Lecce, anche due giudici chiedono i danni dell’ex gip Nardi

Flavio D’Introno e i carabinieri ingiustamente accusati di aver truccato un verbale chiedono i danni al ministero della Giustizia. Ovvero il datore di lavoro dell’ormai ex gip Michele Nardi, il principale imputato del processo per la giustizia svenduta nel Tribunale di Trani che si è aperto ieri mattina a Lecce davanti alla Seconda sezione penale.

È stata in realtà una udienza-filtro, dato che il dibattimento si svolgerà con una diversa composizione del collegio. Ma già mercoledì 13 dovranno essere sciolte le questioni preliminari riguardanti, appunto, le costituzioni di parte civile. D’Introno, principale accusatore dei magistrati, ha infatti chiesto di citare come responsabile civile il ministero della Giustizia, sulla base di un ragionamento che suona più o meno così: Nardi – accusato di essere il capo e il promotore di un’associazione per delinquere finalizzata alla corruzione in atti giudiziari – ha potuto promettere interventi per truccare le indagini proprio in virtù del suo ruolo di magistrato, dunque di dipendente del ministero. Stessa richiesta è arrivata dall’avvocato Francesco Mascoli, che rappresenta altre persone offese dalla cricca dei giudici. Nei loro confronti, oltre che la presidenza del Consiglio, si è costituito anche il ministero dell’Interno per tutelare i militari. Il difensore di Nardi, Domenico Mariani, ha però chiesto l’esclusione dalle parti civili di Palazzo Chigi, dei ministeri e dello stesso D’Introno.

Ma la lista di chi chiede i danni a Nardi (che è in carcere a Matera e ieri ha seguito l’udienza dalla gabbia) è molto lunga. Ci sono anche due suoi ex colleghi, i giudici baresi Loredana Colella e Ornella Gozzo, componenti del collegio di Appello che si è occupato del processo «Fenerator» nei confronti di D’Introno: per questa vicenda l’accusa a Nardi è di millantato credito, perché con la scusa di corrompere i colleghi (rappresentati dall’avvocato Michele Laforgia) si sarebbe fatto consegnare un Rolex e due diamanti dall’imprenditore coratino.

L’indagine della Procura di Lecce riguarda complessivamente dieci persone. In cinque hanno scelto il giudizio ordinario: oltre a Nardi ci sono l’ex ispettore di Polizia, Vincenzo Di Chiaro (anche lui in carcere a Matera), l’avvocato barese Simona Cuomo, il falso testimone Gianluigi Patruno e Savino Zagaria, l’ex cognato dell’allora pm Antonio Savasta che insieme all’altro ex collega Luigi Scimè ha invece optato per il rito abbreviato (si inizia il 20 davanti al gup Cinzia Vergine). L’avvocato della Cuomo, Francesco Paolo Sisto, ha riproposto anche ieri la richiesta di giudizio abbreviato condizionato che era già stata respinta all’udienza preliminare.

L’indagine di Lecce, di cui è stata chiusa soltanto la prima fase, riguarda accuse a vario titolo che vanno dal 2014 al 2018 e spaziano dalla corruzione in atti giudiziari alle minacce e al falso. L’ipotesi della Procura, che è stata già analizzata a fondo nelle oltre 100 ore di incidente probatorio, è che in cambio di soldi (oltre due milioni di euro), viaggi e regali offerti da D’Introno, i tre magistrati, l’avvocato Cuomo e l’ispettore Di Chiaro abbiano manomesso fascicoli giudiziari per salvare l’imprenditore di Corato. Tentativo che non è riuscito, dato che anche D’Introno è finito nel carcere di Trani per scontare la condanna definitiva per usura che avrebbe voluto evitare.

fonte: MASSIMILIANO SCAGLIARINI – www.lagazzettadelmezzogiorno.it

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