La “giustizia svenduta” di Trani, travolse anche le indagini sull’omicidio di Anna Maria Bufi? – prima parte

di Matteo d’Ingeo

Accade spesso di interrogarmi sulla mia città, e non sempre esprimo giudizi positivi. Certo, sono innamorato della terra, del suo mare e dei suoi profumi, altrimenti non avrei lasciato l’altra mia città del cuore, Bologna, per riabbracciare la terra natìa. Quando rileggo, attraverso gli atti processuali, le storie che hanno attraversato la nostra Molfetta, il giudizio diventa severo. C’è una percentuale molto alta di cittadini che hanno una spiccata tendenza a trasgredire le regole e a scegliere la strada del malaffare per costruirsi una propria posizione di profitto. L’aspetto più preoccupante, che emerge dalla riflessione, è il diffuso atteggiamento omertoso che serpeggia tra la nostra gente, in tutte le fasce sociali e professionali, che diventa pericolosamente terreno fertile per una cultura mafiosa. E in questa campana culturale protettiva Molfetta nasconde anche i suoi misteri. In particolare, la storia della nostra città conta numerosi delitti, o fatti criminosi, avvolti dal più imperscrutabile “mistero” e, molto spesso, gli stessi vengono derubricati come azioni criminali che partono da “moventi passionali”. Con buona pace di tutti e il conto corrente gonfio di qualche avvocato.

Però c’è una storia in particolare, che da 28 anni è diventata la “storia dei misteri” per eccellenza. E’ una brutta storia, quella di Anna Maria Bufi, 23enne barbaramente uccisa nella notte tra il 3 e il 4 febbraio del 1992 e poi abbandonata come un cane sulla statale 16 bis all’altezza dello svincolo Molfetta-Zona Industriale. Quell’omicidio perse il suo clamore mediatico dopo qualche mese, quando fu assassinato il Sindaco Gianni Carnicella e, ancor prima, dalla strage di Capaci e subito dopo dalla strage di via D’Amelio. E come se quel corpo martoriato di Anna Maria, con il cranio fracassato, fosse rimasto lì, sul selciato, e poi portato via a brandelli da “sciacalli” in doppio petto e colletti bianchi, finti amici o amiche degli amici, miseri accusatori del nulla, interminabili e incongruenti fasi processuali e archiviazioni.

Ma, probabilmente, chi ha beneficiato degli errori giudiziari, dell’omertà palese e nascosta, delle possibili leggerezze investigative, dei depistaggi e della perdita di memoria di taluni è stato proprio il suo assassino che non ha ancora un nome. La ricerca della verità ha attraversato varie indagini, sono state indagate e arrestate più persone, indagati anche dei carabinieri, un avvocato e due magistrati, però tutti prosciolti o assolti.

L’unico indiziato in tutti questi anni, fino alla sua morte nel 2012, è stato Marino Domenico Bindi, allora docente di Educazione Fisica, sposato e molto più grande di Anna Maria con cui, sembra, avesse una relazione sentimentale. Ma anche Bindi venne assolto in primo e secondo grado e sottoposto a un nuovo processo dopo che i giudici della Cassazione avevano annullato la sua assoluzione. Durante il processo, appunto nel 2012, l’imputato Bindi è deceduto; sulla storia dell’omicidio di Anna Maria Bufi calò il sipario e il nome del suo carnefice non è più emerso dalle aule giudiziarie.

Il silenzio assordante su questa storia è durato fino al 2018. Esattamente fino al 3 febbraio 2018 quando su Facebook, appare un commento che parla di un possibile “carnefice che è vivo e vegeto e si gode la vecchiaia come si è goduto questi anni tra una partita di tennis e l’altra“. Un commento in chiara contraddizione con  la verità processuale. Se il presunto assassino Bindi è morto chi è questo “carnefice” che è ancora vivo e si gode la sua vecchiaia giocando a tennis? E’ mai entrato nel processo? Si è mai indagato su di lui? Chi ha scritto quel commento è stato mai ascoltato dai giudici di Trani?

Dopo due settimane dalla comparsa in rete di quel commento,  il settimanale nazionale “GIALLO” dedica, sul numero del 20 febbraio 2019, due pagine all’omicidio di A.M. Bufi con dovizia di particolari. Il giornalista Gian Pietro Fiore dopo aver ripercorso le principali fasi processuali, si sofferma su questo nuovo indizio rappresentato dal commento di un parente del Bindi, che aveva scritto su facebook, riportandolo integralmente: ”e già… sanno tutti che il carnefice è vivo e vegeto e si gode la vecchiaia come si è goduto questi anni tra una partita di tennis e l’altra…Del resto, con le spalle forti della “giustizia” – quella terrena vestita di toga, dico io – si fa presto a puntare il dito contro altri…”.

fine prima parte – continua…

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