Giustizia truccata, ex gip Nardi: «Non ero amico di Palamara, per questo resto in carcere»

«Sono sempre più convinto che se appartenessi alla corrente giusta non starei in carcere e forse nemmeno siederei sul banco degli imputati». Dalla cella del penitenziario di Melfi dove è rinchiuso, l’ex gip Michele Nardi è passato al contrattacco: il suo arresto – dice il magistrato accusato di associazione per delinquere finalizzata alla corruzione in atti giudiziari – va letto «alla luce di quanto sta emergendo in questi giorni nella vicenda Palamara».

Il processo per la «giustizia truccata» nel Tribunale di Trani riprende stamattina a Lecce con l’audizione di altri tre testimoni. Ma nell’ultima udienza, in videoconferenza, Nardi ha fatto sentire la propria voce per respingere ancora una volta le accuse, ma anche per ribaltare quelle che gli erano state mosse dall’ex pm Antonio Savasta (la cui sentenza in abbreviato è prevista la prossima settimana). Nardi ha insomma ricondotto le sue sventure alla guerra tra correnti che sta avvelenando il Csm. «Il D’Introno – ha detto l’ex gip – ha accusato quattro magistrati. Il Savasta è stato in carcere due mesi, Scimè non è mai stato attinto da misura cautelare, il dottor Seccia non è stato nemmeno sfiorato dall’avviso di conclusione indagini. Guarda caso io sono l’unico iscritto a Magistratura Indipendente (la corrente di «destra» guidata da Cosimo Ferri, ndr). Eppure di questi quattro magistrati io sono l’unico che non ha firmato e non ha sottoscritto alcun provvedimento a favore del D’Introno». Palamara era il leader di Unicost, corrente cui aderiva anche Savasta.

L’accusa mossa a Nardi dalla Procura di Lecce è di aver preso soldi dall’imprenditore coratino Flavio D’Introno per aiutarlo con altri giudici a sfuggire a una condanna per usura (la stessa che ora sta scontando nel carcere di Trani, anche se a breve D’Introno dovrebbe poter accedere ai riti alternativi). Nardi è in carcere da gennaio 2019, il Csm lo ha sospeso e posto fuori ruolo: nella sua cella di Matera ha potuto leggere anche l’ordinanza che il 19 maggio ha portato ai domiciliari il capo della Procura di Trani, Carlo Maria Capristo. «quando si parla del sistema Trani si indicano i dottori Savasta e Scimè come facenti parte di questo sistema, di me non si fa alcun cenno. Aggiungo che da quella indagine emerge chiaramente quali erano i centri di potere della Procura di Trani e io non ne facevo parte».

Nell’indagine di Potenza condotta dal procuratore Francesco Curcio è stato chiesto ad alcuni ex colleghi di Capristo quali fossero i rapporti dell’allora capo di Trani con Savasta e Scimè. Tutti elementi che, nella lettura di Nardi, smentiscono l’«intervento protettivo su Savasta da parte del sottoscritto», e «fanno crollare miseramente, ancora una volta e per l’ennesima volta, il narrato accusatorio nei miei confronti fatto da Savasta: la mia posizione di preminenza, la possibilità di depistare le indagini, le assegnazioni e tutte le stupidaggini che finora in modo acritico la Procura ha raccolto anche dal D’Introno e ha riversato su di me». È dal 2006, ricorda Nardi, che viveva a Roma. «Io non comandavo nulla a Trani, non ho deciso nulla, non ho adottato alcun provvedimento, non ho speso i miei buoni uffici a favore di Savasta, non ho concorso alla nomina del dottor Capristo quale procuratore capo». Tutto questo per criticare anche l’approccio dell’accusa, per aver portato in aula come testimoni due imprenditori (Casillo e Ferri) che hanno raccontato di richieste di denaro da parte dei giudici tranesi: episodi però prescritti da tempo. «Quando l’accusa introduce le cosiddette “prove di contesto” – secondo Nardi – è perché non ha prove conclusive di colpevolezza», e questo violerebbe «la regola fondamentale del garantismo, cioè il ragionevole dubbio».

Tuttavia l’accusa ha portato in aula anche il gip tranese Maria Grazia Caserta, che – in una audizione a porte chiuse – ha ripercorso i circa due anni e mezzo di frequentazione con Nardi. Raccontando, tra l’altro, di aver scoperto da una foto rubata che l’ex gip era stato a Dubai con D’Introno «esattamente in quei giorni in cui il dottor Nardi mi aveva detto essere andato in Israele (…) per un incarico riservato di cui non mi aveva meglio precisato. Mi faceva capire che aveva dei rapporti con i Servizi», pur essendo questo impossibile per un magistrato. E ha confermato che D’Introno le disse «che da ultimo Nardi gli aveva chiesto 300mila euro per intercedere presso il Collegio di Trani», cioè sui giudici che dovevano decidere il processo di primo grado per usura.

«Le dichiarazioni del dottor Michele Nardi in relazione al dottor Domenico Seccia sono assolutamente infondate». Lo dice in una nota l’avvocato Raul Pellegrini, difensore del magistrato pugliese. «Il dottor Nardi – prosegue la nota – dovrebbe sapere che la magistratura agisce in base all’applicazione delle norme e non per l’appartenenza a correnti. Se il dottor Seccia non è stato sfiorato “nemmeno da un avviso di conclusione delle indagini” è perché le predette indagini non hanno evidenziato a suo carico alcunché di penalmente rilevante, essendo totalmente estraneo ad ogni accusa, che, invece, riguarda altri. Come è del tutto non rispondente a verità che il dottor Seccia abbia, come infondatamente afferma il dottor Nardi, dato luogo a provvedimenti favorevoli a Flavio D’Introno, soggetto che il mio cliente non ha mai conosciuto o visto. Sarebbe il caso che il dottor Nardi dedichi energie alla sua difesa anziché gettare fango su persone estranee a vicende di malaffare, ledendo l’onore e la dignità del mio assistito, anche se è umanamente intuibile che una carcerazione così lunga e drammatica possa avere intaccato la sua lucidità e la sua consapevolezza».

fonte: MASSIMILIANO SCAGLIARINI – www.lagazzettadelmezzogiorno.it

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