Avrebbero agevolato esponenti del clan mafioso Di Cosola, fornendo informazioni sulle indagini in corso, sui turni di servizio e sui controlli da effettuare, ricevendo in cambio denaro o altre utilità: due carabinieri, in servizio alla stazione di Giovinazzo, sono finiti in carcere, insieme a un esponente di spicco del sodalizio mafioso e a un commerciante. Sono accusati, a vario titolo, di concorso esterno in associazione mafiosa (alcuni come promotori, altri come partecipi), corruzione in atti giudiziari e rivelazione del segreto d’ufficio.
Si tratta degli appuntati Antonio Salerno, di 52 anni, e Domenico Laforgia di 51, del commerciante 39enne Gerardo Giotti e del referente del clan Mario Del Vecchio, 41 anni. L’indagine è stata condotta dai carabinieri del Nucleo investigativo del Comando provinciale di Bari, sotto il coordinamento del sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimafia Federico Perrone Capano e le ordinanze sono state firmate dal gip Marco Galesi. Stando a quanto emerso dalle indagini, il commerciante avrebbe fatto da tramite tra i carabinieri e l’esponente del clan.
I militari, in particolare, avrebbero rivelato informazioni relative ad operazioni di polizia giudiziaria, raccontando i dettagli delle indagini in corso; indicando i turni di servizio dei colleghi della stazione e gli orari in cui sarebbero avvenuti i controlli nei confronti degli affiliati sottoposti a misure coercitive. In tre distinte occasioni avrebbero inoltre consegnato documenti informatici e cartacei non divulgabili, contenenti registrazioni e verbali di dichiarazioni rese da collaboratori di giustizia.
“L’indagine è nata all’interno dell’Arma dei carabinieri e questo dimostra che l’istituzione ha la forza di fare piena luce su fatti che infangano il lavoro di tanti carabinieri onesti” ha commentato il comandante provinciale di Bari, colonnello Fabio Cairo. “Si tratta di un provvedimento e non di una sentenza, per quanto relativo a fatti gravissimi – ha aggiunto – la vicenda giudiziaria farà comunque il suo corso. A noi interessava fare piena luce su questioni gravi, di cui siamo venuti a conoscenza nell’ambito di un’indagine più ampia, per tutelare il lavoro di migliaia di carabinieri, che ogni giorno fanno la loro parte silenziosamente”.