Giustizia, a Bari condanne dopo 23 anni per il narcotraffico dai Balcani

La sentenza di primo grado nel 2013. Un processo lunghissimo che può non essere ancora concluso data la possibilità di ricorrere in Cassazione. Gli arresti risalgono al 1998 nell’ambito dell’operazione “Casa Rossa” che si riferiva al traffico di eroina e cocaina avvenuto tra il ’94 e il ’95. Tra i condannati Vito Martiradonna – fonte: Chiara Spagnolo – bari.repubblica.it

Ci sono voluti 23 anni per arrivare alla condanna di un gruppo che negli anni Novanta gestiva una delle rotte del narcotraffico dai Balcani, facente capo a Vito Martiradonna. Un processo lunghissimo, che potrebbe non essere ancora concluso, considerato che le pene inflitte in Appello possono essere appellate davanti alla Corte di Cassazione. A Bari la giustizia risponde anche così – con i ritmi di una lumaca – alla prepotenza della criminalità. Perdendo pezzi di procedimenti per strada e a volte anche imputati.

Nel processo nato dall’operazione “Casa Rossa“, che nel 1998 portò in carcere 23 persone, infatti, la posizione di uno dei presunti capi, Vito Zappetti, si è estinta per morte. Sarebbe stato lui – secondo le ipotesi dell’allora pm della Direzione distrettuale antimafia Giuseppe Scelsi – a unire a filo doppio i trafficanti della Ex Jugoslavia e i clan locali. Grazie a Zoran Stojanovic, Ljubisa Stojanovic, Alexander Stankovic, invece, tonnellate di eroina e cocaina sarebbero partite dall’altro lato del Mediterraneo per essere poi smerciate dai venditori baresi in tutta Europa.

Vito Martiradonna, detto “Vitin l’Enèl” all’epoca era un giovane rampante nel panorama criminale locale. Già ricercato per la partecipazione al rogo del teatro Petruzzelli (accusa da cui fu poi assolto), ben inserito nel clan Capriati come cassiere del boss Tonino, non disdegnava di occuparsi di sostanze stupefacenti, perché sapeva che da lì potevano arrivare soldi a palate da reinvestire in attività ancora più lucrose.

Già all’epoca, Martiradonna aveva un gran fiuto per gli affari, esercitato nel corso degli anni e messo ulteriormente a frutto con gli investimenti nei videopoker prima e nelle sale delle scommesse sportive dopo, dai quali di recente gli sono piovuti addosso ulteriori guai giudiziari con l’operazione “Scommessa”, che nel 2018 lo ha fatto finire in carcere, poi lo ha costretto a patteggiare la pena e infine gli ha portato via alcuni beni con la confisca disposta dal Tribunale.

Il sospetto della Dda, però, è che i beni a lui intestati in Italia siano solo una piccolissima parte di quelli che possiede e che il suo tesoro si trovi da qualche parte oltreoceano. Dove un giorno potrebbe anche decidere di andare a goderselo, considerato che – nonostante il suo passato criminale – Martiradonna è oggi un uomo libero. Che difficilmente sconterà la condanna inflitta di recente dalla Corte d’appello nel processo “Casa rossa”.

Il nome dell’inchiesta era collegato a quello di un ristorante di Padova nel quale i narcotrafficanti erano soliti riunirsi. L’operazione scattò nel 1998, i fatti contestati risalivano agli anni tra il 1994 e il 1995. Il procedimento giudiziario, tra alterne vicende, è durato dunque 23 anni. Nei quali gli imputati avevano inizialmente ottenuto la libertà a causa della nullità dei decreti che disponevano le intercettazioni e poi erano tornati agli arresti dopo il ricorso della Procura in Cassazione.

Anche il processo era stato un susseguirsi di tecnicismi, intrecciati con rinvii a lungo termine, di mesi e a volte anche di anni, che hanno consentito di arrivare alla sentenza di primo grado soltanto nel 2013, a quindici anni dagli arresti. All’epoca erano stati condannati 12 dei 23 imputati. Dopo il processo d’appello, durato altri 11 anni, le condanne sono sette.

Per Martiradonna la pena è stata ridotta da 15 a 9 anni, un piccolo ritocco è stato fatto anche per Antonio Scaranello, Giuseppe Ranieri e Vito Mastrandrea. La riduzione, però, non è stata ritenuta sufficienti dagli imputati, che avevano rinunciato alla prescrizione nella speranza che i giudici trasformassero il capo di imputazione, attenuandone la gravità. A questo punto, resta da giocare la carta della Cassazione, che potrebbe allungare ancora di qualche anno i tempi di questo processo che, per la sua durata, è già un record.

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