Inchiesta «Marenero», sono 109 gli indagati

di Francesco Casula – www.lagazzettadelmezzogiorno.it

C’è anche Filippo Pappalardi, il 48enne padre di Ciccio e Tore, i fratellini di Gravina, tra i 109 indagati nell’inchiesta «Marenero» condotta dalla Guardia di finanza di Taranto su una presunta organizzazione dedita al furto di gasolio dalla centrale Eni del capoluogo ionico. Chiuse le indagini dal sostituto procuratore Maurizio Carbone che ha coordinato le indagini ora la parola passa agli indagati che avranno 20 giorni di tempo per chiedere di essere interrogati. Per 73 di loro il pm ha contestato anche il reato di associazione a delinquere. La vicenda, esplosa nel giugno scorso con l’ordinanza firmata dal gip Giuseppe Tommasino, portò alla luce l’esistenza di un’organizzazione che secondo l’accusa avrebbe sottratto il gasolio destinato al rifornimento delle navi per rivenderlo, a contrabbando, a distributori compiacenti grazie ad una rete capillare di dipendenti infedeli dell’Eni di Taranto, autotrasportatori e titolari di stazioni di servizio. Un giro d’affari di milioni di euro organizzato tra le province di Bari e Taranto, secondo gli inquirenti, l’associazione era promossa e diretta da Lorenzo De Fronzo, 74 anni di Bari, socio e presidente della Stl/Sacalb, ex dirigente di Confindustria Bari; Giuseppe Arrivo, 79 anni di Molfetta, socio e vice presidente della ditta Stl; dal tarantino Giuseppe Fasulo 51 anni di Statte; Luciano Boffoli, 63 anni di Bari; Sergio Cantatore, 58 anni di Molfetta; Giuseppe Camporeale 47 anni di Giovinazzo; Mario Piergiovanni, 59 anni di Molfetta; Paolo Vitucci, 43 anni di Bitonto e Nicola Spalierno, 53 anni di Modugno, tutti della ditta Sacalb.

Nella sua ordinanza il gip Tommasino spiegò che appariva evidente la costituzione «all’interno del sistema della movimentazione dei trasporti di combustili da e verso la Raffineria di Taranto» di una vera e propria «struttura organizzativa finalizzata a consentire agli indagati, ognuno per la propria parte, la realizzazione di ingenti vantaggi patrimoniali».

Il magistrato aggiunse che l’esistenza di una «struttura criminale è dimostrata da un lato, dalla capillare reiterazione nel tempo delle condotte illecite» che assumono «un vero e proprio carattere di sistematicità» e dall’altro lato «la compartecipazione di una pluralità di soggetti, appartenenti a diversi enti e imprese economiche ed anche ad amministrazioni dello Stato». I fatti risalgono all’anno 2008, ma nonostante il lasso di tempo trascorso per il gip erano ancora attuali e concreti il rischio che gli indagati continuassero nella loro attività illecita, che scegliessero la latitanza o, infine, che potessero inquinare le prove. « È evidente– scriveva il magistrato – che la acquisita conoscenza della pendenza di un procedimento penale» favorirebbe «la distruzione o il definitivo occultamento delle fonti di prova» per «sottrarla al sequestro che consentirebbe invece di ricostruire fedelmente l’intera filiera».

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