Giustizia, software trojan e criminalità mafiosa: il garantismo classista che piace al governo

La riflessione del giudice barese, componente del Csm, dopo le dichiarazioni a “Repubblica” del presidente della Corte d’Appello di Bari, Franco Cassanofonte: Giovanni Zaccaro – bari.repubblica.it

Il presidente della Corte d’appello di Bari, Franco Cassano – intervistato da Repubblica – è, come sempre, molto lucido nell’analisi sullo stato della giustizia. Ha chiuso la sua intervista con un quesito sui limiti dell’utilizzo del captatore informatico (il trojan) al quale gli operatori del diritto non possono sottrarsi. Quale bilanciamento fra l’esigenza di tutela della sfera di riservatezza dei cittadini e quella di accertamento ed eventuale repressione dei reati? Strumenti investigativi come il trojan possono essere utilizzati soltanto per i più gravi reati di criminalità mafiosa oppure anche per i fatti di corruzione?

Il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, sembra volere circoscrivere l’uso del trojan ai soli reati di mafia. Io ho sempre ragionato con le categorie classiche del garantismo: le garanzie sono lo strumento di difesa del cittadino nei confronti dello Stato, se valgono devono valere per tutti: anche per chi è accusato del più efferato dei delitti. Altrimenti le garanzie varrebbero in massima parte per i delinquenti in giacca e cravatta, meno per chi commette reati di strada o di criminalità organizzata: una sorta di garantismo classista che emerge nei primi passi dell’attuale governo.

Purtroppo, oramai, si preferisce operare un bilanciamento degli interessi, ossia verificare se il disvalore sociale di un reato renda tollerabile una maggiore compromissione nella sfera dei diritti individuali: nel nostro caso sarebbe accettabile l’uso del trojan soltanto per i più gravi reati di mafia. Ma anche ragionando così si compie un grave errore di sottovalutazione dei reati di corruzione, che assieme alla evasione/elusione fiscale sono causa del malfunzionamento della pubblica amministrazione italiana e una zavorra per la intera comunità. Si dimentica che da decenni le mafie hanno fatto un salto di qualità e riciclano i proventi illeciti nella economia legale, infiltrano le amministrazioni locali, alterano i risultati elettorali, corrompono, partecipano a incanti, vincono gare, agiscano sul mercato.

Distinguere il reato mafioso classico (che non sia il semplice spaccio di strada o l’estorsione al dettaglio) da quello economico o di pubblica amministrazione diventa cosa ardua e mi pare un errore limitare l’uso dei captatori ai primi, escludendo gli altri. È vero che le mafie sono un anti-Stato da debellare con gli strumenti più avanzati, ma è anche vero che la storia ci insegna che ormai la corruzione è cosa altrettanto grave che incide sui rapporti fra Stati e sullo stesso esercizio della sovranità: ci sono Stati corruttori (come mostra la cronaca di questi gironi); Stati che finanziano partiti e movimenti politici stranieri perché tengano per esempio una certa politica estera; ci sono imprese che corrompono interi apparati statali per ottenere commesse o sfruttarne le riserve naturali; ci sono cartelli fra operatori economici globali che valgono più di una Finanziaria.

Insomma, se proprio si deve ricorrere a una gerarchia dei titoli di reati deve essere ispirata a una ponderata valutazione del danno (anche inteso come numero di cittadini danneggiati) cagionato da ciascun tipo di reato, altrimenti perpetueremmo il paradosso per il quale è più grave il furto (che danneggia il patrimonio della singola vittima) dell’evasione fiscale (che danneggia il patrimonio della collettività). Mentre i sacrosanti valori del garantismo vanno rimessi innanzi tutto alla professionalità del magistrato, all’uso residuale delle misure cautelari, all’uso parsimonioso dei mezzi di ricerca della prova che invadono la sfera privata dei cittadini, alla valutazione prudentissima delle risultanze istruttorie sin dalle primissime fasi di indagini, al riserbo assoluto sulle acquisizioni investigative, al ricorso a un linguaggio sobrio e che rifugga da ogni giudizio di valore, all’utilizzo nelle motivazioni soltanto di quel che serve a provare il fatto storico oggetto del processo rifuggendo da ricostruzioni di sistema o dal coinvolgimento di soggetti terzi. 

di Giovanni Zaccaro, giudice e componente del Csm

Utilizzando il sito o eseguendo lo scroll della pagina accetti l'utilizzo dei cookie della piattaforma. Maggiori Informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo. Altervista Advertising (Arnoldo Mondadori Editore S.p.A.) Altervista Advertising è un servizio di advertising fornito da Arnoldo Mondadori Editore S.p.A. Dati Personali raccolti: Cookie e varie tipologie di Dati secondo quanto specificato dalla privacy policy del servizio. Luogo del trattamento: Italia – Privacy Policy: https://www.iubenda.com/privacy-policy/8258859 Altervista Platform (Arnoldo Mondadori Editore S.p.A.) Altervista Platform è una piattaforma fornita da Arnoldo Mondadori Editore S.p.A. che consente al Titolare di sviluppare, far funzionare ed ospitare questa Applicazione. Dati Personali raccolti: Cookie e varie tipologie di Dati secondo quanto specificato dalla privacy policy del servizio. Luogo del trattamento: Italia – Privacy Policy: https://www.iubenda.com/privacy-policy/8258716

Chiudi