Il Procuratore Volpe va in pensione e mette in guardia sul “voto di scambio”

Bari, procuratore Volpe va in pensione: «Risultati importanti contro mafia»

L’emergenza criminalità in Capitanata e il problema edilizia giudiziaria a Bari. L’allerta sul possibile rischio «voto di scambio» (in Puglia a settembre si va alle urne), e i risvolti del caso Palamara. Una camera con vista sul futuro. Del resto, non è facile passare in rassegna gli ultimi sei intensissimi anni alla guida di un ufficio così importante come la Procura di Bari. Il 29 agosto il procuratore della Repubblica di Bari, Giuseppe Volpe, compirà 70 anni e dal giorno dopo andrà in pensione. «Ma sono già in ferie», precisa.

Procuratore, le chiedo di indossare i panni del giudice e non del Pm per un bilancio del suo mandato: che giudizio ne dà?
«Posso solo dire che abbiamo lavorato tantissimo, non solo noi magistrati e le forze di polizia, ma anche la società civile. Penso agli imprenditori taglieggiati che a Bari (a Japigia ad esempio e non solo), ma anche a Foggia, hanno denunciato chi imponeva loro il pizzo. A Foggia si è dovuto faticare di più, ma insieme alla collaborazione con la Procura foggiana, anche qui ci siamo riusciti. Questa mattina (ieri, ndr) mi sono arrivati i dati aggiornati relativi alle operazioni e agli arresti relativi alla criminalità organizzata nel Foggiano. Sono numeri importanti: dal 2017 a oggi sono state sottoposte a misure cautelari 230 persone per mafia, droga ed estorsione con aggravante mafiosa e ben 100 su richiesta della Procura di Foggia nei confronti di persone organiche o contigue. Oltre 330 persone attinte da misure testimoniano un grande lavoro svolto dai magistrati e dalle forze di polizia».

C’è chi nei Ministeri, a Roma, parla di un «Metodo Bari» avviato dal suo ufficio. In cosa consiste?
«Abbiamo ottenuto risultati importanti grazie al coordinamento e alla collaborazione, allo scambio di notizie e informazioni con indagini delegate alle singole forze di polizia e “messe a fattor comune”. Devo sottolineare il grande impegno dei servizi centrali, Sco e Ros e Scico, con sinergie importanti. Una conquista figlia della concordia che regna nell’ambiente interno alla Procura, all’osmosi e al travaso dei dati nelle indagini di ciascuno negli altri, senza gelosie e “prime donne” e “primi uomini”. Credo che anche i cronisti e i cittadini attraverso i media percepiscano come la frequenza con la quale si sparava una volta a Bari e Foggia non è più quella attuale. E se dalle statistiche relative alle iscrizioni per omicidi di mafia, i fascicoli sono in ascesa, è perché il dato dipende dalle riaperture di vecchie indagini per omicidio, per effetto delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia che adesso spuntano anche a Foggia».

La mafia in Capitanata è certamente tra le più agguerrite. Potrebbe in qualche modo ambire a sconfinare in altre province pugliesi?
«La mafia di Capitanata ha certamente avuto un iter evolutivo, nata come arcaica specie nel Gargano e caratterizzata da faide, si è evoluta con criminali che si sono spinti sulla costa, penso al “clan dei Montanari”. Gli interessi sono cambiati nel tempo, contrabbando, droga e anche estorsioni, attività costellate da regolamenti di conti, ed altro ancora. Foggia ha una mafia che dal 1986 dopo la strage al circolo “Bacardi”, chiamiamo Società Foggiana, con una struttura particolare riconosciuta da sentenze definitive della Cassazione e che ha fatto un salto di qualità perché ha permeato economia e politica, basti pensare ai diversi Comuni sciolti per mafia a Cerignola, Manfredonia, Mattinata, Monte Sant’Angelo».

Quali i settori dell’economia legale cui sono più interessati i clan della Capitanata?
«L’industria alimentare e di trasformazione dei prodotti, i rifiuti e la gestione dei lidi sulla costa».

E poi ci sono i traffici dall’Albania.
«Giungono tonnellate di marijuana. L’ultima operazione in ordine di tempo, Kulmi, condotta dalla Dia, è stata possibile grazie alla Squadra investigativa comune con i colleghi albanesi. Un bel successo gli arresti eseguiti da noi in territorio albanese grazie al lavoro comune con la Procura anticorruzione e contro la criminalità organizzata albanese. Rispetto al passato abbiamo interlocutori affidabili dall’altra parte dell’Adriatico».

Come mai adesso spuntano i primi pentiti anche qui?
«È frutto del grande lavoro svolto. Sottolineo a questo proposito l’importanza dell’operazione DecimAzione. Qualcuno stava per essere eliminato fisicamente, e per salvarsi ha deciso di collaborare con lo Stato. Emblematico il caso dell’imprenditore proveniente da un’altra regione e che aveva investito in Capitanata. A un certo punto gli impongono un guardiano che viene ucciso. E lui denuncia il racket».

Capitanata a parte, l’emergenza sanitaria potrebbe suscitare gli appetiti dei clan pugliesi?
«Sin dal primo momento ho sostenuto che ci sarebbe stata una recrudescenza dell’usura che sono sicuro è già in atto. Ma parliamo di un reato che viene alla luce con le denunce. Di conseguenza, ritengo che avremo contezza più in là della portata del fenomeno. Abbiamo svolto riunioni anche in Prefettura sul punto. È importante in questo senso anche il lavoro degli intermediari finanziari e delle banche che sono state allertate per tenere alta la guardia. Sotto osservazione c’è anche il riciclaggio».

Cambiamo argomento, uno nuovo… l’edilizia giudiziaria a Bari. Il problema si trascina da oltre un ventennio. Possibile che non si riesca a risolverlo?
«Le faccio io una domanda. È normale che una città come Bari che esprime parlamentari di ogni colore politico non ne abbia uno che si attivi veramente a livello centrale? È un grave problema sia per i magistrati ma soprattutto per la classe forense penalizzata al massimo e che si sta comportando con civiltà ed equilibrio quando avrebbe avuto tutto il diritto di urlare per ottenere ciò che spetterebbe nell’interesse sempre dei cittadini. Ma l’efficienza della Giustizia, oltre che da una sede idonea, non può prescindere dall’efficienza dell’apparato organizzativo nel suo complesso e di cui è responsabile il ministero».

L’altro nodo, insomma, è il personale, specialmente quello amministrativo.
«Abbiamo sofferenza di organici. In Procura sfioriamo il 40% di “vuoto” rispetto all’organico e non capisco perché i parlamentari baresi non avviino una battaglia feroce anche su questi temi. La sede del Tribunale per i Minorenni è un condominio dove le bandiere spuntano tra i panni stesi, piazza De Nicola necessita di una ristrutturazione, la Procura è divisa tra via Dioguardi e via Brigata Regina, non ci sono aule sufficienti per celebrare udienze affollate. Bisogna arrivare all’aula bunker di Bitonto per certi processi. A pagare sono gli avvocati e i cittadini che la classe forense rappresenta».

A settembre si torna alle urne anche in Puglia. Ci sono segnali di voto di scambio? Come si sta muovendo la Procura, quali sono gli antidoti?
«Ovviamente non parlo del presente. Posso solo dire che l’attenzione è alta. Ricordo solo che dalle indagini di cinque anni fa, in occasione delle precedenti Regionali un candidato non eletto si è rivolto al clan Di Cosola per avere voti. Ero in Procura generale a Bari quando, nel 1992, rappresentai l’accusa in un processo nel quale un candidato eletto al Parlamento era accusato di avere comprato voti per 70 milioni di lire rivolgendosi a chi avrebbe garantito voti del clan Capriati. È un problema culturale di cui purtroppo dobbiamo prendere atto. Da noi esiste».

Caso Palamara, correntismo nella magistratura, giustizia svenduta a Trani. Quanto tutto questo incrina la fiducia dei cittadini nella Giustizia? Come recuperarla?
«Personalmente non ho mai conosciuto Palamara. Posso solo dirle che nel salutare i miei magistrati ho detto loro di battersi da un lato per la sede giudiziaria, dall’altro di non delegare la vita l’associativa, partecipando invece in prima persona. L’Anm è una cosa importante a difesa dei magistrati. È sbagliato delegare tutto a mestieranti dell’associazionismo giudiziario. Vicende come queste incrinano tantissimo la fiducia dei cittadini nella Giustizia. Passa un messaggio negativo e si oscura invece il lavoro di tantissimi altri magistrati che agiscono nel bene e in silenzio».

Un’indagine che ricorda con orgoglio e un errore che rimprovera a se stesso.
«Tutte le indagini sono importanti, da quelle senza clamore a quelle con un risvolto mediatico maggiore. Per tutte c’è stato massimo impegno, dalla Dda al pool sui reati economico-finanziari al pool sulla repressione degli abusi sessuali a tutela di fasce deboli, donne e minori, tutti abbiamo lavorato con discrezione riservatezza e impegno massimo».

Un consiglio al suo successore?
«Ero in Procura generale presso la Cassazione quando dei colleghi mi hanno suggerito di candidarmi per la guida della Procura di Bari. L’ho fatto con amore e convinzione e perché mi avevano detto che qui avrei trovato qualità professionali e umane eccellenti sia dei colleghi, sia del personale amministrativo, sia della classe forense, uno dei Fori tra i migliori in Italia per equilibrio, qualità, competenza e moderazione. Ringrazio tutti loro perché effettivamente era esattamente come i colleghi mi avevano anticipato. Quanto al consiglio da dare al mio successore, ne darei solo uno: chiamerei ciascuno semplicemente per dire loro “Non vi conviene…”».

fonte: Giovanni Longo – www.lagazzettadelmezzogiorno.it    (foto Luca Turi)

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