Mafia, droga, estorsioni, un omicidio: colpo al clan D’Abramo-Sforza di Altamura, 53 arresti in tutta la Puglia, a Matera e a Roma

Dalle prime ore di questa mattina i carabinieri sono stati impegnati in una massiccia operazione nei confronti del clan D’Abramo – Sforza. In totale per 49 persone è scattato il carcere, per 5 i domiciliari, e per 4 l’obbligo di presentazione alla polizia. Sono tutti capi e affiliati del clan nei comuni di Bari, Altamura (BA), Foggia, Cerignola (FG), Matera (MT), Lecce (LE) e Romaritenuti responsabili di associazione di tipo mafioso armata, detenzione e porto di armi, anche da guerra, traffico di sostanze stupefacenti,omicidio, tentato omicidio, estorsione, turbativa d’asta. Eseguito anche il sequestro di quattro immobili, un esercizio commerciale del valore complessivo di oltre due milioni di euro, e due autovetture di grossa cilindrata. Nel corso dell’indagine, i carabinieri avevano già recuperato un considerevole quantitativo di droga: 5 chili di cocaina, 9 di marijuana e 16 di hashish. 

L’operazione – denominata “Nemesi” – è il frutto di un’indagine avviata nel 2017 dai carabinieri di Bari, che ha consentito di:

–   documentare l’operatività dell’organizzazione criminale facente capo a Michele D’Abramo e Giovanni Sforza – legata al clan Parisi di Bari – attiva nel territorio di Altamura, e impegnata in traffico di stupefacenti, reati contro il patrimonio (estorsioni), contro la persona (omicidi e tentati omicidi), in materia di armi, e contro la Pubblica Amministrazione (turbata libertà degli incanti);

–   sequestrare notevoli quantitativi di droga nella disponibilità del sodalizio, che si riforniva dal clan Parisi-Palermiti di Bari e da Cerignola;

–   disporre il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di 4 appartamenti e di due autovetture, sulla base dell’accertata sproporzione tra i redditi dichiarati ed il tenore di vita dei nuclei familiari di D’Abramo, Sforza – capi cosca – e dei loro luogotenenti Pasquale Sciannanteno e Luigi Sforza;

L’indagine ha infine consentito di identificare i mandanti e gli esecutori materiali dell’omicidio e della soppressione del cadavere di Angelo Popolizio,  scomparso ad Altamura il nel 2014, di due tentativi di omicidio, strategici per la conquista violenta del territorio da parte della nuova compagine criminale.

Nell’ambito dell’inchiesta è emerso, altresì, come un imprenditore edile altamurano, responsabile della ditta incaricata dell’esecuzione dei lavori di costruzione del centro di ristorazione sociale per persone disagiate a Gioia del Colle (BA) – danneggiato, nel 2016, da un incendio doloso a pochi giorni dalla sua inaugurazione – e successivamente impegnato con la sua impresa nella realizzazione di alloggi di edilizia popolare a Grumo Appula (BA), fosse rimasto vittima – in entrambi i casi – di estorsioni (non denunciate) da parte della criminalità locale, e costretto ad assumere personale per ottenere la ‘protezione’. Inoltre, lo stesso si è reso responsabile della corruzione di un funzionario amministrativo già in servizio presso la Regione Puglia, per accelerare l’emissione dei mandati di pagamento.

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C’È ANCHE UNA FUNZIONARIA DELLA REGIONE PUGLIA – C’è anche una funzionaria della Regione Puglia, C.M., accusata di corruzione tra le 58 persone destinatarie di misure cautelari disposte dalla magistratura barese nell’ambito di una indagine sul gruppo criminale di Altamura D’Abramo-Sforza, vicino al clan Parisi di Bari.

La vicenda che coinvolge la funzionaria regionale, finita agli arresti domiciliari, è slegata dagli affari del clan ed è stata scoperta perché i Carabinieri indagavano sull’imprenditore edile di Altamura Vito Tafuni che l’avrebbe corrotta, anche lui arrestato oggi, il quale a sua volta era vittima di estorsioni da parte dei clan, pagando il pizzo in cambio di protezione. La funzionaria nel 2016, in cambio di favori sui mandati di pagamento da parte della Regione all’impresa di Tafuni che stava realizzando case popolari a Grumo Appula, avrebbe ottenuto un’automobile e lavori di ristrutturazione in casa. Nell’ambito dell’inchiesta è emerso che lo stesso imprenditore aveva subito, oltre alle richieste di denaro dal clan di Altamura, un’altra estorsione con imposizione della guardiania da parte di un pregiudicato di Gioia del Colle, città dove stava eseguendo lavori di costruzione del ‘centro di ristorazione sociale per persone disagiate’. A lavori ultimati e a pochi giorni dalla inaugurazione della mensa per poveri, la struttura fu data alle fiamme. L’imprenditore non ha mai denunciato le estorsioni subite.

SUMMIT DURANTE MATRIMONI – Le indagini dei carabinieri che hanno portato oggi alla esecuzione di 58 misure cautelari per associazione mafiosa, traffico di droga, estorsioni a imprenditori, turbativa d’asta, hanno documentato summit mafiosi anche durante matrimoni tra il gruppo criminale di Altamura facente capo a Michele D’Abramo e Giovanni Sforza e il clan Parisi di Bari, dai quali i murgiani si rifornivano di droga. I Carabinieri hanno eseguito 49 arresti in carcere, 5 ai domiciliari, 4 obblighi di presentazione alla polizia giudiziaria. L’inchiesta, coordinata dai pm della Dda di Bari Renato Nitti e Marco D’Agostino, ha accertato responsabilità del clan murgiano in un episodio di lupara bianca, l’omicidio di Angelo Popolizio, scomparso il 7 agosto 2014 e il cui cadavere non è mai stato ritrovato, due tentati omicidi ai danni dei boss rivali Nicola e Mario Dambrosio, coinvolgimento del gruppo criminale nelle aste giudiziarie per l’acquisizione di immobili. 

BOSS TRADITO COSTRINSE RIVALE A TAGLIARSI LE VENE – Il boss Michele D’Abramo, tradito dall’amante, costrinse un imprenditore, rivale in amore, a tagliarsi le vene ma l’uomo fu poi salvato dai familiari presenti al tentativo di suicidio indotto. È uno dei particolari che emergono dall’indagine della Dda di Bari che ha portato oggi a decine di arresti contro il clan D’Abramo-Sforza di Altamura. Vittima dell’episodio da parte del boss Michele D’Abramo, fu un imprenditore di Altamura. Il pregiudicato aveva scoperto che la sua amante, moglie di un affiliato del clan, aveva anche un’altra relazione con l’imprenditore. Il boss avrebbe quindi convocato tutta la famiglia dell’uomo, costringendo la sua amante a rinnegare la relazione sputando sul volto dell’imprenditore, ordinandogli poi di uccidersi. «Potrei ammazzarti io, ma devi farlo con le tue mani» sarebbero state le sue parole. L’uomo si tagliò le vene ma, immediatamente soccorso dai familiari, riuscì a salvarsi. Poi fu costretto a lasciare la Puglia trasferendosi a Milano, mentre la sua famiglia dovette pagare 300 mila euro per salvargli la vita. 

fonte: www.lagazzettadelmezzogiorno.it

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