Favori ai detenuti in cambio di regali. Presi due agenti denunciati dai colleghi

L’operazione a Trani dopo la segnalazione partita dalla stessa polizia penitenziaria. Il procuratore Nitti: “ Un sistema corruttivo esteso, ma ci sono gli anticorpi”. Colloqui non autorizzati con i parenti. C’è anche il nipote del boss Parisi – fonte: Chiara Spagnolo – bari.repubblica.it
 
«Domani prendiamo minimo cento euro…»: parlavano così l’8 maggio 2020 il sovrintendente di polizia penitenziaria Vincenzo Cellamare e l’ispettore Antonio Cardinale, dopo aver organizzato un colloquio fra un detenuto e la moglie nonostante le visite nel carcere di Trani fossero vietate a causa dell’emergenza Covid. Loro chiudevano un occhio e i detenuti li ricompensavano, con denaro ma anche pesce, carne, mozzarelle. Perché in carcere — diceva Cellamare — « io guadagno, mica sono scemo » . Si credeva furbo e pur avendo saputo che la Procura di Trani stava per scoperchiare il calderone, ha continuato a delinquere fino a quando ieri mattina i suoi stessi colleghi gli hanno notificato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere. Per Cardinale sono stati disposti invece i domiciliari. Erano loro i responsabili di «condotte corruttive sistematiche — scrive la gip Carmen Corvino — che garantivano introiti paralleli» e servivano « a mantenere la pax con i detenuti ». Consapevoli degli illeciti, ma non corrotti, altri cinque agenti: il comandante del reparto Vincenzo Paccione; il vice sovrintendente Giovanni Bombino; gli assistenti capo Giovanni Ricco e Piera Rizzo e l’ispettore Albino Parenza. Sono indagati a vario titolo per depistaggio, peculato, corruzione, concussione e abuso d’ufficio. L’ipotesi dei pm è che dopo aver favorito i detenuti con visite dei familiari, videochiamate ripetute e di gruppo (anche con affiliati), raccomandazioni per farli lavorare, avrebbero cancellato le prove dei reati.
 
I favori ai boss
I detenuti indagati sono sei e tutti di spessore. Cristian Lovreglio, per esempio, è il nipote di Savinuccio Parisi, il boss di Japiga, in quanto figlio della sorella Angela. Cellamare lo definiva «un amico» e diceva che per lui si sarebbe «buttato nel fuoco», lui che ai pregiudicati era abituato, essendo il consuocero del boss barese Giuseppe Misceo. Sia la mamma sia la fidanzata di Lovreglio — che con una raccomandazione aveva ottenuto un lavoro al settore colloqui e pacchi — sono state fatte entrare nel penitenziario in pieno lockdown. Per quel favore il poliziotto era stato ricompensato con denaro e pesce. Sempre in epoca Covid si era dimostrato sempre pronto a esaudire il nipote del boss: « La focaccia la porto io», diceva quando Lovreglio manifestava questo desiderio. Gli altri detenuti indagati sono Marco Salvemini di Barletta, Antonio Lovergine (di Andria), Antonio Canaletti ( Bisceglie), Crescenzo Bartoli (Molfetta) e Sebastiano Colaianni (Toritto). Oltre a loro ci sono anche i nomi di mogli e di altri parenti (29 persone in totale) che avrebbero fatto avere denaro — fino a 1.000 euro — e altre utilità ai poliziotti corrotti.
 
Le denunce
«La polizia penitenziaria ha trovato al suo interno gli anticorpi per reagire rispetto a quello che stava accadendo. Ha avuto forza, capacità e professionalità», ha detto il procuratore di Trani, Renato Nitti, parlando di «un sistema corruttivo esteso». Un «mercimonio» su cui si è indagato a partire dall’esposto di un sostituto commissario, che si è rivolto direttamente alla Procura in quanto consapevole delle complicità della scala gerarchica. A seguire, anche un altro poliziotto ha scritto relazioni circostanziate sui colloqui e videochiamate irregolari al vicecomandante, il quale ha chiesto direttamente al direttore del carcere il trasferimento di alcuni agenti da determinati servizi. I poliziotti onesti, che « hanno mandato le carte alla Procura e detto che facciamo i cazzi nostri», venivano chiamati «infami e cornuti » da quelli corrotti, che a un certo punto avevano capito che «il giocattolo si era rotto».
 
Il comandante
« È dalla parte nostra, le fa pure lui queste cose», dicevano gli indagati senza immaginare di essere intercettati. « Questo non è un bel carcere — ragionava un assistente — io sono stato due anni in Piemonte e sei a Rimini: è totalmente diverso, non esistono ’ste cose che si fanno gli stracazzi loro. Però pure qua, quando stava Siciliani (l’ex direttore) i detenuti camminavano tutti vicini al muro ». Da Paccione, invece, i corrotti avrebbero avuto protezione. Sarebbe stato lui, contesta la Procura, a consentire l’alterazione della banca dati sulla quale erano registrate le videochiamate dei detenuti, per eludere eventuali controlli, lui a rimproverare l’agente che aveva relazionato sulle mancanze dei colleghi:«Prima potevi pure chiamarmi».
 
Le marche da bollo
A Cellamare è contestato anche il peculato, per essersi appropriato di marche da bollo da 2 euro apposte sui documenti dalla moglie di Flavio D’Introno, l’imprenditore di Corato che proprio in quel carcere stava scontando una condanna per usura e che ha fatto finire sotto processo per corruzione gli ex magistrati tranesi Michele Nardi e Antonio Savasta.

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