del 1994, a Palermo non è mai risultata alcuna indagine su Berlusconi. Eppure in un’intervista rilasciata il 21 maggio del 1992, cioè due giorni prima della strage di Capaci, Paolo Borsellino parla chiaramente di collegamenti tra Mangano, Dell’Utri e Berlusconi. Lo fa parlando con i giornalisti Jeanne Pierre Moscardo e Fabrizio Calvi in quella che è diventata una delle interviste più misteriose degli ultimi trent’anni. I giornalisti chiedono notizie di Vittorio Mangano, visto che Borsellino aveva indagato su di lui nel 1975. Poi, a una domanda su Dell’ Utri, Borsellino risponde: “Non è stato imputato nel maxiprocesso. So che esistono indagini che lo riguardano e che lo riguardano insieme a Mangano. Credo che ci sia un’ indagine che attualmente è a Palermo con il vecchio rito processuale nelle mani del giudice istruttore, ma non ne conosco i particolari”. Quell’indagine, però, ufficialmente non è mai esistita. Come l’appunto di Falcone.