La «paranza» dei cerignolani. Quella malavita senza freni

L’ultimo colpo è fallito per un imprevisto: la presenza di una pattuglia della Polstrada. Venti rapinatori mascherati e armati, dieci tra auto e camion rubati e l’autostrada A1, vicino Lodi, trasformata in un muro di fuoco per ostacolare l’arrivo delle forze dell’ordine. E l’immancabile ruspa. Ormai la tecnica è stata affinata, i furgoni portavalori non sono più «aperti» con la fiamma ossidrica. Serve troppo tem- po. Meglio sventrarli come se fossero scatole di tonno. L’investigatore, tra una sigaretta e l’altra, sentenzia: «È la firma dei cerignolani. Roba loro. Non ci sono dubbi». Perché quando il colpo è da film, in mezzo c’è quasi sempre un cerignolano. Insomma, a Cerignola la realtà supera di gran lunga la più fervida delle immaginazioni. Con i fatti. Fausto Lamparelli è un poliziotto oggi a capo del Servizio centrale operativo. Per anni si è occupato di cerignolani e assalti ai mezzi blindati, mettendo sotto inchiesta 130 persone: «In alcuni casi hanno preso in ostaggio interi paesi, hanno abbattuto palazzi con le ruspe, hanno utilizzato armi da guerra potenzialmente devastanti. Perché si tratta di bande che, nonostante la precisione degli attacchi e la perizia verso i dettagli, affermano il loro dominio creando il caos e usando la violenza in maniera spregiudicata. Ed è un miracolo che non ci sia ancora scappato il morto».

TECNOLOGIA E COMPLICITA’ – Le «batterie» vanno a caccia di milioni di euro in lungo e in largo per l’Italia. Se serve, anche al di là delle Alpi. Nell’ultimo caso i milioni erano almeno una ventina. Caveau o portavalori: per gli uomini d’oro non c’è nessuna differenza. La banda che entra in azione è una specie di «federazione» costituita per l’occasione: ladri d’auto, autisti, armieri, basisti, addetti alle ruspe, «soldati» in grado di manovrare un kalashnikov o un fucile a pompa senza paura di sparare. Anche 170 colpi come sull’A12 vicino Livorno. La tecnologia fa il resto. Ecco i jammer, gli inibitori di frequenze per disturbare i ponti radio e rendere impossibili le comunicazioni. Ancora. I chiodi a quattro punte da spargere sull’asfalto e le bande chiodate anticarro, i giubbotti antiproiettile di ultima generazione, il posto mobile di comando, rigorosamente blindato, ricavato all’interno del cassone di un tir, i droni per studiare prima e assicurarsi che non ci siano Polizia e Carabinieri tra i piedi, poi. Gli imprevisti vanno ridotti a zero. Targhe contraffatte realizzate tagliando a metà quelle di altri veicoli, lucchetti dei cancelli dell’uscita di servizio dell’autostrada cambiati, rampe livellate con assi per facilitare l’ingresso dei mezzi da incendiare.

Infine, i contatti. Le alleanze da stipulare di volta in volta per non pestare i piedi a nessuno, forti di centinaia di potenziali complici pronti a dare una mano, in nome del vincolo di sangue che li lega al territorio, sparsi in tutta Italia. Le comunità dei cerignolani sono dovunque. Soprattutto in Lombar- dia. C’è sempre un amico, un parente, un compagno di scuola, un conoscente pronto a mettersi a di- sposizione. Dopo il colpo, ognuno per conto proprio. Si resta in stand by fino al «lavoro» successivo. Cerignolani e romani svaligiano il caveau del Banco di Napoli del capoluogo dauno: 15 milioni in 165 cassette di sicurezza; cerignolani e baresi assaltano proprio a Cerignola un portavalori che trasporta un milione e mezzo di euro. Cerignolani e napoletani insieme per entrare in azione in Germania, a Coblenza. Sarebbe stata la rapina del secolo con tanto di maschere in silicone utilizzate di solito nei film horror, armi a volontà e sistemi criptati per interferire nelle comunicazioni, creando una bolla in grado di isolare il blindato. Piano andato in fumo grazie ad un blitz dei poliziotti: nove in carcere.

Le azioni vengono preparate in maniera quasi maniacale. Sopralluoghi, appostamenti, viaggi di… istruzione, pedinamenti, filmati. L’incubazione può durare mesi. Il colpo, al massimo una decina di minuti, cronometro alla mano. Ognuno sa esattamente quello che deve fare. Si attacca come se si fosse in guerra. Una volta è stato sequestrato anche un bazooka, Poi mitragliatori, lanciagranate, bombe e munizioni perforanti per trapassare la blindatura dei mezzi.

IL TOUR DEL TERRORE – A Chiasso, in Svizzera, i cerignolani puntano ad un colpo da 50 milioni di euro. C’è da abbattere il muro del caveau di una società di traporto di preziosi. Il bottino? Da dividere in dieci. Si appostano per settimane nei boschi, studiano la morfologia dei luoghi e le abitudini delle guardie giurate. Ma la Polizia elvetica interviene poco prima del blitz e loro fuggono.

In Toscana, per potare via 150 chilogrammi d’oro, valore 3,5 milioni di euro dall’azienda orafa Salp, isolano l’intero abitato di Poggio Bagnoli, nell’Aretino, per trenta minuti. Bloccano tutte le strade di ingresso: i veicoli del Comune rubati e messi di traverso, il trattore con le gomme tagliate e il cartello «lavori in corso», lo scuolabus con la chiave rotta nel sistema di accensione per non poterlo spostare. Coraggio e sfacciataggine. Cinque dei malviventi li arrestano: cerignolani e andriesi.

All’altezza di Vasto, sull’autostrada, entrano in azione in sette, fermano il furgone portavalori, lo sventrano e afferrano 600mila euro. Jammer, kalashnikov e auto bruciate sull’A14 vicino Loreto per sottrarre in due minuti 4,7 milioni di euro. Dieci chilometri di autostrada, invece, sono chiusi nel Livornese, in entrambi i sensi di marcia, da otto uomini che, dopo una sparatoria, fuggono lasciando sul blindato della Mondialpol 6 milioni di euro.

Per il procuratore di Avellino, Rosario Cantelmo, l’assalto ai blindati portavalori sull’autostrada alle porte di Avellino, nei pressi di Serino, due milioni di euro il bottino: «è un’azione di guerra, una guerra dichiarata alle istituzioni...». Il copione? Sempre lo stesso. Speronamento, escavatrice per forzare i mezzi, mitragliatori, veicoli dati alle fiamme in entrambi i sensi di marcia. Rapidità e precisione.

Sulla statale tra Bari e Matera arriva il bis: ruspe, camion, auto incendiate, blindato sventrato e tutti in fuga con 2,3 milioni di euro. La Dia, la Direzione investigativa antimafia, parla di «tecniche d’assalto paramilitari, che sottendono una particolare capacità organizzativa». E si ritorna al salto di qualità criminale.

Sulla statale 379, all’altezza della zona industriale di Fasano, in otto sistemano una catena chiodata per l’intera corsia, legandola con catena e lucchetto al guardrail. Quindi sparano all’impazzata ottanta colpi con i kalashnikov contro i vigilantes dei due furgoni blindati della Cosmopol. Quello con i soldi (3 milioni e 650mila euro) viene aperto con la fiamma ossidrica. In sette finiscono in manette. Tutti di Ce- rignola.

Undici minuti servono al commando di cerigno- lani che prende di mira la cassaforte della Sicur- transport a Catanzaro. Il caveau si apre con una ruspa dotata di martello pneumatico e addio 8 milioni e mezzo di euro. Il procuratore Nicola Gratteri la definisce «un’azione militare pianificata in ogni dettaglio». Solo la collaborazione della compagna di uno dei basisti locali consente l’arresto dei malviventi. In primo grado, il capo della banda, Alessandro Morra, detto «il pavone», è condannato a 12 anni. Paolo Sorbo, altro specialista del «settore», ritenuto dagli investigatori una specie di «genio» tra i commando specializzati in assalti a caveau e portavalori, si è beccato 17 anni e 4 mesi. In una intercettazione ambientale dell’indagine la Polizia ascolta: «Noi abbiamo fatto 10 milioni in 8 mesi, altro che quegli altri lì...».

Il nome di Sorbo è emerso recentemente in seguito allo scioglimento del Comune di Cerignola per infiltrazioni della criminalità organizzata. Nelle carte spuntano trattamenti di favore alla famiglia del malavitoso. «La particolare attenzione riservata dall’amministrazione comunale di Cerignola e, in via principale, dal sindaco Franco Metta – scrive il prefetto Grassi -, a interessi personali riconducibili a soggetti gravitanti negli ambienti malavitosi, emerge dalla vicenda relativa all’istanza, prodotta da omissis, di inserimento del fondo di sua proprietà – di considerevole estensione, pari ad una superficie complessiva di 5435 mq – nella zona omogenea B3 del Piano Regolatore». Il prefetto poi aggiunge: «La Commissione ha evidenziato che, a distanza di ben 13 anni dalla approvazione da parte della Regione Puglia del nuovo Prg comunale e dopo una serie di tentativi dell’interessato, andati a “vuoto” con le precedenti amministrazioni, a seguito di una nuova istanza del omissis, presentata il 27 giugno 2017, il consiglio comunale, con una “interpretazione autentica” di precedenti deliberazioni denegatorie, estende l’inserimento dell’intero fondo di proprietà del omissis in zona B4. La relativa deliberazione di consiglio veniva censurata dalla Regione, che ne suggeriva l’annullamento in autotutela: all’invito il Comune di Cerignola non ha mai ottemperato. Omissis – conclude la relazione – è il padre di Paolo Sorbo, nato a Canosa nel 1976, pluripregiudicato anche per reati associativi e già sorvegliato speciale della Ps”. 

DANARO E ARMI – Poi c’è il capitolo del danaro. Ogni attività illecita , nonostante tutte le azioni di repressione messe in atto, genera soldi che devono essere riciclati. Che fine fanno i guadagni astro- nomici di questi assalti? Solo una piccolissima parte è recuperata o sequestrata rispetto alle decine di milioni di euro finiti in tasca alle «batterie» di cerignolani. Il frutto delle rapine viene reinvestito in una miriade di attività lecite e non, in grado di inquinare l’economia. I clan volano alto, non conoscono confini. La Dia definisce quella di Cerignola «la mafia degli affari» per la capacità dei boss di innestarsi nel tessuto socio-economico. Un impero sotterraneo dinamico, impenetrabile, di difficile lettura. L’impressione è che si stia perdendo una guerra poco conosciuta, se non dalla ristretta cerchia di addetti ai lavori. Ancora una volta la sottovalutazione di certi fenomeni e il silenzio rischiano di trasformarsi in preziosi alleati per la Piovra del malaffare, nonostante gli arresti e i blitz. Il capitolo armi è ancora più preoccupante. La disponibilità con la quale arrivano dall’Est fucili mitragliatori, bazooka, esplosivi e munizioni, fa paura. C’è chi ipotizza addirittura l’impiego di pendolari del crimine, ex militari serbi o croati provenienti dai Balcani, in grado di ritornare a casa una volta messo a segno il colpo. Gli scafi attraversano il canale d’Otranto e si spingono sempre più su, fino a doppiare il promontorio del Gargano. Il resto lo fanno le alleanze tra i clan dell’entroterra e quelli del litorale, da Manfredonia verso il Molise. In nome del business frizioni e rivalità finiscono nel dimenticatoio. Trovare un punto dove sbarcare i carichi di armi e droga rappresenta un gioco da ragazzi vista la costa infinita a disposizione. E Cerignola si conferma – come scrive la Direzione investigativa antimafia – «snodo cruciale per l’intera regione».

fonte: Gaetano Campione – edicola.lagazzettadelmezzogiorno.it

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