Il giorno della sentenza: «A Trani c’era un sistema criminale»

Il Rolex Daytona che sarebbe stato regalato a Nardi in cambio di un intervento (mai avvenuto) sui giudici di appello. La ristrutturazione della villa di Trani e della casa di Roma dell’ex gip. E i viaggi e i regali che il magistrato, arrestato a gennaio 2019, avrebbe chiesto o preteso per aiutare l’imprenditore Flavio D’Introno a tirarsi fuori dai suoi guai giudiziari.

Ed è intorno alla credibilità di D’Introno che si gioca una buona parte del processo all’ex gip in cui, stamattina il Tribunale di Lecce dovrebbe emettere la sentenza. La Procura ha chiesto per Nardi una condanna a 19 anni e 10 mesi e ritiene di aver ricostruito un «sistema»: a Trani – almeno fino al 2018 – c’era un gruppo di magistrati che approfittava delle indagini per monetizzare.

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«Testimoni come Ferri e Casillo – ha detto il pm Roberta Licci nel corso della requisitoria – hanno raccontato in udienza fatti abbastanza gravi, e solo il decorso del tempo non ha consentito di approfondire le vicende che sono l’imprinting che abbiamo poi ritrovato in tutta questa vicenda. Si contrabbanda la libertà personale, la dignità personale, per ragioni di interesse».

Il riferimento è alle vicende delle due famiglie di imprenditori, Ferri e Casillo, che hanno raccontato di aver pagato per uscire dal carcere a seguito di indagini della Procura di Trani.

Quella sui giudici Nardi, Savasta e Scimè (gli ultimi due già condannati in abbreviato), è stata «una indagine estremamente complicata perché caratterizzata da omertà continue e paure. Il danno maggiore fatto dai protagonisti di questa vicenda è stato di incrinare la fiducia nella giustizia.

Se Ferri e Casillo sono venuti oggi a raccontare le loro storie è perché prima non se la sono sentita di farlo. Ferri mi ha raccontato in una pausa di udienza che si è sentito dire “a te chi te lo fa fare a raccontare queste cose che nemmeno ti puoi costituire parte civile”».

Dunque, il sistema: «Ci sono imprenditori in guai giudiziari che vengono individuati. Michele Nardi, che gestisce questa situazione, si propone dapprima come consigliori, “mi leggo le carte”, “ti do un consiglio”, e piano piano si inizia con le millanterie e contattare colleghi che di quelle vicende si possono occupare. Ed è quello che è avvenuto in questo processo» con Flavio D’Introno, l’imprenditore che ha detto di aver pagato 3 milioni di euro (per la Procura di Lecce è un complice, non una vittima) con lo scopo di evitare la condanna per usura che sta scontando in questi mesi.

La Licci ha parlato di un «sistema di corruttela in ambito giudiziario portato avanti con una sequela di delitti finalizzati all’unico scopo di profitto. Nardi e Savasta hanno rapporti antichi. Nardi non svolgeva più funzioni a Trani da molti anni ma sicuramente ha mantenuto rapporti molto stretti in quell’ufficio, con Savasta ma anche con altri: abbiamo tutta una serie di chat intercorse con Scimè, Savasta, Capristo. Nardi aveva interesse a rientrare a Trani. Quando da le dimissioni al ministero (da ispettore, ndr) manda comunicazioni al Csm e chiede costantemente di rientrare perché ha interesse in quel territorio».

E di Nardi ha detto che «ha attitudini all’individuazione di imprenditori solidi».
Nardi ha smentito tutto, si è proclamato innocente e ha parlato di bugie da parte di D’Introno. Il suo difensore ha chiamato come testimone anche l’ex procuratore di Trani, Antonino Di Maio, che ha «escluso che Nardi si sia mai presentato in Procura nel periodo in cui c’ero io». Di Maio, che ha lasciato Trani dopo che la sua nomina è stata annullata (per la seconda volta) dalla giustizia amministrativa, ha parlato del contesto in cui si ritrovò come un ripiego, in quanto la sua prima scelta era una sede giudiziaria più vicina a Roma. «La Procura di Trani, ho scoperto mio malgrado, era complicata e di difficile gestione per varie ragioni. Dal mio arrivo ho cercato di dare maggior rigore possibile anche alle visite esterne, tanto che misi un carabiniere all’ingresso dell’ufficio per avere un minimo di filtro che prima non c’era».

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E sulla nomina alla guida dell’ufficio: «Con somma sorpresa seppi che nove colleghi in graduatoria prima di me per anzianità, compreso il procuratore di Foggia e l’aggiunto Giannella, avevano rinunciato nel giro di qualche giorno. Poi ho capito il perché».

fonte: MASSIMILIANO SCAGLIARINI – www.lagazzettadelmezzogiorno.it

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