Il giudice ha investito in una Rsa di Terlizzi. Cambiali di una società ritenuta vicina ai clan – fonte: Massimiliano Scagliarini – edicola.lagazzettadelmezzogiorno.it
Nel centro diurno «Villa Anita» di Terlizzi ci sono soci di alto livello: un notaio di Trani, un chirurgo del Foggiano. Ma scavando tra i numerosi affari dell’ormai ex giudice Giuseppe De Benedictis, i carabinieri hanno scoperto anche investimenti in un contesto pericolosamente vicino alla criminalità organizzata barese. In un settore, quello delle sale giochi, storicamente in mano ai clan.
Francesco Vavalle è un nome pesante in quel mondo, un pluripregiudicato già destinatario nel 2014 di misure patrimoniali che hanno portato al sequestro alla sua famiglia di un piccolo impero nel settore delle slot machine, sequestro diventato definitivo nonostante i ricorsi per Cassazione presentati (tra l’altro) dall’avvocato Giancarlo Chiariello.
Nel febbraio 2017 De Benedictis ha investito 174mila euro per rilevare la Point Benz, una società di costruzioni che sembra aver gestito un distributore di benzina a Molfetta, insieme a tre soci tra i quali spicca Maria Amoruso, la nipote di Francesco Vavalle. Quattro mesi dopo la Point Benz viene venduta alla Slot Italy Engineering, che controlla tre sale giochi nei quartieri a Nord di Bari e che appartiene formalmente alla nonna di Maria Amoruso.
Dalla vendita della sua quota, il giudice ricava ufficialmente meno di quanto investito quattro mesi prima. Ma soprattutto, i carabinieri annotano che – nonostante i rapporti siano formalmente chiusi -, De Benedictis continua a tenere i contatti con i vecchi soci. Se ne interessa, ad esempio, quando la Slot Italy riceve un verbale dell’Agenzia delle Entrate: è il giudice a indirizzare l’amministratore della società prima verso un noto avvocato tributarista e poi verso una dirigente dell’Agenzia. E a gennaio scorso chiede all’appuntato dei carabinieri in servizio nel suo ufficio, (richiesta di diritto all’oblio), pure lui indagato, di verificare se ci siano indagini a carico di Luigi Amoruso, il padre di Maria, genero di Vavalle (il soprannome è «Gino Vavalle»), ritenuto da chi indaga «titolare di fatto» delle sale giochi: «Se mi puoi dare un’altra aggiornata, vedere sopra a quelli… Amoruso Luigi se ci sta qualche cosa, non credo ma non si sa mai».
Il motivo di tanto interesse è probabilmente collegato alle cambiali per 200mila euro che sono state trovate in casa di De Benedictis al momento dell’arresto. Il giudice era insomma creditore di una società che i carabinieri ritengono riconducibile a gente vicina alla criminalità organizzata barese. «Uagliò non è che è scoperto e mi da l’assegno cabriolet, no?», chiedeva l’ex gip prima di andare a uno dei diversi appuntamenti con i proprietari della sala giochi monitorati nel corso dell’inchiesta. Fatto sta che nello scorso luglio, mentre era ricoverato in una clinica privata per un intervento, De Benedictis aveva necessità di un computer per scrivere le sentenze. A portarglielo sono stati Luigi Amoruso, e l’amministratore della Slot Italy. Secondo i carabinieri, «oltre a ricevere un pc portatile e un orologio a titolo gratuito», i due hanno «verosimilmente» portato al giudice «anche del denaro».
La Procura di Lecce, che ha ottenuto l’arresto in carcere di De Benedictis e di Chiariello per corruzione in atti giudiziari, sta scandagliando gli affari del magistrato per capire se esistano collegamenti con l’attività giudiziaria. I carabinieri del Nucleo investigativo di Bari, agli ordini del tenente colonnello Stefano Invernizzi, hanno ricostruito una fitta rete di interessi e conoscenze, ma anche di banali favori tipo i buoni benzina chiesti a un imprenditore dei trasporti e il gasolio agricolo con cui De Benedictis era solito fare il pieno alla sua Audi. La sanità, ad esempio, è un vero e proprio pallino del giudice, che in quel mondo ha un sacco di conoscenze. A maggio 2020 la sua Rsa di Terlizzi è alle prese con la richiesta di riattivazione dei ricoveri dopo l’emergenza covid. Il giudice, al telefono con i suoi soci nella clinica per anziani (tutti assolutamente estranei all’indagine) si lamenta per come viene trattato da una impiegata della Asl di Bari: «Non si può assolutamente sopportare… Due anni, non ha mandato una persona, è uno scandalo, meno male che la struttura ha una buona fama, diciamo, che lavora da sola. Si autoalimenta, ma fino ad un certo punto… L’Asl non serve a niente, non ha fatto niente, anzi…». Fatto sta che il parere del Dipartimento di prevenzione necessario per la riapertura tarda ad arrivare. E quando i soci gli dicono che le altre strutture stanno comunque riprendendo i ricoveri, il giudice perde la pazienza: «Ho capito, allora riapriamo pure noi..».