
La fuga dalla guerra in Ucraina, due anni per integrarsi nella nuova vita in provincia di Firenze, ora è stata spedita al Sud: «Ci hanno trasferiti a Molfetta in una zona industriale dove non ci sono altre abitazioni» – fonte: Jacopo Storni – corrierefiorentino.corriere.it
«Dopo quasi due anni spesi a cercare di integrarmi nella provincia di Firenze, improvvisamente mi hanno trasferito insieme a mio figlio piccolo a Molfetta, in provincia di Bari, a 700 chilometri di distanza, dove devo ricominciare tutto daccapo, in un posto terribile». Iryna è una donna ucraina scappata dalla guerra nel suo Paese. Per quasi due anni, insieme al figlio Volodymyr e al marito Andriy, è stata ospitata in un centro di accoglienza straordinario gestito dalla Misericordia nel Mugello, a Barberino. Qui era riuscita a trovarsi un lavoro part time come lavapiatti. E sempre qui, con la sua famiglia, era riuscita a instaurare amicizie e legami importanti col territorio. Ma pochi mesi fa, a lei come ad altre donne ucraine, è arrivata una lettera dalla Prefettura di Firenze in cui, secondo un piano del Ministero dell’Interno, le veniva imposto di trasferirsi al sud per liberare posti per i nuovi migranti in arrivo. E lei e il marito hanno firmato. «Non ci hanno dato alternative, ci hanno detto che se non avessimo firmato o tornavamo in Ucraina oppure ci arrangiavamo da qualche altra parte».
Così sono partiti in treno per Bari, dove i responsabili delle associazioni locali sono venuti a prenderli per portarli al nuovo centro di accoglienza. Iryna è addolorata e arrabbiata: «Ho perso quello che avevo provato a costruire in quasi due anni». Oltre al danno, dice lei insieme al marito, la beffa: «Ci hanno trasferiti a Molfetta in una zona industriale dove non ci sono altre abitazioni, siamo proprio accanto ad un centro per i rifiuti, ogni notte intorno alle 4 un camion fa un rumore pazzesco e sveglia me e mia figlia. Nell’aria c’è un odore acre, a volte ho mal di gola e mia figlia ha una strana irritazione alla pelle. Viviamo praticamente in una discarica».
Iryna sostiene che la sua camera sia inadeguata per una donna con una bambina piccola: «Non c’è abbastanza spazio, non ci sono mobili, dobbiamo appoggiare le nostre cose per terra, a volte non funziona il riscaldamento, i fornelli funzionano male». Nella stessa struttura, anche un’altra madre ucraina con due figli e alcuni migranti dall’Africa sub-sahariana e dal Medio Oriente. Unica nota positiva del trasferimento, è il fatto che la nuova struttura è un centro Sai, sistema accoglienza integrazione, che prevede un percorso di inclusione più mirato rispetto al Cas.
Ma Iryna vuole andarsene, e per questo ha contattato Padre Volodymyr Voloshyn, parroco della chiesa dei Santi Simone e Giuda, da anni la casa della comunità ucraina di Firenze, che condivide il dolore di Iryna e dice: «Iryna e la sua famiglia hanno faticato a integrarsi in Toscana ma ci erano riuscite ed erano diventati parte della comunità fiorentina, possiamo soltanto immaginare cosa significhi andare a centinaia di chilometri. Spero che la sua sofferenza possa essere ascoltata e spero vivamente che possa tornare in Toscana».
Proprio su questo tema, il parroco aveva scritto una lettera alla Prefettura di Firenze, esprimendo numerose perplessità in merito al trasferimento delle donne ucraina in centri di accoglienza del Sud. «Al momento non ho ricevuto risposta dalla Prefettura» conclude Voloshyn.