di Onofrio Romano – www.ilponterivista.com
Il risultato delle politiche 2013 per il centrosinistra in Puglia assume un significato particolare. La regione ambiva al ruolo di laboratorio nazionale; si offriva al governo Bersani venturo come best practice da replicare a Roma, con quel passo in più di radicalità che sembrava difettare alla coalizione.
Ha destato impressione il dato del Pd pugliese. Al di là della delusione rispetto ai pronostici, l’Istituto Cattaneo ci ha rivelato che, nel confronto con le politiche del 2008, è andato perduto quasi il 45% dei consensi. In Puglia, il partito ha conosciuto il tasso di arretramento più elevato d’Italia. Leggere i dati sotto questa luce può essere tuttavia fuorviante, come sempre accade quando si illumina un solo punto della scena senza inquadrare lo sfondo. Allargando lo sguardo, infatti, si scoprono ben altri fattori d’allarme su cui varrebbe davvero la pena puntare l’attenzione.
Il confronto con le politiche del 2008 va valutato alla luce della situazione politica del tempo (il Pd veltroniano a “vocazione maggioritaria”, traumatizzato dalle vicende Turigliatto-Mastella). Non è un caso che all’interno dello schieramento (non coalizzato) di centrosinistra, il Pd abbia assorbito da solo in quell’occasione l’80% dei consensi. Un peso artificiosamente gonfiato dal voto utile. La forza elettorale del centrosinistra resta sostanzialmente invariata rispetto alle consultazioni elettorali del periodo (di qualsiasi genere e livello), ma in questa occasione essa viene quasi per intero catalizzata dal Pd. Nei due appuntamenti elettorali successivi (europee del 2009 e regionali del 2010), infatti, scomparendo questo fattore spurio e aggiungendosi intanto la novità politica di Sel, il Pd conosce un deciso abbattimento del suo peso relativo all’interno del centrosinistra, passando dall’80 al 51% (europee 2009) e al 45% (regionali 2010). In condizioni normali, ovverosia senza i pistoni della vocazione maggioritaria e del trauma della “inaffidabilità delle minoranze”, il numero di elettori del Pd si attesta sempre al di sotto dei 450.000.
Ma queste considerazioni varrebbero per tutta l’Italia. Come spiegare, allora, il record negativo del Pd pugliese?
- La domiciliazione in regione del principale concorrente interno (Sel e il suo leader);
- la parabola discendente dell’intero centrosinistra pugliese.
Sel non era ancora nata nel 2008. A partire dal 2009, occupa uno spazio elettorale ben più ampio che in qualsiasi altro posto. E’ soprattutto questa presenza forte dentro lo schieramento di centrosinistra che penalizza il Pd pugliese nel confronto con le altre regioni quando si assume a termine di comparazione le politiche del 2008. Paradossalmente, nonostante il disastro generale del centrosinistra e il ciclone grillino, il Pd “tiene”: rispetto alle regionali del 2010, infatti, perde solo 2.495 voti (da 410.395 a 407.900), ossia lo 0,6%. E il suo peso relativo nello schieramento di centrosinistra (Ingroia compreso) sale di ben 17 punti, dal 45 al 63%. Sel è invece scivolata da 193.604 a 144.373 voti, -25%. Se si sommassero ai voti di Sel del 2010 quelli della lista “La Puglia per Vendola”, direttamente collegata al leader di quel partito, ossia altri 109.382 voti, l’ammanco di consensi per il Governatore ammonterebbe a oltre il 50%. Operazione per molti versi abusiva poiché, certo, la lista in questione era esplicitamente collegata alla figura del leader e non al suo partito. Ma il punto di fondo (su cui torneremo più avanti) è proprio questo: quanto la leadership di Vendola ha contribuito a spostare la sensibilità politica dei pugliesi verso la sinistra, a prescindere dall’attaccamento alla sua persona?
Lo scivolone elettorale odierno rispetto alla tornata cronologicamente più vicina che ha interessato l’intero elettorato pugliese (le regionali del 2010) riguarda tutto il centrosinistra pugliese, ma il contributo specifico offerto alla sconfitta dai due principali alleati è ben diverso, come mostrano chiaramente la tabella e il grafico. A fronte del restringimento dell’area del centrosinistra di quasi il 30%, il Pd resiste, cedendo solo lo 0,6%.
Regionali 2010 | Politiche 2013 | |
Pd | 410.395 | 407.900 |
Sel | 193.604 | 144.373 |
Liste vendoliane (Sel+PpV) | 302.986 | 144.373 |
Centrosinistra | 905.592 | 637.954 |
Ora, messa da parte la stucchevole gara a “chi perde di più” tra i due alleati, occorre soffermarsi su un unico, incontrovertibile dato: la parabola discendente del centrosinistra tutto in Puglia, a partire dalla sua ascesa al governo regionale.
Il dato del 2005 è particolarmente significativo e non solo perché segna l’avvio dell’era Vendola. Innanzi tutto, i due schieramenti si presentano a ranghi compatti: sostanzialmente, tutte le forze del centrosinistra sono ricomprese nella coalizione che sostiene Vendola e tutte le forze del centrodestra si coalizzano attorno a Fitto (una situazione che non si ripeterà più di lì ad oggi). In secondo luogo, le due squadre realizzano un risultato di sostanziale pareggio: poco più di 1.060.000 voti ciascuno. Quello del 2005 può dunque essere considerato una sorta di blocco di partenza, rispetto al quale è possibile apprezzare meglio la corsa delle due grandi aree politico-culturali negli anni successivi. Questo è il quadro complessivo:
Regionali 2005 |
Politiche 2008 |
Europee 2009 |
Regionali 2010 |
Politiche 2013 |
|
Centrodestra |
1.062.753 |
1.370.285 |
1.140.635 |
1.060.905 |
959.094 |
Centrosinistra |
1.065.752 |
955.486 |
873.030 |
905.592 |
637.9 |
A partire dal 2005, la forbice tra centrodestra e centrosinistra (seppure, lo ribadiamo, non più internamente compatti) si allarga progressivamente a favore del centrodestra, il cui bacino resta sostanzialmente invariato (indipendentemente dal tipo di elezione), con un picco all’insù nel 2008. Il centrosinistra conosce una progressiva erosione, che diventa autentico tonfo nell’ultima tornata, in coincidenza con l’avvento del M5S. Il grafico rappresenta eloquentemente la divaricazione.
Insomma, il punto di fondo è che in tutti questi anni e a prescindere dall’ultim’ora grillina, il governo regionale non è riuscito a spostare a sinistra la sensibilità politica dei pugliesi.
L’area del centrosinistra non solo non si è allargata, ma si è sensibilmente ristretta, mentre l’egemonia della destra in regione è rimasta intatta. L’unico effetto di rilievo è stato un travaso di voti, tutto interno al centrosinistra, dal Pd a Sel. L’esito politico-elettorale del modello Puglia è dunque un centrosinistra un po’ più piccolo e un po’ più radicale (ammesso che tale possa essere considerata la proposta di Sel). E’ questo frutto specifico del laboratorio pugliese che spiega, al netto del trend nazionale, il record negativo del Pd locale. Ed è solo il Pd a fare oggi da cartina di tornasole della disfatta generale, per la sola ragione che è l’unico partito del centrosinistra per il quale sia possibile effettuare il confronto con il 2008. Guardare il solo risultato del Pd, come si sta facendo nel dibattito post-elettorale, equivale a guardare il dito e non la luna.
Il caso pugliese, in questo senso, continua a fare da laboratorio nazionale: qui è possibile vedere più limpidamente che altrove alcuni dei principali deficit culturali, organizzativi e politici che affliggono il centrosinistra italiano. Occorre chiedersi come mai un’esperienza di governo regionale i cui positivi risultati amministrativi sono attestati dai principali indicatori socio-economici non abbia conquistato gli elettori. La “buona politica” ha fatto breccia fuori dai confini regionali e persino da quelli nazionali, ma qui i pugliesi non ne hanno evidentemente sperimentato un beneficio tangibile. Perché è accaduto? E quali sono le soluzioni? Come si fa a “radicare” il cambiamento?
Questo è il punto. Ed è su questo punto che dovrebbe focalizzarsi un dibattito costruttivo all’interno del centrosinistra (di tutto il centrosinistra). Il rischio è invece che l’invocazione di roghi sommari e il rimpianto per le vecchie ricette faccia fare a tutti un ulteriore balzo all’indietro. La sconfitta elettorale verrebbe in questo caso elevata al quadrato dai suoi falsi rimedi. Ciascuno in questo momento accampa il proprio “l’avevo detto io”. Invece di aprirsi al dialogo e alla discussione, ci s’incarognisce nelle proprie convinzioni di sempre. Occorre evitare di lasciarsi trascinare nel clima generale di sfascismo. Occorre lucidità, riflessione, confronto. E soprattutto umiltà: la ricetta in tasca non ce l’ha nessuno.
Noi riteniamo sia mancata qualsiasi forma di connessione tra il lavoro condotto dentro le istituzioni e le istanze dei cittadini. Il governo regionale si è ritagliato uno spazio d’azione del tutto orbitale rispetto alla “carne” dei pugliesi. Ha coltivato le sue best practice (premiate ovunque in Europa e nel mondo) in una sfera celeste che si è intersecata poco o punto con la terra di Puglia (questa intersezione non può certo passare per una tacca in più di occupazione o di export). E’ mancata un’organizzazione politica che permettesse di collegare, di tenere assieme, di far co-evolvere la visione politica espressa dal governo e i bisogni dei cittadini. Un’organizzazione politica che, in una regione tradizionalmente orientata a destra, potesse, da un lato, raccogliere e organizzare le istanze dei pugliesi, dall’altro contribuire al riverbero, alla diffusione capillare, al radicamento della visione espressa dal governo di centrosinistra. Solo questo avrebbe permesso di “consolidare il cambiamento”, di contaminare i pugliesi con un’altra cultura politica, di fare egemonia.
Ha prevalso invece un altro modello. Una scorciatoia, a nostro avviso. In assenza di un radicamento dei corpi collettivi sul territorio, il reperimento del consenso a beneficio del “governo orbitante” è stato delegato da un lato al leader carismatico, dall’altro ai detentori di bacini personali di voti. Le elezioni regionali del 2010 hanno dato buon saggio di questa impostazione. Con una formula, potremmo dire: Fabbriche di Nichi + Canonico. Già allora, la vittoria – ottenuta solo grazie alla divisione interna nel centrodestra – ha oscurato l’arretramento del centrosinistra di circa 14,5 punti rispetto al 2005. Non c’è alcuna possibilità che una cultura politica possa radicarsi con queste modalità. Chi vota in virtù di un “attaccamento personale” al leader o al singolo candidato, prescinde da ogni considerazione politica. Vendola costituisce la prova provata che il carisma si consuma. E’ materia altamente volatile. In ogni caso, una volta che va via il leader, sul terreno non rimane nulla (come dimostra Berlusconi, che quando ha provato ad abdicare ha visto i consensi al Pdl cadere in picchiata).
Il dibattito in corso preme per un deciso ritorno a questa formula, a questa scorciatoia. Sarebbe fatale. Potrebbe anche, nell’immediato, funzionare. Ma non è detto che quello che funziona sia anche giusto e benemerito. Una sinistra fondata sull’illusione della liquidità e sulla solidificazione del potere attorno al leader e ai suoi pretoriani non è una sinistra. Né la cosa di risolve cancellando i dirigenti di partito (i famosi apparati: ce ne fossero!) e dando tutto il potere ai capobastone locali. Né la cosa si risolve governando meglio e in maniera più efficiente.
Occorre invece ribaltare l’impostazione giacobina che ha ispirato il governo regionale. Giocarsi il tutto per tutto nel tempo che residua, indirizzando le velleità novatrici verso la sperimentazione di forme organizzate di riconnessione tra le vite delle persone e gli strumenti della sovranità a disposizione delle istituzioni. Questa è l’unica strada che permette di radicare il cambiamento. Questo è l’unica via democratica e di sinistra.
“L’avevo detto, io”…