FOTO CARTA ORIGINALE PER LA STAMPERIA
L’indagine ha fatto emergere la ‘jont venture’ tra i due gruppi criminali, dediti alla stampa da banconote da 20 euro, che i casalesi avrebbero ‘appaltato’ ai foggiani fornendo la carta filigranata. Un ulteriore ‘business’ tra i due gruppi era il furto e la rivendita di rame, 75 i quintali sottratti alle Ferrovie dello Stato a Foggia che sono stati recuperati. Agli indagati sono stati sequestrati beni per complessivi 1,5 milioni.
L’inchiesta ha fatto venire alla luce i rapporti d’affari fra gli esponenti del clan dei Casalesi, rappresentati da Angelo D’Errico, parente del noto boss Luigi Venosa, soprannominato “Giggin ò Cucchiere”, e quelli della mafia del capoluogo dauno capeggiata da Savino Ariostini e Massimiliano Cassitti. La mafia di Foggia era considerata dai clan dei Casalesi una delle organizzazioni malavitose più affidabili tanto che avevano affidato ad essa la produzione di banconote false. Una “delocalizzazione” dell’attività di falsificazione di denaro che la camorra di Casal di
Principe aveva dovuto programmare dopo che le loro “stamperie” erano state smantellate dalle continue operazioni antimafia nel loro territorio. Di qui la necessità di continuare l’attività altrove, con gente fidata e in posti sicuri. L’inchiesta condotta dalla Dda di Bari, se da un lato mette in evidenza l’infiltrazione della camorra nel tessuto pugliese, dall’altro evidenzia come la mafia foggiana abbia assunto negli ultimi anni una dimensione ben diversa da quella della semplice delinquenza: i mafiosi foggiani potevano interloquire “alla pari” con i camorristi.
L’indagine è partita da sequestro di carta filigranata eseguito dalla guardia di finanza a Barletta il 3 novembre del 2010. Parte di un “prezioso” carico rubato dalle “Cartiere Fabriano”, concessionaria in esclusiva per la Banca d’Italia per la fabbricazione della carta per la stampa delle banconote in euro. Le indagini, portate avanti dal Gico di Bari e dal gruppo GdF di Barletta, supportate dallo Scico della finanza e dallo Sco della polizia di Stato per quanto riguarda il versante dei “Casalesi”, avevano consentito di accertare la disponibilità, nell’area casertana, di ingenti quantitativi di carta filigranata originale rubata, da parte dei Casalesi. Gli investigatori hanno monitorato molteplici incontri tra il clan casertano e quello foggiano. Un rapporto di affari che negli anni era cresciuto e si era consolidato.
Nella prima fase, i casalesi si volevano limitare solo ad “appaltare” la fabbricazione di banconote false con carta filigranata originale. Per questo il materiale veniva consegnato ai foggiani per la realizzazione di prove di stampa che poi venivano successivamente esibite e consegnate ai casalesi. In una seconda fase, la mafia foggiana avrebbe alzato il tiro chiedendo e ottenendo da quella casertana il riconoscimento di una propria autonomia d’impresa: i foggiani avrebbero acquistato direttamente la materia prima e, una volta prodotte le banconote false, avrebbero provveduto a commercializzarle. Un salto di qualità “imprenditoriale” che la mafia foggiana organizza grazie al contributo finanziario dei vertici dei clan riferibili a Francavilla-Sinesi e a Michele Mansueto.
L’indagine sulle banconote false ha, poi, portato alla scoperta di un’altra attività illecita della mafia di Foggia: quella del furto del rame. Ariostini viene considerato il responsabile della sottrazione di 75 quintali di materiale metallico alle Ferrovie dello Stato. Un’attività illecita che aveva creato non solo un forte allarme sociale nel territorio, ma provocato non pochi disagi per l’interruzione delle linee ferroviarie.