«La nuova egemonia di Giorgia», parla il sociologo Onofrio Romano

Prof. Onofrio Romano, accademico dell’Università Roma Tre

Prof. Onofrio Romano, dai discorsi alle Camere ai primi annunci su immigrazione e contante, che volto sta mostrando in questo avvio di legislatura la destra di governo?

«Mi sembra che Giorgia Meloni voglia fare egemonia, e diventando maggioritaria debba cedere moltissimo rispetto ai propri bastioni ideologici. Vengono meno alcuni capisaldi dell’identità, ma si acquista un consenso largo. Chi viene da una cultura di destra potrebbe avere difficoltà a riconoscersi in questo percorso». 

Il premier è leader dei conservatori europei, formazione che in Italia non ha mai avuto una tradizione elettorale.  Leo Longanesi diceva: «Sono un conservatore in un Paese in cui non c’è niente da conservare». Quale il perimetro d’azione meloniano?

«Più che nell’ottica dei conservatori, la Meloni punta a diventare una nuova Merkel, con una autonomia rispetto al proprio schieramento, per accreditarsi come leader di governo affidabile su tutti i tavoli, mettendosi alle spalle le diffidenze coltivate in questi anni nei confronti della sua parte politica. Questo è un prezzo elevato da pagare per chi ha una radice identitaria».

Su Europa, Pnrr e euro-burocrazia terrà il punto proseguendo sulla linea nazionalpopulista che le ha consentito di diventare primo partito in Italia?

«Credo di no. Le sue prime dichiarazioni vanno in un’altra direzione. Si è collocata senza ambiguità dentro la sfera dell’Ue, dimenticando quasi del tutto le critiche alla governanceeuropea, che di fatto non garantiscono alcuna sovranità nazionale. Il Pnrr è poi una grande bolla, è tutto già stabilito. Non ci sarà spazio per torsioni, ma si governerà un processo già definito da Draghi e sul quale si è fatto un investimento simbolico enorme, dimenticando che sono risorse in debito. Forse riusciremo a restituire i prestiti, ma l’Italia non ne avrà grande beneficio».

 La questione guerra e le divisioni del centrodestra?

«È un banco di prova nel quale la Meloni poteva distinguersi dal mainstream europeo, almeno avanzando dubbi sulla strategia tutta schiacciata su Nato e Usa. L’Europa ha altri interessi che sarebbe stato lecito far valere. Salvini e Berlusconi hanno poca forza contrattuale e non credo che si spingeranno a far valere l’ipotesi di rottura per la politica estera».

La questione identitaria: dalla fiamma al presidenzialismo, la sinistra è allarmata. L’Italia si può liberare del fantasma del «fascismo eterno» codificato da Umberto Eco?

«Tolto questo terreno di scontro fantasmatico, quello del fascismo eterno, cosa resta? Con tutto il rispetto per la mobilitazione studentesca, non è un caso che si mobiliti per i fascisti al governo e non per la guerra o per la crisi economica. È più accattivante schierarsi sui fantasmi ideologici che affrontare la realtà. Una volta che la Meloni è normalizzata su esteri, economia, Ue e guerra, su cosa giocherà? Le restano temi simbolici come la famiglia, l’immigrazione, il contante. E la sinistra andrà dietro questo trend, rinunciando a costruire un’alternativa di sistema».

Il banco di prova per il Palazzo Chigi sarà la risposta alla emergenza sociale: immagina più soluzioni di destra sociale (modello quota 100) o di stampo liberista?

«I segnali portano a soluzioni liberiste, come se il Paese si risolleva lasciando fare, ammiccando all’evasione. Sul piano della protezione sociale c’è una dichiarata guerra al reddito di cittadinanza. La presenza della destra sociale nel governo non è rilevante».

Arriva il congresso Pd. Nascerà una nuova sinistra?

«No. Il Pd è spacciato. Farà la fine dei socialisti in Francia. Ora il M5S sta scavalcando i dem nei sondaggi. Gli osservatori prevedevano la crisi dei grillini che invece stanno erodendo l’area del partito di Letta, con un processo dalla base. In molti da sinistra vanno verso il Movimento. Nel Pd ci sarà una virata nella direzione opposta a quella richiesta dagli elettori: ovvero ancor più destra con il modello Bonaccini».

Che ruolo avranno in questa fase i leader pugliesi Emiliano e Decaro?

«Non un grande spazio. Decaro puntava alla segreteria, ma in Puglia c’è una distorsione ottica: dati i suoi risultati amministrativi e nell’Anci si ipotizzava una sua centralità tra i dem, ma al Nazareno non pensano al sindaco di Bari. Emiliano potrebbe giocare un ruolo forte per la sua capacità di comprendere la pancia del paese e stringere intese con i 5S, ma è troppo impastato negli affari locali e nell’esercizio di retrobottega che ha caratterizzato la sua stagione».

fonte: Michele De Feudis – www.lagazzettadelmezzogiorno.it

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