di Emilio Fabio Torsello (www.dirittodicritica.com/…)
Il giudice Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e tre uomini della scorta furono uccisi da una cricca di vigliacchi mafiosi. A distanza. Con 500 chili di tritolo posti sotto un tunnel dell’autostrada A9, all’altezza dello svincolo per Capaci, a pochi chilometri da Palermo. Erano le 17:58 del 23 maggio 1992. Poco tempo dopo, il 19 luglio dello stesso anno, furono trucidati in via D’Amelio anche il giudice Paolo Borsellino e la sua scorta. Sempre la solita cricca di vigliacchi, sempre mafiosi, sempre una bomba. Tra i primi ad accorrere sul luogo dell’attentato c’è anche un giovane poliziotto, Gioacchino Genchi. E’ l’epoca delle stragi, della somma codardia. Una codardia interna non solo alla mafia ma anche alla magistratura che, all’epoca, spinse Giovanni Falcone – come racconta Francesco La Licata nel libro “Storia di Giovanni Falcone” – a dire: «E’ penoso quello che ho dovuto ascoltare nei corridoi di questo palazzo, constatare che tutti sono contenti per il fatto che me ne sto andando». E Falcone, in quei mesi stava per lasciare Palermo alla volta di Roma, nella speranza di poter migliorare la lotta alla mafia attraverso un’azione diretta sulle istituzioni. Mentre tutti, alle spalle, lo accusavano di tradimento. «Qui lavorare è impossibile – aveva detto qualche giorno prima a La Licata – : un passo avanti e tre indietro, questa è l’andatura della lotta alla mafia». Ed era lo stesso Falcone che sosteneva ironicamente di sembrare «come uno di quei mafiosi che dicono ai ‘loro’: se mi ammazzano, per capire da dove viene la mano, cerca di capire da che parte arriva la prima corona di fiori».
E i segnali di morte non erano mancati. Del fallito attentato all’Addaura, ad esempio, la sorella Maria racconta: «è stato uno dei periodi più tristi della vita di mio fratello, il momento peggiore. Quella volta capì che non si trattava più delle solite maldicenze. Ebbe chiaro che la decisione di farlo fuori era stata presa e ad altissimo livello. Lo vidi come non l’avevo mai visto: era teso come una corda, aveva i nervi a pezzi. Eppure non poteva rivolgersi a nessuno, non si fidava ed era costretto a riflettere da solo» «Capii anche – continua la sorella – perché non aveva voluto figli. Lo aveva detto a noi e anche a Francesca: “Non voglio mettere al mondo degli orfani“». E sui possibili mandanti di quel fallito attentato, «solo una volta fece un vago riferimento ai ‘Servizi’, ma come a un’ipotesi che non era nata nella sua mente, come se la cosa gli fosse stata suggerita o raccontata. E in ogni caso assolutamente priva di conferme», conclude Maria.
E le infamie erano quasi quotidiane. Famoso l’attacco da parte di Totò Cuffaro durante una trasmissione di Maurizio Costanzo, alla presenza dello stesso Giovanni Falcone (minuto 3.11). Lo stesso Cuffaro che sarà condannato a cinque anni per favoreggiamento semplice e che diventerà poi senatore della Repubblica e membro della Vigilanza Rai. E a quanti accusavano ogni giorno Falcone, anche nella magistratura, il magistrato Ilda Boccassini dirà: «Voi avete fatto morire Giovanni, con la vostra indifferenza e le vostre critiche; voi diffidavate di lui; adesso qualcuno ha pure il coraggio di andare ai suoi funerali».
Ad oggi, purtroppo, la mafia non è ancora sparita dalla circolazione, anzi, si è evoluta: non spara più, ha imparato a fare politica. Si tratta di una piovra vigliacca da 900 miliardi di fatturato annuo a livello nazionale, come riporta la relazione dell’ultima Commissione bicamerale antimafia. Ma resta, comunque, un fenomeno umano e come tale – aveva ragione Falcone – un giorno si esaurirà. Sempre che una mentalità basata su un’impunità diffusa, non diventi parte integrante del nostro vivere civile.
Il boss Gambino è arrivato in Italia
Dopo il mancato arrivo di ieri legato a problemi di salute, l’esponente della mafia Rosario Gambino, espulso dagli Stati Uniti, è giunto questa mattina in Italia. Accompagnato da quattro funzionari del Servizio Centrale Operativo (Sco), appositamente recatisi negli Usa, Gambino, indagato dal giudice Giovanni Falcone e coinvolto in Italia nello storico processo "Pizza Connection", è arrivato con un volo di linea dell’Alitalia proveniente da Miami, atterrato all’aeroporto di Fiumicino alle 8.47. L’arrivo è avvenuto proprio nel giorno del diciassettesimo anniversario dell’attentato in cui morì il giudice Falcone.
Come detto, l’arrivo di Gambino era atteso per ieri, venerdì 22 maggio, ma come già accaduto in passato, il suo trasferimento è stato rinviato all’ultimo momento. In un primo momento si era pensato che, dietro questo ennesimo rinvio, ci fosse la battaglia che i legali di Gambino stanno conducendo adesso in Italia, cercando di annullare l’ordine di cattura firmato ventinove anni fa dall’allora giudice istruttore Giovanni Falcone. Negli ultimi mesi, la difesa del boss ha fatto ricorso anche alla Cassazione, che ha disposto una nuova pronuncia del tribunale del riesame di Palermo: l’udienza si è già tenuta lunedì, adesso è atteso il responso.
Su Rosario Gambino, cugino del padrino Carlo Gambino e coinvolto nel presunto sequestro di Michele Sindona, che negli Usa è stato detenuto in un centro di raccolta per immigrati, pende comunque una condanna della corte d’appello di Palermo, a 14 anni, per associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti. Il processo, concluso negli anni Ottanta, è proprio quello basato sulle indagini di Giovanni Falcone. All’epoca, il magistrato aveva scoperto che dalla Sicilia partivano carichi di droga diretti a New York: gli esponenti del clan Gambino-Inzerillo nascondevano i pacchetti di polvere bianca in contenitori metallici, "apparentemente contenenti dischi di musica – spiegava Falcone nel suo provvedimento – i pacchi venivano spediti all’indirizzo di un fantomatico Centro italiano Nastri Eighteenth Ave Brooklyn New York 11204 USA".
Gambino conserva anche il segreto del fiume di soldi che dagli Stati Uniti tornavano in Italia e venivano poi riciclati. Quel tesoro Giovanni Falcone non aveva mai smesso di cercare. Ecco perché i segreti di Gambino sono ancora attualissimi: negli ultimi anni gli investigatori del Servizio centrale operativo della polizia e della squadra mobile di Palermo hanno notato strani viaggi a Palermo di mafiosi italo americani e dei loro parenti. Fino a qualche anno fa sarebbe stato impensabile, perché sui Gambino-Inzerillo, gli "scappati", i perdenti della guerra di mafia del 1981, pendeva una condanna all’esilio imposta da Riina e Provenzano. Ma da quando la parabola dei corleonesi volge verso il basso, tante cose sono cambiate nell’universo mafioso. E i perdenti di un tempo tornano in Sicilia da imprenditori che hanno fatto fortuna oltreoceano.
Nel febbraio 2008, polizia italiana ed Fbi hanno arrestato 90 boss che fra Palermo e New York organizzavano affari (LEGGI). Ma questa volta non si è trovato un solo grammo di droga. Cosa stanno organizzando dunque i nuovi padrini italo-americani?
Il figlio di Rosario Gambino, Tommaso, non ha mai smesso di viaggiare fra Los Angeles, dove risiede, e Palermo. Ufficialmente, solo per fare visita ad alcuni parenti. Ogni volta che è sbarcato in Italia è stato seguito con cura dagli investigatori. Così sono emerse delle telefonate con Claudio Lo Piccolo, il rampollo del potente gruppo di mafia che ha ereditato il potere dopo l’arresto di Provenzano. Ma anche Claudio, come Tommaso, è stato solo sfiorato dalle indagini. Seguendo Gambino junior, gli investigatori sono però arrivati a un insospettabile imprenditore palermitano, che gestiva un bar all’interno della sala Bingo Las Vegas, una delle più grandi d’Europa. Quella struttura è stata sequestrata nei mesi scorsi dal Tribunale Misure di prevenzione di Palermo, perché ritenuta un investimento per Cosa nostra. Forse, il primo affare dei nuovi imprenditori italo-americani: una grande macchina ricicla soldi.
Già condannato in Italia, Gambino ha ottenuto, su istanza dei difensori, il processo di revisione. Nei suoi riguardi è stato emesso nel 1980 un mandato di cattura da parte del giudice Giovanni Falcone. Il provvedimento è oggetto in questi giorni di nuovo esame da parte del Tribunale del riesame di Palermo, dopo l’annullamento con rinvio da parte della Cassazione dell’ordinanza che ne dichiarava il persistere dell’efficacia.
[La Siciliaweb.it, Repubblica/Palermo.it]
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Gli Usa hanno espulso il boss Rosario Gambino (Guidasicilia.it, 03/04/08)
- L’espulsione del boss Gambino si tinge di giallo (Guidasicilia.it, 04/04/08)
Nel 17esimo anniversario della strage di Capaci, da Trapani la verità sull’omicidio del giornalista Mauro Rostagno
Delitto Rostagno, 21 anni dopo i nomi di chi lo ha ucciso
(www.liberainformazione.org/…)
Era in mezzo ai lupi dice il capo della Mobile Giuseppe Linares ed i lupi lo hanno sbranato. A fare la parte dei lupi i mafiosi, ad essere ucciso da loro il sociologo e giornalista Mauro Rostagno. Il territorio quelloo di Trapani. A 21 anni dal delitto che risale al 26 settembre del 1988 del sociologo e giornalista che si occupava di lotta alla droga e raccontava ai cittadini dagli schermi di una tv locale, Rtc, le malefatte di politici e criminali di ogni genere, la procura antimafia di Palermo ha chiesto e ottenuto dal gip Maria Pino l’emissione di due ordini di cattura per il delitto Rostagno. Destinatari sono il capo mafia di Trapani Vincenzo Virga e il valdericino Vito Mazzara. Il primo mandante l’altro esecutore dell’omicidio. I sicari erano tre, due restano ignoti, c’è solo il verbale di un pentito che ne fa i nomi, insufficiente però potere procedere anche contro di loro. Virga e Mazzara sono già in carcere, a scontare condanne definitive all’ergastolo per associazione mafiosa e omicidi.
Ci sono una serie di coincidenze che oggi si rincorrono, ci sono dei fili che tornano ad unirsi. Intanto è il 23 maggio, 17 anni dopo la strage di Capaci e l’uccisione del giudice Giovanni Falcone. Rostagno torna oggi ad incontrarlo, ci piace immaginare che questo possa accadere là adesso dove loro si trovano, come fece un giorno andando ad incontrarlo alla procura di Palermo. Pare voleva parlargli di alcune strane cose che aveva scoperto, traffici di armi, gladio. C’è poi quella sorta di pacificazione tra gli organi dello Stato e chi nella metà degli anni ’60 quello Stato combatteva. Lotta Continua era il movimento dove Rostagno aveva scelto di stare con altri, in quegli anni l’omicidio del commissario Luigi Calabresi a Milano fu una conseguenza di quella tensione, così come la vicenda, successiva della morte dell’anarchico Pinelli. Come al Quirinale l’incontro tra le vedove di questi due uomini ha rappresentato la volontà di ristabilire una serie di verità, il lavoro condotto dalla Polizia e dagli specialisti del laboratorio della Scientifica di Palermo, eredi del commissario Calabresi, rivolto a far luce sul delitto Rostagno, riannoda le fila, tra la Polizia e quel Rostagno di Lotta Continua. Dicevamo il Quirinale: un anno e mezzo addietro cittadini, non solo di Trapani, 10 mila in tutto, firmarono una petizione che inviarono al Capo dello Stato, preoccupati che le indagini non andavano avanti per scoprire i chi e i perché dell’omicidio Rostagno. Oggi a Trapani arriva il presidente Napolitano, la coincidenza incredibile del deposito proprio ieri, 22 maggio, dell’ordinanza da parte del gip Maria Pino, ha fatto si che il Capo dello Stato, rappresentasse supremo della magistratura, venisse qui come a consegnare la risposta dello Stato a chi ha chiesto giustizia.
L’artefice di questo è un sovrintendente di Polizia, un brigadiere, esperto mastino contro la criminalità organizzata, trovatosi a fare la scorta al dott. Giuseppe Linares, uno degli uomini più esposti nella lotta alla mafia in provincia di Trapani. Fu durante una discussione tra i due, una delle tante, tra un percorso e l’altro fatto insieme, che nacque l’intuizione di andare a controllare se nel fascicolo di indagine vi fosse la perizia balistica, ripetuta dopo la creazione della banca dati e l’impiego da parte del gabinetto di polizia scientifica di nuove sofisticate attrezzature. In effetti la perizia ultima era quella all’epoca del delitto. La più felice delle intuizioni.
Indagando tra alcuni dei delitti commessi dopo l’omicidio Rostagno, come l’omicidio dell’agente di custodia Giuseppe Montalto, altri commessi durante la faida di Partanna, Valle del Belice, e l’eliminazione di delinquenti locali ammazzati per sgarri piccoli e grandi, la squadra mobile di Trapani e la polizia scientifica di Palermo hanno individuato una serie di coincidenze. Le modalità di esecuzione intanto. Poi le armi. A sparare sempre in tre persone, l’uso di una Fiat Uno per agire, la vettura usata puntualmente ritrovata bruciata. I poliziotti non hanno trovato il fucile o le armi usate per uccidere, ma i proiettili si. I bossoli avevano le stesse caratteristiche, dalle striature lasciate durante l’esplosione e il sovraccaricamento. Unamafia troppo seriale che è stata così incastrata. Una firma che ha ricondotto a Vito Mazzara già riconosciuto killer della mafia trapanese, un ex campione di tiro a volo esperto di armi. Condannato per i delitti risultati in tutto sovrapponibili a quello di Mauro Rostagno. Poi nelle indagini le dichiarazioni dei pentiti, Milazzo, Patti, Sinacori, Brusca, Siino. Finalmente pieni di riscontri.
Gli investigatori della Mobile hanno ricostruito il periodo storico del delitto. Il 1988 era l’anno in cui la mafia a Trapani stava vivendo una forte escalation, da potenza militare si trasformava in impero imprenditoriale. Nasceva il tavolino degli appalti dove sedevano mafiosi, politici e imprenditori, si formava quel sistema di complicità e connessioni ancora oggi attivo, sono cambiati alcuni protagonisti, ma la regia è quella di sempre dei Messina Denaro. Matteo, il super latitante ne è oggi il capo, erede di Francesco, il campiere del Belice che diede a Vincenzo Virga l’ordine di fare ammazzare Mauro Rostagno, come racconta il pentito di Mazara Vincenzo Sinacori. Le parole ogni giorno pronunziate da Rostagno da quella tv era una sfida che Cosa Nostra non voleva più tollerare. Rostagno aveva toccato il boss dei boss trapanesi, il mazarese Mariano Agate, lo irrideva e ne indicava il malaffare che questi si lasciava dietro, e Lipari un giorno gli mandò un segnale preciso dalla gabbia del Tribunale dove si trovava per il processo sulla uccisione del sindaco di Castelvetrano Vito Lipari: quel giorno c’era l’operatore di Rtc con la telecamera in aula, Agate gli fece segno e gli disse di dire a quello là con la barba, vestito di bianco, di non dire ancora minchiate.
Gli scenari di allora, oggi sono quelli sotto processo con tutti i loro protagonisti, per alcuni di loro ci sono condanne definitive, per altri i dibattimenti sono in corso. Imputati mafiosi come Mariano Agate boss indiscusso di Mazara o anche politici, contro di tutti questi Rostagno dalla tv si scagliava, e quella stampa libera a Cosa Nostra e non solo a Cosa Nostra dava fastidio. e per questo la mafia liberò i lupi per quel pasto infame. Gli altri possibili scenari, come la scoperta di un traffico di armi nel trapanese da parte di Rostagno, che avrebbe ripreso con una tele camerina l’arrivo di un aereo sulla pista di quell’aeroporto ufficialmente chiuso di Kinisia, alle porte di Trapani, non emergono nell’ordinanza, ma non sono esclusi da chi ancora oggi indaga. Non si esclude che il delitto voluto da Cosa Nostra non fosse stato desiderato anche da soggetti esterni a Cosa Nostra.
Le indagini sul delitto Rostagno non sono finite. Come hanno chiesto che sia quelle 10 mila persone che hanno inviato una petizione al presidente Napolitano circa un anno e mezzo addietro, perchè l’omicidio non restasse dimenticato. Non era così e così non è stato.
Il comunicato stampa diffuso dalla Polizia di Stato.
Gli arrestati: Vito Mazzara, Custonaci, 61 anni, detenuto a Biella. Vincenzo Virga, 73 anni, detenuto a Parma.
Lo sviluppo investigativo. La Squadra Mobile di Trapani, con nota n. 600/2007 del 16-10-2007, evidenziava al PM titolare delle indagini sull’omicidio di Mauro Rostagno (Torino 06.03.1943) avvenuto in contrada Lenzi di Valderice in data 26-09-1988, che dall’analisi degli atti effettuati, nel corso degli anni, dai vari Organi di Polizia giudiziaria su mandato della Procura di Trapani, e, successivamente, di Palermo, sull’omicidio in argomento non si evinceva se il materiale balistico rinvenuto sulla scena del crimine fosse mai stato oggetto di accertamenti comparativi da parte della Polizia Scientifica di Palermo.
Partendo la Squadra Mobile di Trapani richiedeva di voler autorizzare il prelievo presso l’ufficio corpi di reato del Tribunale di Trapani del reperto nr. 9146, contenente 3 bossoli cal. 12 e n. 3 cartucce inesplose cal. 12 provenienti dal delitto ROSTAGNO allo scopo di effettuare, con la collaborazione tecnica del Gabinetto Regionale di Polizia Scientifica di Palermo le comparazioni balistiche con fatti di sangue già oggetto di analisi comparative con analoghi eventi criminosi commessi, con il medesimo modus operandi, nella provincia di Trapani (impiego di fucile cal. 12 e/o revolver cal. 38 ) e contenuti nella banca dati balistici della Polizia Scientifica.
La necessità di tali comparazioni balistiche era finalizzata a fornire elementi di riscontro e verifica alla possibilità che l’omicidio del sociologo Mauro ROSTAGNO sia stato materialmente attuato da soggetti organici o contigui a propaggini di ‘cosa nostra’ trapanese, i quali, in seguito, sono stati arrestati e condannati con sentenza passata in giudicato per il loro coinvolgimento operativo in altri fatti di sangue commessi a partire dal 1989.
In effetti, in ordine temporale, successivamente alla soppressione di Mauro Rostagno in provincia di Trapani sono stati commessi numerosi omicidi, tutti di accertata matrice mafiosa, attuati con le medesime modalità operative impiegate per l’esecuzione del sociologo, ossia con l’utilizzo di fucile semiautomatico cal. 12 e pistola revolver cal. 38.
Ciò a partire dal duplice omicidio di PIAZZA Giuseppe e SCIACCA Rosario avvenuto l’11 giugno 1990 in Partanna. Infatti, proprio il duplice omicidio partannese, già oggetto di giudicato penale, richiamava all’attenzione la figura del famigerato killer ed esponente di spicco del mandamento mafioso di Trapani, MAZZARA Vito, in atto detenuto in quanto raggiunto da varie Ordinanze custodiali e, successivamente, condannato alla pena dell’ergastolo poiché facente parte della locale consorteria mafiosa oltre che esecutore materiale di un spaventoso numero di omicidi.
La Corte dì Assise di Trapani aveva condannato alla pena dell’ergastolo il MAZZARA Vito unitamente altri, poiché ritenuto responsabile di associazione a delinquere di stampo mafioso e del duplice omicidio di PIAZZA Giuseppe e SCIACCA Rosario oltre che dei reati in materia di armi; condanna confermata dalla Corte di Assise di Palermo con sentenza n.20/200 I R.G. del 11-10-2002.
Va rilevato che proprio sulla ingerenza di “cosa nostra” e, in particolare, della famiglia mafiosa di Trapani, sia in ordine al ruolo avuto dal VIRGA Vincenzo quale mandante, sia dal MAZZARA Vito quale autore materiale dell’omicidio del ROSTAGNO Mauro, si sono univocamente espressi i collaboratori di giustizia SINACORI Vincenzo e MILAZZO Francesco, entrambi già blasonati capi mafia del trapanese, sulla cui attendibilità si è positivamente espresso il vaglio delle sentenze dibattimentali che hanno comportato la condanna del VIRGA e del MAZZARA per vicende omicidiarie tra cui il duplice omicidio PIAZZA – SCIACCA o la soppressione dell’Agente di custodia Giuseppe MONTALTO.
Siffatte evenienze investigative – come sopra rappresentato – sono state correlate all’esame delle risultanze della perizia balistica richiesta dalla Squadra Mobile al Gabinetto regionale di Polizia Scientifica di Palermo proprio sulle cartucce cal. 12 pertinenti al delitto ROSTAGNO.
Infatti, la disamina dell’evento omicidiario relativo al ROSTAGNO e le modalità operative impiegate per l’esecuzione del sociologo, ovvero l’utilizzo di fucile semiautomatico cal. 12. e pistola revolver cal. 38, nonché l’utilizzazione di una Fìat Uno da parte degli autori prospettano ìctu oculi l’evidente analogia con vari eventi omicidiari commessi a partire dal 1989 ovvero il duplice omicidio di PIAZZA Giuseppe e SCIACCA Rosario avvenuto l’l giugno 1990, l’omicidio dell’Agente di Custodia MONTALTO Giuseppe soppresso il 23 dicembre del 1995, l’omicidio di MONTELEONE Antonino soppresso in c.da Marausa il
07-12-1990 per i quali veniva condannato alla pena dell’ergastolo il MAZZARA Vito, risultato nella disponibilità esclusiva e utilizzatore del medesimo fucile semiautomatico cal. 12, impiegato per l’esecuzione materiale degli stessi.
Dall’esame al microscopio comparatore di nuova concezione sono state trovate dalla Polizia Scientifica su uno dei tre bossoli dell’omicidio ROSTAGNO (contrassegnato in relazione tecnica con la sigla 111 2RB2), su uno dei quattro bossoli rinvenuti nel corso del duplice omicidio PIAZZA-SCIACCA, avvenuto a Partanna l’11-6-1990 (contrassegnati in relazione tecnica con sigle 996RB2 e 996RB4), e su uno dei quattro bossoli relativi all’omicidio PIZZARDI Gaetano, avvenuto a Trapani l’8-11-1995 (contrassegnato in relazione tecnica con sigla 2577RB4), alcune impronte identiche per dimensioni e forma, riferibili solamente al “cameramento” delle cartucce, dalle quali residuano i bossoli in esame, in un unico fucile semiautomatico.
Al riguardo si precisa che una cartuccia calibro 12, inserita nel serbatoio di un fucile semiautomatico, nel passaggio dal serbatoio alla canna subisce una serie di urti contro i congegni dell’arma che intervengono per far si che questa, che si trova alloggiata sotto la canna, venga prelevata e sollevata sino all’inserimento nella camera di cartuccia, ed è per tale ragione che sui bossoli è possibile rilevare “tracce d’improntamento” che si riferiscono al semplice “cameramento” in bianco ossia al caricamento della cartuccia e alla sua successiva espulsione senza esplosione.
La conclusione cui giunge la nuova relazione tecnica della Polizia Scientifica è pertanto che la presenza di tali impronte prospetta la elevata probabilità che le cartucce esamine ed appartenenti ai tre eventi omicidiari (ROSTAGNO, PIAZZA-SCIACCA, PIZZARDI), siano state camerate in uno stesso fucile.
Sulla base di tale ricostruzione compendiata dalla Squadra Mobile di Trapani con Informativa di reato del 22 gennaio 2008 al PM dr. Ingroia, è stato possibile evidenziare in particolare :
- Le riscontrate analogie fra il modus operandi del commando dell’omicidio ROSTAGNO, che usa per l’agguato una Fiat Uno rubata che poi tenta di bruciare, e quello adottato negli altri omicidi che si è accertato essere stati commessi dal MAZZARA, anch’essi eseguiti servendosi di una Fiat Uno rubata poi data alle fiamme;
- Le riscontrate analogie delle armi utilizzate dal commando del delitto ROSTAGNO, e cioè un fucile cal. 12 con l’ausilio di un revolver, verosimilmente utilizzato come arma di riserva quando il fucile, dopo l’esplosione di alcune sue parti dopo i primi colpi, divenne inservibile, con l’abitudine di MAZZARA Vito (accertata con sentenza definitiva) di usare un fucile cal. 12 e portare con sé un revolver come arma di riserva ;
- Le riscontrate analogie balistiche fra una cartuccia dell’omicidio ROSTAGNO con cartucce certamente utilizzate da MAZZARA Vito per uccidere PIAZZA-SCIACCA a Partanna e PIZZARDI Gaetano a Trapani, che consentono di affermare con certezza che tutte tali cartucce, comprese quelle utilizzate per uccidere ROSTAGNO, sono state “maneggiate” da una persona esperta con le armi per mettere in atto un’operazione inusuale (“cameramento in bianco”), posta in essere con un fucile diverso da quelli usati per gli omicidi, evidentemente allo scopo di confondere le tracce balistiche che avrebbero lasciato le armi al momento dell’esplosione di quelle cartucce, e così rendere più difficoltosa l’opera di comparazione dei periti balistici, secondo le possibilità e le conoscenze tecniche dell’epoca dei fatti;
- La circostanza accertata delle capacità tecniche e dell’intenzione di MAZZARA Vito di porre in essere specifici accorgimenti per rendere più difficoltosa l’opera dei periti balistici;
- L’assenza, nelle famiglie mafiose del trapanese, di altri esperti balistici, che all’epoca dei fatti svolgessero funzioni di “armieri”, e che possano pertanto avere provveduto – all’infuori di MAZZARA Vito – a siffatta procedura di mimetizzazione delle tracce balistiche.
Le illustrate emergenze hanno consentito di riscontrare in modo decisivo le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia che da tempo avevano individuato con certezza la matrice mafiosa del delitto ed identificavano nella famiglia mafiosa di Trapani l’“epicentro” organizzativo ed esecutivo dell’omicidio.
Ulteriori elementi accusatori derivano dalle dichiarazioni di Giovanni BRUSCA, PATTI Antonino e di Angelo SIINO che hanno pienamente confermato la ascrivibilità dell’omicidio a Cosa Nostra trapanese, sulla base di una notizia appresa da fonte più che qualificate, e cioè da AGATE Giovan Battista e RIINA Salvatore, indiscusso capo di Cosa Nostra all’epoca dei fatti, nonché legato da saldi vincoli a tutti gli esponenti di spicco delle famiglie trapanesi, far tutti i boss Mariano AGATE e MESSINA DENARO Francesco .
La natura indiscutibilmente mafiosa delle modalità esecutive del delitto, accertata in base alle indagini tecnico-balistiche, e le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia che, in virtù dei rispettivi e talora diversi livelli di conoscenza, ne ascrivono la deliberazione e la realizzazione all’organizzazione mafiosa Cosa Nostra trapanese impongono una ulteriore puntualizzazione sugli elementi gravemente indiziari acquisiti in ordine al ruolo di mandante svolto da Vincenzo VIRGA.
Una manifestazione particolarmente eclatante di tale legame è emblematicamente costituita dalla ferocia stragista che il 2 aprile 1985 determinò l’eccidio di Pizzolungo, in cui morirono una giovane madre e due suoi figli nel momento in cui il destinatario della micidiale carica esplosiva, il giudice Carlo PALERMO, stava transitando sul luogo. Per tale orrendo crimine Vincenzo VIRGA, da poco al vertice del mandamento trapanese, unitamente all’allora capo dello schieramento corleonese di Cosa Nostra, Salvatore RIINA, ed a Balduccio DI MAGGIO, sono stati condannati all’ergastolo con sentenza del Gup di Caltanissetta del 20 novembre 2002, ormai divenuta definitiva.
In tale sentenza – cosi come in quella del 4 maggio 1999 della Corte di Assise relativa anche all’omicidio dell’agente MONTALTO, già più volte menzionata a proposito delle risultanze balistiche – sono state evidenziate le caratteristiche impresse dal VIRGA all’attività criminosa della famiglia trapanese, connotata, in primo luogo, da una elevatissima potenzialità “militare” sviluppatasi anche grazie alla collaborazione coi gruppi di fuoco di altri mandamenti trapanesi e della provincia di Palermo.
Il riconoscimento della responsabilità penale del VIRGA per tale omicidio e la sua condanna all’ergastolo – unitamente al noto MESSINA DENARO Matteo ed agli esecutori materiali MAZZARA Vito e MILAZZO Francesco, con la collaborazione organizzativa di BRUSCA Giovanni – se da lato comprova il pieno inserimento del medesimo e della famiglia trapanese nelle scelte strategiche dei massimi vertici di Cosa Nostra volte alla perpetrazione di " un vero e proprio attacco diretto nei confronti delle Istituzioni dello Stato e di quanti le rappresentano", dall’altro consente di evidenziare il particolare legame fiduciario instaurato dal VIRGA con il MAZZARA.
Il complesso accusatorio è stato ulteriormente definito con l’esito delle intercettazioni ambientali svolta dalla Squadra Mobile nei confronti del MAZZARA Vito, durante la detenzione, che hanno permesso di rafforzare sia gli elementi relativi al coinvolgimento del killer trapanese nel fatto di sangue in argomento, sia di individuare un caveau occultato all’interno dell’abitazione del MAZZARA per il quale, il detenuto, temendo l’attivazione di nuove indagini da parte dell’A.G. sulla propria persona, ha richiamato l’attenzione dei propri familiari svelandone l’esatta ubicazione per prelevare ed eliminare qualunque cosa vi fosse stata celata, non ricordandone l’esatto contenuto .
Il contributo di conoscenza reso da Sinacori e Milazzo in ordine alla responsabilità di Virga Vincenzo nella commissione dell’omicidio del Rostagno ha pertanto trovato una importantissima conferma negli esiti delle indagini balistiche.
Coniugando cronaca e denuncia, movendo forti ed esplicite accuse nei confronti di esponenti di Cosa Nostra e richiamando in termini di speciale vigore l’attenzione dell’opinione pubblica, Rostagno aveva “toccato” diversi uomini d’onore e generato nell’ambito del contesto criminale in argomento un risentimento diffuso.
L’omicidio del Rostagno è stato deliberato in Cosa Nostra: l’ordine di provvedere, così come riferito da Sinacori e, altresì, fondatamente ritenuto da Milazzo, è stato dato dall’allora rappresentante provinciale Messina Denaro Francesco
Il mandato per la organizzazione e la materiale esecuzione è stato dal Messina Denaro conferito – per quanto dallo stesso affermato dinanzi al Sinacori e da quest’ultimo dichiarato – a Virga Vincenzo, odierno indagato.
L’indicazione accusatoria del Sinacori è precisa (“MESSINA DENARO Francesco davanti a me dice a Mastro Ciccio che ha dato l’incarico a Vincenzo VIRGA”).
Dalla confluenza dei racconti del Sinacori e del Milazzo emerge con valore probatorio pieno che l’omicidio di Rostagno Mauro fu deliberato in Cosa Nostra, venne organizzato dal “capo mandamento” di Trapani Virga Vincenzo, personalmente investito dell’incarico dal rappresentante provinciale Messina Denaro Francesco, e fu realizzato dal “gruppo di fuoco” che all’epoca operava in quel territorio e che certamente comprendeva, per concordi indicazioni dei citati Sinacori e Milazzo e, altresì, di Patti Antonio, l’odierno indagato Mazzara Vito. o di Trapani. A 21 anni dal delitto che risale al 26 settembre del 1988 del sociologo e giornalista che si occupava di lotta alla droga e raccontava ai cittadini dagli schermi di una tv locale, Rrtc, le malefatte di politici e criminali di ogni genere, la procura antimafia di Palermo ha chiesto e ottenuto dal gip Maria Pino l’emissione di due ordini di cattura per il delitto Rostagno. Destinatari sono il capo mafia di Trapani Vincenzo Virga e il valdericino Vito Mazzara. Il primo mandante l’altro esecutore dell’omicidio. I sicari erano tre, due restano ignoti, c’è solo il verbale di un pentito che ne fa i nomi, insufficiente però potere procedere anche contro di loro. Virga e Mazzara sono già in carcere, a scontare condanne definitive all’ergastolo per associazione mafiosa e omicidi.
Il mandato per la organizzazione e la materiale esecuzione è stato dal Messina Denaro conferito – per quanto dallo stesso affermato dinanzi al Sinacori e da quest’ultimo dichiarato – a Virga Vincenzo, odierno indagato.
L’indicazione accusatoria del Sinacori è precisa (“MESSINA DENARO Francesco davanti a me dice a Mastro Ciccio che ha dato l’incarico a Vincenzo VIRGA”).
Dalla confluenza dei racconti del Sinacori e del Milazzo emerge con valore probatorio pieno che l’omicidio di Rostagno Mauro fu deliberato in Cosa Nostra, venne organizzato dal “capo mandamento” di Trapani Virga Vincenzo, personalmente investito dell’incarico dal rappresentante provinciale Messina Denaro Francesco, e fu realizzato dal “gruppo di fuoco” che all’epoca operava in quel territorio e che certamente comprendeva, per concordi indicazioni dei citati Sinacori e Milazzo e, altresì, di Patti Antonio, l’odierno indagato Mazzara Vito.