Il manifesto e la verità, d’Ingeo scrive a Brattoli

di Lorenzo Pisani
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www.molfettalive.it

Sembra essere qualcosa di più che un tormentone, il manifesto a firma di Cristofaro Brattoli affisso venerdì in dieci punti della città. 


Il killer del sindaco Gianni Carnicella, ferito a morte il 7 luglio 1992 all’uscita del Comune, ha pubblicamente chiesto sui muri della città verità e promesso di svelare tra un anno nomi e retroscena ancora oggi avvolti nel mistero. Ma questo manifesto inevitabilmente ne aggiunge altri. Chi ne ha curato la grafica? Chi lo ha stampato? Chi è l’autore delle foto che ritraggono Brattoli penitente davanti alla tomba e al monumento funebre del primo cittadino? 

Interrogativi che si aggiungono al mistero dei due personaggi individuati dai puntini di sospensione. Un’enigmatica “persona X” e un “don”, che sono stati invitati pubblicamente a riferire la verità a Matteo d’Ingeo

Ed è proprio il coordinatore del Liberatorio politico, erroneamente indicato sul manifesto come giornalista, a rispondere a Brattoli con una lettera aperta

Mentre la procura di Trani è al lavoro, su segnalazione dei Carabinieri di Molfetta, sull’episodio che ha gettato più di un’ombra su questa fine di estate, d’Ingeo si rivolge all’assassino di Carnicella da «semplice cittadino da sempre impegnato come volontario della cittadinanza attiva». 

«Sorprende – commenta – il modo in cui, lui, abbia voluto coinvolgermi, quasi fossi depositario e custode fedele dei tanti segreti della vita politica molfettese degli ultimi 20 anni; sorprende anche il comportamento di taluni “giornalisti” che, pur di non riportare il mio nome, pur scritto sul manifesto, hanno recuperato dai loro archivi le sigle di movimenti e associazioni che il sottoscritto ha orgogliosamente rappresentato e rappresenta ancora oggi». 

«Questa città, anche se in tanti non lo vogliono accettare, è morta insieme al suo sindaco quel pomeriggio del 7 luglio 1992. Ed è proprio quella “verità”, invocata dallo stesso Brattoli nel suo manifesto pubblico, che dobbiamo cercare e svelare». 

La verità, sottolinea, «è nei fatti che conosce solo Cristofaro Brattoli». 

«Pertanto se costui vuole convincerci del suo “pentimento” dovrebbe veramente fare il primo passo perché, a dire il vero, ad oggi, di passi non ne abbiamo visti e il manifesto non lo si può considerare tale. Se vuole pentirsi deve mostrare con i fatti concreti il suo pentimento e l’unica cosa da fare è raccontare la verità senza attendere l’anno prossimo». 

Quella verità che, continua d’Ingeo, Brattoli dovrebbe raccontare al capo della procura«senza i vuoti di memoria che ha avuto durante il processo del 1993». 

A cominciare dal ruolo che ebbe assieme agli altri organizzatori del concerto di Nino D’Angelo, una società composta per l’occasione in cui comparivano alcuni nomi della mala locale e un politico poi divenuto consigliere comunale – ironia della sorte – proprio in sostituzione del sindaco ucciso. 

«Qual era – si chiede d'Ingeo – il vero obiettivo dell’organizzazione di quel concerto e con quali soldi lo si finanziava? Oltre ad essere imprenditore di fiducia del comune di Molfetta, che attività svolgeva in quegli anni, tra la Puglia, Calabria, Campania e Sicilia e perché girava armato?». 

Ombre che ritornano da un passato archiviato dalla classe politica forse troppo in fretta. Brattoli al Comune era di casa, come da lui stesso affermato, gestiva un’impresa di spettacoli. Nel 2006 è tornato alla ribalta della cronaca per le minacce al candidato sindaco Lillino Di Gioia, per le quali lo scorso aprile è stato assolto in appello dopo una condanna in primo grado a dieci mesi. 

Oggi lo si può incontrare lungo le spiagge del Gavetone vietate alla balneazione, dove al suono di una campana richiama i bagnanti per la vendita di bibite. Affollato il suo chiosco mobile. Frequentato è anche il gazebo nei pressi della basilica della Madonna dei Martiri, lo scorso anno al centro di una polemica per il rinnovo della licenza. Quello sparo per i molfettesi è solo uno sbiadito ricordo. 

E sbiadita, anzi, appassita, è l’immagine del monumento innalzato sul luogo dello sparo. Una fioriera che ogni anno, passata la commemorazione e le belle parole del politico di turno, torna ad essere abbandonata a sé stessa. Immagine di una città anch’essa presa a fucilate quel 7 luglio.

 

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