Indagini sui giudici di Trani, scintille in aula, Nardi: «D’Introno mente»

Oltre otto ore di udienza non sono bastate a completare il controesame di Flavio D’Introno, finora il principale accusatore degli ex magistrati di Trani coinvolti nell’inchiesta sulla giustizia truccata. È stato anzi necessario sospendere l’incidente probatorio per un leggero malore che ha colpito l’avvocato dell’ex gip Michele Nardi, Domenico Mariani: è dovuta intervenire una ambulanza del 118. Il confronto davanti al gip di Lecce, Giovanni Gallo, riprenderà dunque giovedì 6, sempre con il fuoco di fila delle domande all’imprenditore di Corato che ha raccontato di aver dato più di due milioni di euro a Nardi e agli ex pm Savasta e Scimè.

Ma proprio la difesa di Nardi ha cominciato il tentativo di minare la ricostruzione di D’Introno. Ad esempio depositando i tracciati gps della Bmw in uso all’ex gip, che da gennaio si trova in carcere con le accuse di associazione per delinquere finalizzate alla corruzione. D’Introno aveva infatti raccontato così la consegna di 200mila euro da parte di un altro imprenditore, Paolo Tarantino, destinatario di una «stangata» da parte della banda dei giudici (una falsa indagine per reati fiscali: «La prima tranche viene fatta sempre di sera alla Esso tra Trani e Corato, sempre luoghi concordati con il dottor Nardi. In pratica c’era questa Bmw X3 che io sapevo che era di Nardi dove però a attenderci – stavo sempre con il signor Tarantini – c’era la sorella del dottor Nardi».Ricostruzione che la difesa dell’ex gip (quando è stato arrestato era pm a Roma) ha però contestato, provando a dimostrare che l’auto era altrove. A D’Introno è stato chiesto anche come mai non stia scontando la condanna definitiva per usura, quella che ha tentato di evitare pagando i giudici: «Al momento – ha risposto l’imprenditore – non mi è stato notificato il provvedimento di esecuzione».

Ma proprio a proposito della «stangata» a Tarantini, D’Introno ha raccontato di non sapere che l’indagine era stata inventata. «Io sapevo – ha detto nella precedente udienza, rispondendo alle domande della pm Roberta Licci – che era un procedimento che esisteva, tant’è vero che lo diciamo anche nei colloqui registrati. Infatti io pensavo, a detta dei magistrati, che il signor Tarantini aveva fatto circa 3 milioni di euro di evasione fiscale e che, quindi, con ciò che aveva dato era andato bene». Insomma, secondo D’Introno, i 400mila euro che Tarantini avrebbe consegnato in contanti a Nardi e Savasta erano un prezzo congruo per evitare un’accusa del genere. Ma l’imprenditore dice di aver saputo solo ultimamente che l’indagine non esisteva: «Quando ha appreso che quel procedimento a carico di Tarantini non era mai stato iscritto?», gli ha chiesto la pm. «Certe volte – ha risposto Tarantini – sono usciti degli articoli sulla Gazzetta del Mezzogiorno. Parlano sempre di queste storie di Lecce».
D’Introno ha parlato anche del ruolo di Vincenzo Di Chiaro, l’ispettore di polizia finito in carcere che – secondo l’accusa – sarebbe stato il braccio operativo di Nardi e Savasta nella costruzione di falsi fascicoli di indagine. Anche Di Chiaro (che sarà il prossimo a essere interrogato nell’incidente probatorio) avrebbe percepito denaro proprio in cambio degli atti di polizia giudiziaria poi confluiti nei falsi fascicoli: «A livello di pretese di denaro all’incirca 70 mila euro. Venivo messo al corrente sia dal dottore Savasta che dal dottor Nardi di tutte queste attestazioni che l’ispettore Di Chiaro aveva fatto». La Procura ha contestato a D’Introno di aver dato una versione diversa in un interrogatorio precedente: l’imprenditore ha spiegato che questo avvenne perché nell’estate 2018 sarebbe stato convocato dall’ex dirigente del commissariato di Corato (nel frattempo rimosso dall’incarico). «Mi disse a chiare note “mi raccomando a quello che dici di Di Chiaro altrimenti ti applico la sorveglianza speciale”».

L’incidente probatorio serve a cristallizzare le dichiarazioni rese da D’Introno, Di Chiaro e dallo stesso Savasta, anche per chiarire le numerose incongruenze emerse a proposito dei vari episodi di consegna del denaro: Savasta, ad esempio, ammette solo una piccola parte delle somme, mentre Scimè respinge interamente ogni addebito. Nel frattempo però le indagini della Procura di Lecce vanno avanti, con l’esame di altri episodi ed altre posizioni tra cui quella di un quarto magistrato, chiamato in causa da D’Introno in relazione ad alcuni contenziosi in sede tributaria che potrebbero essere stati truccati. D’Introno ha consegnato alla Procura le copie di queste sentenze.

fonte: MASSIMILIANO SCAGLIARINI – www.lagazzettadelmezzogiorno.it

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