
Bari, la lettera dal carcere del figlio del boss Strisciuglio (incensurato): ammette la compravendita di consensi ma esclude che c’entri la mafia – fonte: Isabella Maselli – www.lagazzettadelmezzogiorno.it
«Con Olivieri mi accordai per reperire voti in favore di Maria Lorusso e in cambio mi avrebbe dato un posto di lavoro per mia madre. Per la campagna elettorale avrei utilizzato le mie conoscenze sul quartiere San Paolo anche grazie alla mia parentela. Inizialmente ricevetti un assegno di 20mila euro per retribuire le persone che avrebbero votato per Olivieri. Subito dopo questo assegno fu restituito in cambio di buoni di benzina che utilizzai per la campagna elettorale dandoli a coloro che mi promettevano di votare».
Sono le parole di Gaetano Strisciuglio, 34enne figlio del boss del quartiere Libertà di Bari, «Franco la Luna», storico reggente con i fratelli Domenico e Sigismondo dell’omonimo clan. Strisciuglio, finito in carcere il 26 febbraio scorso nel blitz «Codice Interno» della Dda di Bari nel quale si contesta, tra le altre cose, il presunto voto di scambio politico mafioso orchestrato dall’ex consigliere regionale Giacomo Olivieri per fare eleggere la moglie Maria Carmen Lorusso (eletta al Comune di Bari a maggio 2019), è stato scarcerato qualche giorno fa ottenendo i domiciliari, dopo le dichiarazioni fatte di suo pugno. Dichiarazioni in cui ha ammesso la compravendita dei voti alle amministrative baresi di cinque anni fa.
In una breve lettera autografa Strisciuglio (difeso dall’avvocato Giuseppe Giulitto) ha spiegato di aver «conosciuto Olivieri tramite Michele Nacci, anche questo candidato alle elezioni del maggio 2019». Nacci, anche lui arrestato a febbraio (come Olivieri, tuttora detenuto in carcere, e la moglie Lorusso, ai domiciliari) e candidato in tandem con Lorusso – è risultato primo dei non eletti – è il genero di Bruna Montani, cugina del capoclan del San Paolo, Andrea detto «Malagnac».
Nell’ammettere di aver aiutato Olivieri e la moglie ad accaparrarsi voti in cambio di denaro e buoni benzina, Strisciuglio (che è incensurato) ha di fatto confermato quello che anche l’ex consigliere regionale aveva raccontato agli inquirenti antimafia: quei consensi elettorali sarebbero stati comprati, ma senza bisogno di ricorrere all’intimidazione mafiosa. O almeno questo è ciò che gli imputati (tutti ormai a processo) sostengono da tempo, tentando di convincere anche i giudici che la mafia, nella vicenda, non abbiamo avuto alcun ruolo. L’accusa nei loro confronti è invece proprio di aver accettato la promessa di quei voti nella consapevolezza che provenissero da soggetti appartenenti o comunque contigui ai clan.
Sul punto si attendono le motivazioni della Cassazione, che ha annullato con rinvio il «no» del Riesame di Bari alla scarcerazione di un altro dei presunti sodali di Olivieri. Si tratta di Michele De Tullio, alias «Sotto ghiaccio», zio di Tommaso Lovreglio (nipote acquisito del boss Savino Parisi), e come lui ex dipendente Amtab: sono ritenuti l’interfaccia di Olivieri per l’acquisto di voti dal clan di Japigia. La Suprema Corte potrebbe esprimersi sulla sussistenza della «mafiosità» oppure solo sulle esigenze cautelari.
La Cassazione nelle scorse settimane aveva già annullato alcuni altri provvedimenti. Nel caso di Giuseppe Sette, 51enne di Altamura, i giudici hanno annullato senza rinvio l’ordinanza di custodia cautelare. Nelle motivazioni spiegano che l’accoglimento del ricorso riguarda solo le esigenze cautelari, confermando i gravi indizi. Sette non risponde di voto di scambio mafioso ma di turbativa d’asta mafiosa con riferimento ad un’asta immobiliare che sarebbe stata pilotata per favorire uomini ritenuti vicini al clan Parisi di Japigia. Per Sette la Suprema Corte ha ritenuto cessate le esigenze cautelari: essendo una persona esterna al clan, la «presunzione relativa di pericolosità» deve tener conto della «significativa distanza temporale dai fatti, ben oltre cinque anni». Non solo. La Cassazione richiama giurisprudenza in base alla quale «se è vero che anche per il concorso esterno in associazione di stampo mafioso, scatta la presunzione relativa di pericolosità in ordine alle esigenze cautelari, in quanto esso integra, pur sempre, una partecipazione nel reato associativo e, comunque, persegue, quanto meno, “il fine di agevolare l’attività” di quel genere di sodalizi, è altrettanto incontrovertibile che siffatta presunzione, oltre ad avere carattere relativo, va giudicata secondo parametri diversi da quelli dettati per l’associato, atteso che l’assenza» della affiliazione al clan «consente di escludere, in termini certamente meno rigorosi sul piano della relativa valutazione prognostica, il ripetersi della situazione che ha dato luogo al contributo dell’extraneus alla vita della consorteria. Considerazioni, queste, che ancor più radicalmente vanno estese ai reati aggravati» dal metodo e dall’agevolazione mafiosa. Nel caso di Sette, l’esistenza di «rapporti verosimilmente perduranti» con gli esponenti mafiosi è, secondo la Cassazione, «privo di riscontro».