
L’ex dirigente della Protezione civile regionale, presente all’udienza di giovedì 23 febbraio, ha affidato le sue dichiarazioni a uno scritto con la sua versione dei fatti – fonte: bari.repubblica.it
Per la Procura di Bari l’ex dirigente della Protezione civile regionale, Mario Lerario, si sarebbe fatto corrompere dagli imprenditori Luca Leccese e Donato Mottola e, per questo motivo, deve essere condannato a sei anni. “Non ci fu alcun accordo corruttivo“, ha replicato ieri Lerario, durante le dichiarazioni spontanee consegnate al giudice Alfredo Ferraro, lasciando poi il compito di sviscerare tale concetto all’avvocato Michele Laforgia.

Per sapere come finirà la vicenda processuale relativa a uno dei più grossi scandali che ha toccato la Regione negli ultimi anni, bisognerà attendere il 23 marzo, quando il gup deciderà anche in merito alla posizione di Leccese, l’imprenditore di Foggia – difeso dall’avvocato Gianluca Ursitti – accusato di avere versato all’ex dirigente una tangente da 10mila euro e per il quale la Procura ha chiesto la condanna a quattro anni. Entrambi gli imputati sono agli arresti domiciliari.

Lerario, presente all’udienza di ieri, ha affidato le sue dichiarazioni a uno scritto in cui ha spiegato che in quel 2021 era molto stressato, perché aveva un carico di lavoro eccessivo legato alla gestione dell’emergenza Covid. In relazione alle due dazioni di denaro (10mila euro da Leccese e 20mila da Mottola), ammesse sia dal dirigente che dagli imprenditori, ha affermato che non erano legate ad alcun accordo corruttivo e che, proprio in virtù della grande situazione di stress che viveva, non si è reso conto “del disvalore” dell’accettazione del denaro.
Proprio questa, infatti, è una delle questioni su cui ha fatto leva il gip nell’ordinanza con cui – nel dicembre 2021 – ha ordinato l’arresto di Lerario, Mottola e Leccese, sottolineando come il pubblico ufficiale non si fosse mostrato sorpreso dalla consegna del denaro né avesse cercato di restituirlo.

Alle dichiarazioni spontanee ha replicato il procuratore aggiunto Alessio Coccioli (che ha coordinato l’indagine della finanza insieme al procuratore Roberto Rossi), secondo il quale Lerario, all’epoca dei fatti contestati, era invece molto lucido e anzi particolarmente attento a possibili intercettazioni. Il pm ha inoltre evidenziato come “le giustificazioni non escludono che sia stato commesso un fatto illecito”. Secondo l’accusa, Mottola e Leccese sarebbero stati agevolati nell’ottenimento di appalti e affidamenti diretti per diversi milioni di euro.
L’avvocato Laforgia, dal canto suo, ha sostenuto che non c’è mai stato un patto corruttivo tra Lerario e gli imprenditori, che non c’è correlazione con gli atti amministrativi contestati e che al più le dazioni – confessate – sono riconducibili all’articolo 318 del Codice penale e non al 319 ovvero a un’eventuale corruzione per l’esercizio della funzione e non – come ritiene la Procura – alla corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio.