Si muore generalmente perché si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo grande. Si muore spesso perché non si dispone delle necessarie alleanze, perché si è privi di sostegno.
In Sicilia la mafia colpisce i servitori dello Stato che lo Stato non è riuscito a proteggere.
La mafia, lo ripeto ancora una volta, non è un cancro proliferato per caso su un tessuto sano. Vive in perfetta simbiosi con la miriade di protettori, complici, informatori, debitori di ogni tipo, grandi e piccoli maestri cantori, gente intimidita o ricattata che appartiene a tutti gli strati della società.
Questo è il terreno di coltura di Cosa Nostra con tutto quello che comporta di implicazioni dirette o indirette, consapevoli o no, volontarie o obbligate, che spesso godono del consenso della popolazione.
Perché una società vada bene, si muova nel progresso, nell'esaltazione dei valori della famiglia, dello spirito, del bene, dell'amicizia, perché prosperi senza contrasti tra i vari consociati, per avviarsi serena nel cammino verso un domani migliore, basta che ognuno faccia il suo dovere
La mia grande preoccupazione è che la mafia riesca sempre a mantenere un vantaggio su di noi.
Il coraggioso muore una volta, il codardo cento volte al giorno.
Gli uomini passano, le idee restano. Restano le loro tensioni morali e continueranno a camminare sulle gambe dei grandi uomini.
Il ricordo di Falcone.
Le ipocrisie del governo.
di Roberto Morrione (Liberainformazione)
Da 18 anni, il 23 maggio,il grande albero davanti a casa Falcone a Palermo si riempie di messaggi rivolti all’uomo che, insieme con Paolo Borsellino, più rappresenta nell’immaginario degli italiani il sacrificio di chi è morto in nome dello Stato per difendere la democrazia dal potere criminale. La strage di Capaci, come due mesi dopo quella di Via D’Amelio, sono al centro di cerimonie, testimonianze, manifestazioni sincere e commosse di tanti giovani e giovanissimi, chiamati a conoscere e a non dimenticare da associazioni civili, magistrati, forze di polizia, amministratori pubblici, artisti, operatori dell’informazione. Come è giusto nei confronti di chi ha dedicato la propria vita, fino a perderla, per cercare di costruire un’Italia pulita, omaggio di chi cerca ogni giorno di tenere viva la memoria di quegli uomini, caduti insieme con le loro generose scorte per difendere la libertà e l’eguaglianza sancite dalla Costituzione.
Dopo le cerimonie molti ritorneranno nelle scuole, nei municipi, nelle assemblee elettive grandi e piccole, nelle strade delle città e nei territori ancora dominati dal sistema mafioso e dagli interessi di varia natura che lo sorreggono, per continuare a combattere la stessa guerra un po’ più ricchi dentro, più consapevoli. Quella data è dunque un’icona, che è però intrisa anche di ufficialità governativa pseudo-istituzionale, dell’effimera presenza di personalità oggi al potere che con quelle battaglie non hanno alcunché da spartire, che a quegli ideali non credono. Nella disattenzione o nella voluta indifferenza dei giornali e dei notiziari radiotelevisivi aggregati al circo mediatico di Palazzo Chigi, le frasi retoriche pronunciate dinanzi a una lapide saranno rapidamente rimpiazzate da corposi interessi , volti a proteggere in Parlamento e nel Paese un sistema di affari illeciti, di corruzione, di privilegi, un sottopotere privo di regole e di etica, demolendo proprio alcuni dei pilastri di quella Costituzione per la quale Giovanni Falcone e con lui tanti veri servitori dello Stato furono massacrati.
Nè con le leggi “ad personam” d’impronta incostituzionale a protezione dei guai giudiziari del premier, né tanto meno con il disegno di legge sulle intercettazioni portato avanti a ogni costo dal governo, fino a sedute notturne della commissione Giustizia in un Parlamento privo di lavoro legislativo, paralizzato dall’incuria di un Esecutivo volto solo all’obiettivo di limitare pesantemente l’autonomia giudiziaria dei PM contro il crimine, in prima linea quello mafioso e il diritto-dovere della libertà di stampa a tutela della sicurezza dei cittadini, del loro diritto a conoscere tutti gli aspetti della realtà in cui vivono. Possono essere credibili, nel ricordo di Giovanni Falcone, i rappresentanti di un governo che ha al suo interno un sottosegretario di cui è stato inutilmente chiesto l’arresto per documentate complicità con clan della camorra o che nonha sciolto il Comune di Fondi dominato dalle mafie, come richiesto dal Prefetto (peraltro poi rimosso) o che ha dato il via a uno scudo fiscale senza reali controlli della provenienza di capitali illegali portati all’estero? Né possono essere ignorate le ripetute invettive del premier contro le Procure che tengono accese le luci sulle stragi degli anni ‘90 e sull’oscura trattativa che avvolse allora i capi di Cosa Nostra e settori deviati dello Stato, né gli attacchi che di tanto in tanto, come una sorta di “moto dell’anima”, rivolge agli intellettuali che scrivono o realizzano prodotti televisivi sulla mafia, a partire da Roberto Saviano.
Di fronte, ironia del destino, proprio alle fiction su Falcone e Borsellino realizzate da Mediaset, come gli ricordò sarcasticamente Michele Placido, protagonista della vituperata “Piovra”…E cosa fa infine il governo di fronte all’intensificarsi di rivelazioni ed indizi che confermano la non casuale né accessoria presenza di mani e menti dei servizi segreti in oscure vicende, a partire dal fallito attentato dell’Addaura, che sfociarono nelle stragi di Capaci e di Via D’Amelio ? E’ certo un pensiero maligno, ma alcune ipocrite commemorazioni ricordano un po’ ciò che accadeva dopo delitti di mafia nella sanguinosa guerra che ha seminato di morti la Sicilia e altre regioni del Sud, quando – e ci sono su questo precise testimonianze – fra le prime telefonate di cordoglio c’era immancabilmente quella del mandante.
Resta infatti la realtà del tanto che ha saputo seminare e di cui tutti noi abbiamo oggi e avremo presto ancora di più un grande bisogno: la voglia di libertà, l’onestà intellettuale, la capacità di respingere ogni ipocrisia. Così scriveva Giovanni Falcone insieme con Marcelle Padovani in “Cose di Cosa Nostra”, sei mesi prima di morire: «Non mi si vorrà far credere che alcuni gruppi politici non si siano alleati a Cosa Nostra – per un’evidente convergenza di interessi – nel tentativo di condizionare la nostra democrazia, ancora immatura, eliminando personaggi scomodi per entrambi».
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