Le mani della ‘Ndrangheta sull’Emilia, 117 arresti. Indagati ridevano dopo sisma del 2012

di FABIO TONACCI e FRANCESCO VIVIANO – www.repubblica.it

I tentacoli della ‘Ndrangheta sono arrivati fino in Emilia. Una maxi operazione dei Carabinieri, denominata “Aemilia“, condotta dalla Dda di Bologna ha portato a 117 richieste di custodia cautelare (110 portate a termine, 7 persone risultano irreperibili) e ad oltre 200 indagati, per la maggior parte in Emilia. Altri 46 provvedimenti sono stati emessi dalle procure di Catanzaro e Brescia. Sul campo sono stati impiegati un migliaio di militari con il supporto anche di elicotteri.

I provvedimenti di custodia riguardano soggetti ritenuti responsabili a vario titolo di associazione di tipo mafioso, estorsione, usura, porto e detenzione illegali di armi da fuoco, intestazione fittizia di beni, riciclaggio, emissione di fatture false. Il clan al centro dell’inchiesta è quello dei Grande Aracri di Cutro (Crotone), di cui è documentata da tempo l’infiltrazione nel territorio emiliano, soprattutto nella zona di Brescello dove vivono esponenti di spicco della cosca calabrese. Alcuni dei reati hanno carattere transnazionale, interessano Austria, Germania, San Marino. Chiesto il sequestro di beni per 100 milioni di euro.

Una parte consistente dell’inchiesta riguarda gli appalti della ricostruzione post terremoto e alcuni imprenditori emiliani. In particolare la “Bianchini costruzioni Srl” di Modena è riuscita ad ottenere “numerosissimi appalti” del Comune di Finale Emilia in relazione – si legge nell’ordinanza – ai lavori conseguenti il sisma del maggio 2012 e altri in materia edile e di smaltimento rifiuti. Per questo Augusto Bianchini è finito in carcere, Alessandro Bianchini è invece ai domiciliari. Tra gli arrestati anche l’imprenditore Giuseppe Iaquinta, padre dell’ex calciatore della Juventus e campione del mondo Vincenzo Iaquinta.

E ancora una volta alcuni alcuni indagati, si legge nell’ordinanza del Gip, ridono dopo il terremoto che ha colpito l’Emilia nel 2012 proprio come era accaduto nel 2009 all’Aquila. Le risate sono in un dialogo citato nell’ordinanza del Gip tra due indagati, Gaetano Blasco e Antonio Valerio: “E’ caduto un capannone a Mirandola“, dice il primo. “Valerio ridendo risponde: eh, allora lavoriamo là.. Blasco: ‘ah sì, cominciamo facciamo il giro…‘”, si legge.

“Un intervento che non esito a definire storico, senza precedenti. Imponente e decisivo per il contrasto giudiziario alla mafia al nord”, ha commentato il Procuratore nazionale Antimafia Franco Roberti in conferenza stampa. Poi ha aggiunto: “Non ricordo a memoria un intervento di questo tipo per il contrasto a un’organizzazione criminale forte e monolitica e profondamente infiltrata”. L’inchiesta, in corso da diversi anni, aveva portato gli inquirenti a sentire come persona informata dei fatti anche l’ex sindaco di Reggio Emilia e attuale sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Graziano Delrio e altri politici locali. Lo stesso Delrio, in un tweet, ha manifestato il suo plauso per l’inchiesta bolognese: “Inchieste Dda Bologna fondamentali per rendere più forti e libere le nostre comunità #Aemilia”.

Anche la politica locale è coinvolta nell’inchiesta. Gli inquirenti hanno documentato attività di supporto e tentativi di influenzare elezioni amministrative da parte degli affiliati al gruppo criminale in vari comuni dell’Emilia. Lo ha spiegato il procuratore Roberto Alfonso citando i casi di Parma nel 2002, Salsomaggiore nel 2005, Sala Baganza nel 2011, Brescello nel 2009.

Tra le persone colpite dai provvedimenti di custodia, il consigliere comunale di Reggio Emilia Giuseppe Pagliani, di Forza Italia. I carabinieri lo hanno prelevato dalla sua abitazione di Arceto di Scandiano, vicino a Reggio Emilia.

Tra gli indagati ci sono il sindaco di Mantova Nicola Sodano, che sarebbe accusato di favoreggiamento per una vicenda legata a un appalto in cui è coinvolto un imprenditore arrestato, e Giovanni Paolo Bernini, ex presidente del Consiglio comunale di Parma, allora appartenente a Forza Italia. Per lui la procura aveva chiesto l’arresto, ma il Gip non l’ha concesso. L’accusa a suo carico è di “aver contribuito pur senza farne parte al rafforzamento e alla realizzazione degli scopi dell’associazione mafiosa”, perché “richiedeva e otteneva dagli associati voti a suo favore in relazione alla campagna elettorale 2007 per l’elezione del sindaco e del consiglio comunale di Parma”.

Agli arresti anche Nicolino Sarcone considerato anche da indagini precedenti il reggente della cosca su Reggio Emilia. Sarcone, già condannato in primo grado per associazione mafiosa, è stato recentemente destinatario di una misura di prevenzione patrimoniale che gli aveva bloccato beni per cinque milioni di euro. Dalle carte dell’inchiesta emergerebbe anche il sostegno elettorale imposto dai Grande Aracri ad alcuni candidati emiliani durante le amministrative.

L’indagine è condotta dalla procura distrettuale antimafia di Bologna che ha ottenuto dal gip del Tribunale le 117 richieste custodie cautelari in Emilia, ma anche Lombardia, Piemonte, Veneto, Sicilia. Contestualmente si sono mosse le procure di Catanzaro e Brescia che hanno emesso 46 provvedimenti.

Nella lista dei nomi colpiti dalle ordinanza di custodia sono finiti anche Ernesto e Domenico Grande Aracri, i fratelli del boss già detenuto Nicolino Grande Aracri, detto “Mano di gomma“. Domenico è un avvocato penalista, il suo arresto è stato disposto dalla Dda di Bologna, mentre per Ernesto si è mossa la Dda di Catanzaro. Il centro di questa organizzazione è Cutro, piccola cittadina del crotonese: Nicolino Grande Aracri aveva intenzione di costituire una grande provincia in autonomia. La cosca di Cutro sarebbe riuscita, grazie all’avvocato del foro di Roma Benedetto Giovanni Stranieri (sottoposto a fermo per concorso esterno in associazione mafiosa), anche ad avvicinare un giudice di Cassazione e a fare annullare con rinvio una sentenza di condanna a carico del genero del boss.

“Grande Aracri – ha spiegato il procuratore di Catanzaro Vincenzo Antonio Lombardo – si atteggia a capo di una struttura al di sopra dei singoli locali. E’ sostanzialmente il punto di riferimento anche delle cosche calabresi saldamente insediate in Emilia Romagna dove c’era una cellula dotata di autonomia operativa nei reati fine. I collegamenti tra Emilia Romagna e Calabria erano comunque continui e costanti e non si faceva niente senza che Grande Aracri lo sapesse e desse il consenso”.

Intanto emergono dettagli sui tentativi di intimidazione che il clan aveva messo in atto nell’area emiliana. Non solo su imprenditori e istituzioni, ma anche su giornalisti, come nel caso di Sabrina Pignedoli, corrispondente ANSA da Reggio Emilia e cronista del Resto del Carlino. Tentativo però respinto dalla cronista. Un altro giornalista è finito agli arresti: si tratta di Marco Gibertini, cronista di TeleReggio, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa poichè, secondo l’accusa, avrebbe dato una mano agli affiliati della cosca emiliana facendoli andare in Tv e sui giornali. In manette anche sei “talpe”, che informavano i Grande Aracri. Si tratta di tre ex carabinieri in congedo e tre poliziotti.

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