Giovani boss armati nei locali. “Lì trovano il loro palcoscenico. I gestori? A volte conniventi”

Si atteggiava a «giovane boss» il ventenne Eugenio Palermiti, quando la notte del 22 settembre 2024 entrò nella discoteca Bahia di Molfetta alla testa di un gruppo di cui faceva parte la 19enne Antonella Lopez. Aveva con sé una pistola che non riuscì a tirare fuori quando Michele Lavopa gli sparò addosso, colpendo al suo posto la ragazza che morì sul colpo. L’atteggiamento mafioso non era recita di una sera — ha scritto il tribunale del riesame nell’ordinanza con cui ha negato a Palermiti la scarcerazione per l’accusa di detenzione di arma — ma il modo di vivere che lo accomuna ad altri rampolli dei clan baresi, che hanno fatto dei locali notturni il loro palcoscenico e dei social network l’amplificatore delle loro gesta.

Nel provvedimento dei giudici (presidente Giovanni Anglana, Marco Galesi e Arcangela Roma- nelli) c’è la nuova testimonianza giudiziaria di un fenomeno estremamente preoccupante, che sta facendo uscire l’emergenza mafia dall’ambito dei quartieri di riferimento dei clan e lo trasforma in un pericolo costante per i cittadini, soprattutto quelli più giovani. «È emersa una tendenza a recarsi armati nei locali notturni — è scritto — a scopo intimidatorio o per essere pronti a fronteggiare eventuali avversari». E non lo fanno soltanto figli e nipoti dei boss, ma anche ragazzi non intranei alle famiglie criminali come Michele Lavopa. Che in discoteca era andato con una Beretta acquistata su Telegram e pagata 1.200 euro. Rispetto a tale fenomeno il Riesame ha ribadito che forti sono le responsabilità dei gestori dei locali, definiti «tolleranti e qualche volta conniventi». Secondo i collaboratori di giustizia, ciò che succede è ormai noto a tutti. Ma l’arroganza dei giovani con la pistola nessuno riesce a fermarla. E anche in tal senso, ciò che accadde i 22 settembre è esemplificativo. Palermiti arrivò al Bahia con una comitiva, nessuno pagò il biglietto, «Spostati che devo entrare», disse al vigilante che cercava di fermarlo. E quello si spostò. «I buttafuori non hanno esitato a lasciarli entrare – scrivono i giudici — intimiditi dalla notoria appartenenza alla famiglia mafiosa». E ancora: «Quella notte Palermiti è riuscito a imporre la propria presenza alla serata intimidendo gli addetti alla sicurezza, chiaro sintomo della capacità di assoggettamento».

E lo stesso avrebbero fatto — stando ai racconti dei collaboratori di giustizia — per decine e decine di volte, anche le giovani leve dei clan Strisciuglio e Capriati. Tanti sono gli episodi ricostruiti da poliziotti e carabinieri, accaduti nelle discoteche ma anche nei bar, nei pub o nelle loro vicinanze. Tante le omissioni da parte di coloro che dovrebbero garantire la sicurezza degli avventori e spesso hanno atteggiamenti sottomessi rispetto ai rampolli dei clan. Nell’inchiesta sulla morte di Antonella Lopez c’è anche un buttafuori del Bahia, che di giorno fa il vigile urbano, indagato per false dichiarazioni rese ai pubblici ministeri.

E proprio il nome di Antonella è comparso per la prima volta in un elenco di “vittime di mafia”. A pronunciarlo sono stati gli alunni dell’istituto comprensivo Don Milani, a Bari, nella commemorazione in occasione della Giornata della memoria. L’istituto Don Milani è il primo presidio di Libera costituito nel quartiere San Paolo. Il 5 maggio ne nascerà un secondo, nella scuola Lombardi che verrà intitolato a Florian Messuti, assassinato da Francesco Caldarola il 29 agosto 2014. 

Fonte: Chiara Spagnolo – quotidiano.repubblica.it

 

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