L'appello del comandante della Buccaneer: «Liberateci o moriremo di stenti»

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di Massimo A. Alberizzi (www.corriere.it/…)

Drammatica telefonata con Mario Iarloi, comandante della Buccaneer, la nave italiana sequestrata l’11 aprile nel golfo di Aden dai pirati somali e ancorata al largo di Las Qorey, villaggio di pescatori nel Puntland, la parte settentrionale dell’ex colonia italiana. Le condizioni di vita sono tragiche, l’equipaggio del rimorchiatore d’altura (dieci italiani, un croato e cinque rumeni) si sente abbandonato, è ammalato e sta impazzendo e sei dei sedici marittimi sono stati portati a terra, probabilmente distribuiti in vari villaggi sulla costa, per nasconderli nel caso di un improbabile blitz delle teste di cuoio italiane. Sarà quindi più difficile recuperarli al momento del rilascio. Non si conoscono i loro nomi.

«Siamo inguaiati, stiamo male. Liberateci altrimenti chiederemo a loro di spararci – si dispera il comandante con una voce che sembra spezzata dalle lacrime – . Ci stiamo ammalando; molti soffrono di depressione e qualcuno di cuore. Non ci sono medicine. Tempo fa erano arrivati farmaci per il fabbisogno (di uno dei membri dell’equipaggio che soffre di cuore, ndr), ma in questa storia infinita sono quasi terminate. Io non sono un dottore; non ci sono dottori; non riesco a curare persone che non so neppure cos’hanno oppure a curarle solo guardandole in faccia. O guardando che danno i numeri. Non riescono più a parlare come persone ragionevoli. Tra l’altro non ragiono più neanche io. E’ una situazione assurda e non abbiamo la forza di andare avanti. C’è gente che si sta abbandonando a se stessa. Non c’è più da mangiare. Giusto qualcosa per sostenere il fisico; stiamo lavandoci con acqua di mare. Siamo oltre le nostre forze. Per favore liberateci da questa situazione, altrimenti chiederemo noi stessi che ci ammazzino. Anche loro sono nervosi e ogni tanto sparano. E’ successo anche oggi. Una pallottola mi ha sfiorato la testa. Non ce la facciamo più e vogliamo andare a casa; e vogliamo andarci subito. Stiamo facendo sei ore dentro la plancia senza aria condizionata (in quell’area il caldo è insopportabile e le temperature superano con grande facilità i 40 gradi, ndr)». Il comandante Iarloi durante la telefonata racconta che non c’è più acqua potabile (“beviamo acqua bollita”) e neppure cibo (“mangiamo riso e pane che ci cucina il cuoco”).

Ha poi smentito che siano stati consegnati i viveri che erano stati inviati con un camion partito da Gibuti (“Non abbiamo ricevuto niente”) e che invece era stato assicurato fossero arrivati a destinazione. A proposito delle trattative il comandante dice di non sapere nulla: «Non ci informano di questo. Se non ci sono delle trattative che le facessero, che telefonassero a questi signori. Si mettessero d’accordo e facessero quello che devono fare. Sono 51 giorni che lo devono fare». A questo punto irritatissimo Iarloi urla al telefono: «E ci siamo rotti le scatole di stare su ‘sta cazzo di barca. Non ce la faccio più e le passo la persona che è accanto a me», cioè il pirata che parla italiano. Proprio lui un paio di giorni prima in un’altra telefonata al Corriere aveva assicurato che non c’è nessuna trattativa in corso. «Questi – aveva dichiarato riferendosi agli ostaggi e manifestando un certo nervosismo – vogliono tornare a casa, ma nessuno si è fatto vivo con noi».

Ripercorriamo la storia:

• Il rimorchiatore con gli italiani rapiti getta l’ancora davanti a Adado (13 aprile)

• Somalia: si tratta per il rilascio della nave italiana sequestrata dai pirati (17 aprile)

• Buccaneer, negoziato in stallo (19 aprile)

• Buccaneer, negoziato in stallo (27 aprile)

• Il capitano della Buccaneer: qui va male (23 maggio)

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