“La città secondo Matteo” – Intervista a Matteo d’Ingeo (seconda parte)

di Sergio Magarelli – Direttore  “L’altra Molfetta” – (seconda parte)

Discorso sicurezza in città. “Piazza Paradiso e vie adiacenti: cuore della città o ghetto?”. Avrai letto sicuramente questo comunicato firmato congiuntamente dalla Parrocchia Immacolata, Presidio Libera, Auser e Teatrermitage. Secondo te come mai il Sindaco scrive sulla sua pagina Facebook che è pronto a collaborare? Il Comitato comunale di monitoraggio dei fenomeni delinquenziali che fine ha fatto? Perché adesso si sveglia il Sindaco? Perché adesso, dopo questo comunicato?

Hai centrato in pieno il problema. Ritengo che il Sindaco sia in difficoltà e oggi voglia aggrapparsi a tutti i tentativi di avvicinamento che ci sono da parte terza, per ritrovare un dialogo con una comunità che ormai credo non lo riconosca più come Sindaco. Da una parte sbagliano le associazioni che hanno chiesto l’apertura di un tavolo di discussione sulle problematiche della microcriminalità e sicurezza in quel quartiere, tra l’altro l’Auser e Libera fanno parte del “Comitato comunale di monitoraggio dei fenomeni delinquenziali”; sbaglia il Sindaco a voler aprire un nuovo tavolo di discussione con loro, quando lui e il Presidente Piergiovanni non convocano più il Comitato dall’11 giugno 2019. Tra l’altro in questo dibattito tace “Rifondazione Comunista” che opera in quel quartiere ed è parte integrante del Comitato Comunale. L’unico Organo istituzionale preposto alla discussione di tali problematiche è il “Comitato comunale di monitoraggio dei fenomeni delinquenziali”, e i problemi del quartiere Immacolata-Piazza Paradiso ormai sono i problemi di tutta la città. E non dimentichiamo altre zone calde come il Centro storico e Piazza Vittorio Emanuele.

Appunto, Piazza Vittorio Emanuele: “Qui comandiamo noi”. Una scritta sul muro fatta rimuovere dal Sindaco e un suo comunicato per l’impresa realizzata. Come interpreti questo fatto?

Qui comandiamo noi” è un messaggio molto chiaro e allo stesso tempo grave. Perciò ci ha tenuto a cancellarlo. Mi occupo di quella zona perché quasi ogni sera ci sono fuochi d’artificio, è la zona dell’ex baby gang. Ho fatto un esposto, mandato anche ai Carabinieri, oltre che al Sindaco e al Comandante della Polizia Locale, e ancora non ho ricevuto risposte. Le varie esplosioni che avvengono in più parti della città avranno un’unica regia e un significato ancora sconosciuto per Molfetta. Il Sindaco è consapevole che è in atto una volontà di rioccupare i territori. Quindi quella frase è ormai una sorta di sfida che la microcriminalità ha lasciato proprio nella nuova piazza d’armi. Il quartier generale è nella piazza. Di là fanno partire i fuochi. Quindi il Sindaco è consapevole che esiste questa situazione, ma nei fatti non riesce a reagire se non a ordinare la cancellazione della scritta.

Questione Magistratura. Notiamo che ti stai occupando moltissimo di quello che sta accadendo attorno alle indagini su Savasta e anche sull’ex magistrato molfettese de Benedictis.

Sto semplicemente seguendo e rilanciando tutto ciò che si pubblica sulla stampa regionale e nazionale sulla “Giustizia svenduta” di Trani e Bari, perché sono coinvolti avvocati e magistrati molfettesi e ritengo giusto che i cittadini conoscano le vicende per farsi una loro idea.

E tu che idea ti sei fatto, come interpreti oggi le défaillance di questi magistrati?

Credo che queste due grosse indagini, di Trani e di Bari, abbiano dei punti in comune, e mi hanno fatto capire molte cose di cui sono stato vittima anch’io a Trani in determinati procedimenti. Riflettendo su certe dinamiche, posso dirti che avevo fiducia di Savasta e non avrei mai immaginato che accadessero i fattacci che abbiamo letto sui giornali. Accadeva spesso che io mi confrontassi in Procura prima di presentare un esposto, per non lavorare a vuoto e renderli più efficaci. È capitato, però, un paio di volte una cosa molto singolare che ritengo faccia parte del sistema che hanno scoperto, almeno quello di Trani.

Ossia?

Quando ho preparato due esposti che riguardavano Palazzo Dogana e il famoso Torrino accanto al Duomo, mi è stato chiesto di portarli in un periodo particolare, dopo Ferragosto, quando la Procura è chiusa e c’è il magistrato di turno e in quel periodo il magistrato era proprio Savasta. Oggi, alla luce di quanto è accaduto, dico: sono stato fregato perché l’esposto su Palazzo Dogana è stato archiviato con una motivazione inconsistente e la storia del Torrino è stata tenuta sulla scrivania per cinque anni e prima che i reati andassero in prescrizione, e che lo stesso Savasta fosse trasferito, è stata emessa una sentenza accomodante. E non sapremo mai se è avvenuto qualcosa tra Savasta e i possibili imputati indicati negli esposti. Quello che mi preoccupa è che queste storie non siano accadute solo di recente, sono storie e metodi che ereditiamo dagli anni Novanta. Proprio il pentito Salvatore Annacondia ha svelato i rapporti che c’erano tra criminalità, avvocatura, esponenti delle forze dell’ordine e certi personaggi che intermediavano. Quindi il mio timore è che non siamo alla fine di un processo, ma siamo all’inizio, e da Trani e Bari non sappiamo cos’altro verrà fuori.

A prescindere da questo, Matteo d’Ingeo ha ancora fiducia nella Magistratura?

Io ho ancora fiducia nella Magistratura, nelle forze dell’ordine, e nelle strutture dello Stato che ci devono e mi devono proteggere. Dal 2009 ho scoperto di avere ancora il primo livello di protezione, ma non lo so come fanno a proteggermi se sono arrivati a mettermi una bomba dietro l’uscio di casa. Nonostante tutto devo credere in qualcosa, devo avere fiducia in qualcosa, perché se anch’io perdo fiducia in tutto, io che quotidianamente faccio le mie battaglie per la legalità, veramente non c’è più speranza. E poi non dimentichiamo che ci sono militari, giudici, avvocati che fanno bene il loro lavoro, come tantissimi altri bravi cittadini ognuno nel proprio ambito lavorativo.

Tu che idea personale ti sei fatto sul caso de Benedictis? Alla luce di quello che è accaduto adesso, il primo filone d’indagini su quella famosa arma detenuta illegalmente è stato sottovalutato?

Giuseppe De Benedictis noi lo conosciamo da quando era giovane. Sappiamo che era un “tipo strano”. Tra l’altro c’è un episodio accaduto realmente che io già conoscevo, e quando l’hanno arrestato mi è arrivato un messaggio: “Matteo, ti ricordi la storia che ti raccontai del giudice con il fucile?”. Ed io la ricordo bene quella storia. Se i genitori di questo mio amico avessero fatto quello che dovevano fare allora, oggi non staremmo a parlare di De Benedictis.

Cosa avrebbero dovuto fare i genitori di questo tuo amico?

De Benedictis frequentava l’ultimo anno di Giurisprudenza, però aveva già, da studente, la passione delle armi. I suoi genitori abitavano in un condominio di fronte al palazzetto don Sturzo. Nell’atrio, grandissimo, di fronte al suo appartamento c’erano delle verande aperte, lui abitava negli ultimi piani e si divertiva a sparare pallini. Un giorno colpì prima un cane e poi la sua padrona, la mamma di questo mio amico. Dopo un quarto d’ora si presentarono i genitori di De Benedictis a casa di questo mio amico, in ginocchio, a pregare di non fare la denuncia altrimenti avrebbero compromesso la carriera del figlio. La querela non fu presentata e il giovane De Benedictis diventò quello che è oggi.

Quindi?

Secondo me c’è qualcosa che non torna. Al di là della corruzione e della mania del collezionista, non riesco ancora a capire a cosa servivano le armi da guerra detenute illegalmente e i suoi rapporti con la criminalità. Anche su questa storia, da quello che ho letto, quando riprenderà l’attività d’indagine scatteranno altri arresti e chissà se troveremo qualche altro avvocato molfettese, ormai sono ovunque.

Torniamo un po’ all’aspetto amministrativo: piscina comunale. È stato uno dei cavalli di battaglia dalla campagna elettorale del 2017 di Tommaso Minervini. Oggi è stato risolto questo contratto d’appalto sui lavori.

Mentre gli amministratori locali festeggiavano l’assegnazione della gestione della Piscina Comunale alla “Sport Management Spa”, già nel novembre 2018, sul blog, avevamo espresso le nostre riserve e perplessità su quell’operazione. Abbiamo fatto semplici ricerche su questo colosso che vanta quaranta centri in tutta Italia, ma il profilo della Sport Management non ci convinceva perché già in passato aveva avuto problemi giudiziari in altri comuni e l’affidabilità della gestione non era di quelle più incoraggianti. Ancora una volta siamo stati profeti di un disastro annunciato.

Poi ci sono tante altre opere iniziate, alcune realizzate e altre lasciate un po’ a metà. A parte la vicenda di Caputo e di tutta l’inchiesta, secondo te c’era bisogno oggi a Molfetta di fare per esempio la velostazione?

Quando arrivai a Bologna nel 1976, e qualche giorno dopo andai a Ferrara, rimasi sorpreso nel vedere parcheggiate fuori dalla stazione migliaia di biciclette. La gente arrivava, lasciava la bicicletta e prendeva il treno per andare a lavorare. Mi piacerebbe che questo accadesse anche a Molfetta; la velostazione, che è ferma, con altri tratti di piste ciclabili perché oggetto d’inchiesta, è utile se, come tutte le opere pubbliche sono ragionate e inserite in una progettualità d’insieme. Ma se tu la fai fine a se stessa, perché devi accaparrarti i finanziamenti disponibili e dare da mangiare alla tua ditta di riferimento, è destinata a morire e ti diventa anche un problema averla, con i costi onerosi di gestione.

Pulizia, sicurezza e decoro della città.
Come ho sempre detto, sicurezza e pulizia della città sono le due cose più importanti per i cittadini. Negli ultimi trent’anni Molfetta è quasi raddoppiata come espansione. Abbiamo raggiunto livelli altissimi di espansione, siamo rimasti però con lo stesso numero di operatori ecologici, lo stesso numero di Vigili urbani, lo stesso numero di Carabinieri e lo stesso numero di Finanzieri. È chiaro che oggi la città così espansa, avendo lo stesso numero di questi operatori, non potrà mai essere curata e controllata in ogni suo quartiere. Il decoro invece è strettamente legato all’aspetto culturale e educativo, in questo caso c’è molto da fare.

Quale sarà secondo te la prima priorità della prossima Amministrazione su cui intervenire?

Arrestare l’espansione, appunto, che in qualche modo è strettamente collegata alle altre esigenze. Noi non possiamo più gestire, anche dal punto di vista della pulizia e della sicurezza, un territorio diventato ampio a dismisura. Tra l’altro quest’Amministrazione sarà ri- cordata per la sciagurata scelta di chiudere il Comando di Polizia Locale in piazza Vittorio Emanuele e a Molfetta vecchia, che erano due avamposti importanti. Soprattutto in piazza Vittorio Emanuele, perché quella piazza è diventata terra di vandali e microcriminalità. E non dobbiamo meravigliarci se appaiono le scritte “Qui comandiamo noi”. Il territorio è diventato incontrollabile, pertanto bisogna usare bene i pochi uomini a disposizione, ci vuole più coordinamento tra Forze dell’Ordine, Polizia Locale e Società di Vigilanza privata per coprire giorno e notte il territorio.

Matteo, alla fine di questa conversazione non posso eludere l’argomento. Tu sul campo hai acquisito ogni giorno comprovate competenze di natura giuridica, amministrativa, sociale, che secondo me un altro soggetto messo lì a fare il Sindaco non avrebbe, ma anche con tutta la buona volontà. Perché sprecare il tuo generoso impegno a sostegno della comunità molfettese?

Ormai sono prossimo ai 65 anni, sono docente in pensione e ho bisogno di riposarmi e rigenerarmi. Negli ultimi 30 anni non mi sono mai fermato e sono diventato inconsapevolmente una sorta di memoria storica scomoda, e quindi incompatibile con la politica nostrana. Per questa mia peculiarità spesso divento divisivo perché, mentre gli altri tendono a dimenticare gli errori del passato, io sono sempre lì a rimetterli fuori per evitare che si ripetano. Ma spesso questa visione dei corsi e ricorsi storici non interessa alla politica molfettese e quindi siamo arrivati alla situazione odierna ingestibile. Non vorrei essere profetico anche in questo caso, ma al momento non vedo all’orizzonte un’alternativa possibile a Tommaso Minervini che nasca all’interno dell’attuale centro-sinistra. Ci sono solo due possibilità che possono cambiare la storia. La prima è un auspicabile intervento della Magistratura che azzeri l’attuale Giunta con un commissariamento lungo per eliminare ogni sedimento di corruzione, malversazione, infiltrazioni malavitose e condizionamenti criminali all’interno del Palazzo di città; in questo caso i tempi sarebbero più lunghi e si avrebbe più tempo di realizzare la seconda opzione.

La seconda opzione è quella di riorganizzare, in questi pochi mesi che ci separano dalla scadenza elettorale, la cittadinanza attiva e il popolo degli astensionisti, che a Molfetta rappresenta quasi la metà del corpo elettorale. Costruire un progetto politico simile al “Percorso” degli anni ’90, che abbia una visione a lunga scadenza fino alle elezioni 2027. Si scelgano otto candidati sindaci, non uno, che devono rappresentare la futura squadra di governo della città. Si costruiscano intorno a loro otto liste e ci si presenti alla città come una sorta di governo ombra che deve cominciare a lavorare subito, già in campagna elettorale. Sarebbe una vera rivoluzione, non è mai accaduto di conoscere prima ancora di votare al primo turno il nome degli assessori, oltre che del candidato sindaco, e la gente capirebbe che si tratta di un vero cambiamento, la rivoluzione di cui abbiamo bisogno. Naturalmente da tutta questa storia devono rimanere fuori tutti quelli che in questi ultimi anni hanno avuto responsabilità di governo della città. Io continuerò a fare quello che ho sempre fatto 365 giorni l’anno, e non solo in campagna elettorale. Poi se a qualcuno interesserà il mio contributo, ci penserò.

(prima parte) – “La città secondo Matteo” – Intervista a Matteo d’Ingeo  

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